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lunedì, Febbraio 24, 2025

Il Respiro del Vento, secondo Bob

D’accordo che quando sei un “paroliere” (non “parolaio”, che è un lavoro da politicanti) hai un compito difficile allorché hai a che fare con un testo straniero, inglese, per esempio. E’ già stato fatto notare più volte di quanto gli autori di testi anglofoni siano avvantaggiati rispetto ai “mogol” di casa nostra, soprattutto per chiudere un verso, una frase. Mentre loro hanno a disposizione dei veri e propri supermercati di parole tronche, noi dobbiamo destreggiarci tra un po’ di “perché”, “poiché”, “caffè”, “blu”, “anche tu”  oppure farci dare una mano da tempi grammaticali futuri e passati, tipo “amerò”, “ti odierò”, “se ne andò” … In questo speciale settore delle attività artistiche fanno eccezione i dialetti, primo fra tutti quello napoletano, che, a parità con l’inglese, abbonda di espressioni e vocaboli tronchi: “what can I do”  in una frazione di secondo si trasforma in “che t’aggia’ a ffa’ “ oppure “well, let’s go” diventa facilmente “va bbuono, jamme ja”. Tant’è vero che anni fa la band partenopea degli Shampoo “campanizzò” buona parte della produzione dei Beatles.

Ma facciamo un passo indietro e torniamo ai parolieri nostrani. I quali parolieri spesso si fanno prendere la mano dalla fantasia oppure, per far abbracciare le parole con la musica, si allontanano vistosamente da quello che è il “pensiero” dell’originale. Un esempio ce lo fornisce il nome del più celebrato autore di testi dell’intero italico stivale, tale Giulio Rapetti, in arte Mogol, uno capace, se volesse, di scrivere una storia anche per Il Volo del Calabrone.

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Ho volutamente tirato in ballo il buon Mogol confrontando il testo originale della monumentale “Blowin’ in the wind” di Robert Allen Zimmerman, certo più noto come Bob Dylan, per via di una traduzione che in certi casi banalizza il “Dylan pensiero”, tipo:

“Quante strade deve percorrere un uomo prima che tu possa chiamarlo uomo” si scontra con “Quante le strade che un uomo farà, e quando fermarsi potrà ?”  oppure “E quante volte devono volare le palle di cannone prima di essere proibite per sempre” va a finire in un “Quando tutta la gente del mondo riavrà la sua libertà ?” per terminare con il ritornello che dà il titolo al brano, “La risposta, amico mio, soffia nel vento, la risposta soffia nel vento”, che si trasforma in “Risposta non c’è o forse chi lo sa, caduta nel vento sarà”.

Senza tirare in ballo colpe per il Rapetti, ci piace pensare che si tratta di un sacco di anni fa e che, probabilmente, oggi, il testo italiano sarebbe ben differente.

Dylan scrisse nel 1962 il suo brano certo più celebre ispirandosi, come dichiarato da lui stesso, a una vecchia canzone sulla schiavitù, “No more auction block”, che in slang senese diverrebbe più o meno “Insomma, s’ha a smette’ o no con questa storia degli schiavi e della loro vendita !” e cantandola, molti anni dopo, addirittura alla presenza di Papa Giovanni Paolo II, che naturalmente la butta sul religioso. Ma Bob non la incide subito e il suo manager lascia spazio al trio Peter, Paul & Mary con le vendite che arrivano presto al milione di copie. E a tutti quelli che si sono impuntati, nel tempo, sul significato di questa “risposta”, Dylan ha sempre risposto:

“Non c’è molto che possa dire circa questa canzone, tranne che … la risposta soffia nel vento (a me piace più pensare al “respiro del vento”, ma non vorrei fare la stessa fine di Mogol …) . Non è in nessun libro o film o programma tv, è nel vento. E’ come un foglio di carta che vola nel vento e un giorno arriverà. L’unico problema è che nessuno raccoglie la risposta quando cade giù dal cielo … e allora volerà via. Alcuni tra i più grandi criminali sono quelli che girano la testa dall’altra parte quando vedono qualcosa di sbagliato. Sapendo che è sbagliato”.

Alla prossima.

https://youtu.be/eG12XQgxkws?si=kxgCEdjBDIxzLnN6 (Dylan e Baez)

https://youtu.be/h9iPdCkJkTI?si=-F_5ZJw7scz3rtES  (Luigi Tenco)

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