Sul palcoscenico delle Olimpiadi molte storie sportive hanno a che vedere con la mentalità
Le Olimpiadi, spogliate di tutto il clamore e ridotte alla loro pura essenza sportiva, rappresentano un’occasione unica di riflessione intelligente. Esaminando da vicino i vincitori e scendendo fino alle famose medaglie di legno, ovvero i quarti posti, emerge una realtà che va oltre la semplice competizione e abbraccia una gamma di esperienze umane e sportive ricchissime.
Gli articoli e le riflessioni televisive attuali più dedite allo spettacolo che non ai contenuti, spesso, quasi sempre, si rivelano dannosi sia quando esaltano la vittoria – ed esaltano unicamente i vincitori, screditando tutti gli altri partecipanti – che quando vogliono far sembrare vittorie quelle che non lo sono.
La difficoltà nel trovare un equilibrio è sintomo di una profonda ignoranza da parte degli addetti ai lavori. In realtà, vittorie e sconfitte sono termini semplici ma potenti: la vittoria non è mai esente da errori che devono essere corretti, mentre la sconfitta contiene sempre lezioni preziose, anche se gli aspetti negativi possono apparire preponderanti. Tuttavia, ciò che conta davvero è l’uso che si fa di queste esperienze.
La mentalità, parola spesso usata con leggerezza come “anima”, è un concetto chiave nel mondo sportivo. Mentre sull’anima si potrebbe disquisire senza mai arrivare a una definizione condivisa, sulla mentalità possiamo invece adottare un approccio più concreto e scientifico.
La psicologia dello sport e della prestazione è fatta di concetti scientifici e precise terminologie. Ma è fatta anche di parole, e parlare è sfortunatamente gratuito per tutti. Questo spesso porta chiunque a parlarne a sproposito, credendo di poter ridurre tutto a formule semplici. I media difficilmente potrebbero comprendere la complessità dei processi di pensiero legati alla mentalità vincente e alla gestione delle sconfitte dediti come sono a fare perlopiù spettacolo vuoto, inconsistente.
La mentalità è qualcosa di complesso, ma la psicologa Carol Dweck ci offre una chiave di lettura illuminante con il suo concetto di mindset. Secondo la Dweck, esistono due tipi di mentalità: quella fissa e quella di crescita. La mentalità fissa vede le abilità come innate e immutabili, mentre la mentalità di crescita le considera sviluppabili attraverso l’impegno e la dedizione. Applicare questa visione agli atleti, siano essi di alto livello o giovani promesse, può fare la differenza tra un successo effimero e una carriera duratura e soddisfacente.
L’approccio di Dweck non si limita a una teoria astratta, ma ha implicazioni pratiche concrete. Nei settori giovanili, l’incoraggiamento di una mentalità di crescita può avere effetti profondi e duraturi. Educare i giovani atleti a vedere le loro capacità come plasmabili può aiutarli a sviluppare una resilienza psicologica che li sosterrà non solo nello sport, ma in tutte le sfide della vita.
Quando un giovane atleta capisce che il talento è solo il nebuloso punto di partenza e che il duro lavoro, la perseveranza e la resistenza alle frustrazioni , sono le chiavi del miglioramento, si prepara per un futuro di successo e soddisfazione.
Un esempio tangibile dell’applicazione della mentalità di crescita si può vedere nell’allenamento quotidiano degli atleti. I coach che adottano questo approccio non si concentrano solo sui risultati, ma anche e soprattutto sul processo. Valutano il progresso basandosi sul miglioramento continuo e sull’impegno messo negli allenamenti. Un allenatore che abbraccia la mentalità di crescita incoraggia i propri atleti a fissare obiettivi di sviluppo personale, piuttosto che obiettivi di risultato immediato.
Questo significa valorizzare il processo di apprendimento e l’abilità di superare le difficoltà, piuttosto che focalizzarsi esclusivamente sul vincere o perdere. Per gli atleti di élite, la mentalità di crescita può fare la differenza tra una carriera che si esaurisce rapidamente e una che continua a evolversi e prosperare. Prendiamo ad esempio i grandi campioni olimpici: molti di loro hanno affrontato momenti di difficoltà e sconfitte devastanti.
Tuttavia, ciò che li distingue è la loro capacità di utilizzare queste esperienze come catalizzatori per il miglioramento. Simone Biles, la celebre ginnasta, ha spesso parlato di come ha trasformato i momenti di sconfitta in lezioni che le hanno permesso di raggiungere nuove vette. Non parlo volutamente di Italiani perché ne dimenticherei involontariamente qualcuno.
In definitiva, adottare la mentalità di crescita di Carol Dweck significa abbracciare un percorso di sviluppo continuo. Questo approccio non solo migliora le prestazioni sportive, ma arricchisce la vita degli atleti, insegnando loro a vedere ogni sfida come un’opportunità di crescita. Implementare questa mentalità nei settori giovanili è cruciale mentre troppo spesso questo aspetto o non si considera o è di facciata. Bisogna lavorare e organizzare il lavoro per costruire atleti che vedono il fallimento non come un punto finale, ma come un punto di partenza, di transito, inevitabile, preparandoli a eccellere non solo nello sport, ma in tutti gli aspetti della loro vita.
E’ nei settori giovanili che bisogna iniziare a costruire la mentalità di crescita. Qui, ogni sconfitta può essere vista come un’opportunità di apprendimento, e ogni vittoria come un passo avanti che non esclude la possibilità di miglioramento o di sconfitta futura. E’ fondamentale educare i giovani atleti a comprendere che il vero valore dello sport non risiede solo nel podio, ma anche nel percorso che li porta lì, fatto di sforzi, fallimenti e progressi gestiti in modo rigorosamente scientifico.
Dobbiamo celebrare le vittorie per quello che sono, traguardi di un duro lavoro, ma allo stesso tempo chiamare le sconfitte con il loro nome, evitando di sconfinare in un De Coubertinismo senza senso, che enfatizza la partecipazione senza darle un significato utile Partecipare alle Olimpiadi è già un risultato straordinario, ma ciò che conta è il valore che diamo a questa partecipazione, che deve andare oltre il semplice esserci stati. Deve essere un’esperienza di crescita, di confronto, e di continuo miglioramento, sia per gli atleti sia per chi li segue e li sostiene.