Itinerari in bici e con ogni mezzo lento. La presentazione dell’autore Luca Bonechi e dell’autore delle illustrazioni Valter Ballarini
Il viaggio, reale o fantastico che sia, è stato in ogni epoca (e per fortuna lo è anche oggi) fonte di ispirazione e materia di racconto. La strada e in particolare ogni antica via di terra continuano a incuriosire e ad affascinare generazioni di donne e uomini di ogni età.
Ma, come ogni cosa preziosa, la strada, nata per primaria esigenza di utilità, va rispettata, conosciuta e presa per il verso giusto perché non c’è altro modo che il viaggio lento, rispettoso della natura, delle persone e delle tante cose che si incontrano, per acquisire conoscenza e per guardare in faccia la bellezza. È il solo modo per poter trasmettere, attraverso il racconto, l’avventura vissuta, ciò che vi è stato in essa di reale e anche di immaginario.
“La Via Francigena che incontra l’antica Via del Sale” non è che una nuova esperienza di viaggio fatta nel 2024 da amanti della bicicletta. Una “carovana” di amici (Valter, Rodolfo, Fabio, Paolo, Franco, Marco, Claudio, Andrea e Mario), desiderosi di esplorare il mondo del bike packing. Insieme al sottoscritto, hanno lasciato tracce di un loro viaggio di oltre 400 chilometri nella Toscana più autentica e profonda.
Questo volume è solo il primo di una serie perché ciascun evento che si terrà ogni anno sotto il nome di “Francigena Bike Adventure” avrà il suo racconto illustrato e suggerirà la via da prendere per un viaggio esperienziale da fare in bici, a piedi o con qualsiasi mezzo lento e “paziente”.
Le orme e le suggestioni lasciate dalla “carovana” sono rintracciabili con la lettura dei racconti che portano a diciotto approdi (li abbiamo chiamati “Porti di terra”), luoghi dove si consigliano le soste più importanti per riposare ma anche per ritrovarsi dopo essersi perduti.
Intendiamoci. Nessun timore per chi avesse la sensazione di essersi smarrito perché vi sono porti sicuri e identificabili e non è necessario ricorrere a uno dei moderni allievi di Tiger Jack, il pard navaho di Tex Willer che, sapendo per sua stessa ammissione, leggere e scrivere “quel tanto che basta”, era però il più abile a seguire le tracce.
Ognuno scelga di seguire le orme che crede, ma che sia animato dal desiderio di conoscere fatti e persone, spesso ai margini della storia, luoghi che si sono persi nel tempo colpevole di una modernità senza memoria che li lascia soli, quasi a esser di peso.
Lo spirito giusto è quello di Ulisse che, da buon nemico delle scorciatoie, non cercò certo la via più breve e scontata per tornarsene a casa.
C’è da dire che una buona mano a Ulisse la dettero gli dèi, ma nel nostro caso ognuno si deve accontentare di “spunti umani”.
Di “allungatoie”, nel racconto e negli originali disegni di Valter Ballarini, se ne propongono molte. Ognuno scelga quella che più ritiene adatta alle sue attese e alla sua “vela”. Forse troverà una strada ancora migliore di quella che io ho cercato di raccontarvi, da persona che sa ben leggere e ancor meno scrivere.
Luca Bonechi
On the road again
Viaggiare in bici è un’arte che si apprende e si affina solo viaggiando in bici. Se andare in bicicletta è muoversi in equilibrio, viaggiare in bicicletta è trovare il proprio equilibrio interiore muovendosi nello spazio e nel tempo.
Per viaggiare in bicicletta, infatti, ci vuole tempo. Non c’è niente di più soggettivo del tempo che, in base a come lo percepiamo, può essere breve, lungo, noioso o sfuggente. Il tempo lo trovi solo se lo cerchi, altrimenti, semplicemente passa. In realtà, se hai tempo a disposizione, non è che automaticamente ti viene voglia di fare un viaggio in bici. Avviene sempre il contrario: prima ti viene voglia di fare un viaggio e poi, quasi per magia, trovi il tempo e anche il modo di farlo.
Per mettere in moto questo meccanismo devi avere una forte motivazione perché negli ultimi decenni si è perso un po’ il significato e il senso del viaggio. La meta è diventata l’unica cosa importante e il viaggio è stato ridotto ad alcune incombenze che un sistema complesso gestisce per noi: ci pensano le agenzie, i tour operator e altre organizzazioni simili a pianificare modalità, tempi e mezzi da utilizzare per il nostro viaggio.
Ci indicano anche cosa vedere, cosa mangiare, dove dormire e cosa ricordare. Tutto è standardizzato, collaudato e costruito in modo tale che il viaggiatore non debba pensare a niente perché tutto è già pensato dai professionisti del viaggio affinché il cliente resti sempre nella sua zona di comfort. Ma è questo il senso del viaggio?
In passato si viaggiava prevalentemente per scambiare merci o per conquistare la salvezza dell’anima. Il turismo di massa è un fenomeno relativamente recente e ha smarrito la componente avventurosa che caratterizzava le esperienze del passato. Dall’inizio del ‘600 a tutto l’800, i giovani rampolli di famiglie aristocratiche o della nascente borghesia europea, hanno vissuto l’esperienza del Grand Tour. Venivano spinti a intraprendere un lungo viaggio, pieno di insidie, che poteva durare mesi e anni, alla scoperta dell’Europa e in particolare del Bel Paese e dei suoi meravigliosi tesori d’arte, storia e cultura. Era una sorta di viaggio iniziatico necessario per preparare questi giovani a diventare classe dirigente.
Il Grand Tour, grazie alle numerose testimonianze che ci hanno lasciato quei viaggiatori, è sicuramente un modello a cui è difficile non fare riferimento nel pensare a un viaggio.
Negli anni ‘60 del secolo scorso, gran parte della generazione ribelle che ha caratterizzato quel periodo ha lanciato un nuovo modello di viaggio: quello d’avventura, del perdersi per ritrovarsi. On the road again cantavano i Canned Heat.
Il viaggio diventava l’essenza dell’esperienza di vita. Non era più solo un viaggio nello spazio alla scoperta di luoghi, ma era la vita stessa a essere un viaggio alla scoperta di se stessi. Si viaggiava in autostop e il mondo era a disposizione di chiunque volesse conoscerlo.
In quegli anni, nei primi ‘70, venne pubblicata in Francia la prima Guide Routard, che ha rappresentato una vera rivoluzione nel settore delle guide turistiche fornendo uno strumento utilissimo per affrontare viaggi d’avventura, zaino in spalla, in molti paesi del mondo. All’interno di queste guide era condensata questa nuova interpretazione del viaggiare.
Nei decenni successivi, però, per varie ragioni, purtroppo, si è andata man mano perdendo questa idea di viaggio, sostituita da varie forme di vacanza organizzata. Solo recentemente sta riaffiorando l’esigenza di vivere esperienze più complesse. Così, invece del vuoto a perdere di vacanze preconfezionate, riprende sostanza l’idea del viaggio individuale, pensato e organizzato come esperienza di vita che accresce consapevolezza in contrapposizione all’oblio invocato e promesso dal marketing dell’industria dello svago.
Pensare e pianificare un viaggio presuppone anche scegliere la modalità attraverso cui realizzarlo. Il viaggio più bello è certamente quello a piedi o in bicicletta poiché entrambi i modi consentono il massimo dell’immersione nella natura e nel contesto, in armonia con i ritmi biologici. Sia a piedi che in bicicletta non si è condizionati da orari e da altri vincoli e, contrariamente ad altri mezzi, puoi arrivare ovunque, anche nei luoghi più sperduti e inoltrarti nel cuore dei borghi e delle città che incontri.
Pur avendo sperimentato il viaggio a piedi e averne apprezzato le caratteristiche e opportunità, preferisco viaggiare in bici. I motivi sono semplici. La bici mi consente di trasportare i bagagli senza doverne sopportare il peso sulle spalle, posso andare un po’ più veloce e fare percorsi più lunghi, pedalo in salita ma non in discesa e in pianura posso sfruttare l’inerzia per procedere senza pedalare. Poi, non ultimo, mi diverto a guidare la bici.
Imparare ad andare in bicicletta, da bambino, è stato molto più facile che, da adulto, imparare a viaggiare in bicicletta. Restare in equilibrio sulle due ruote è decisamente naturale e, dopo pochi tentativi, appare ancora più facile che imparare a camminare.
Diventare un ciclo viaggiatore è sicuramente un po’ più complicato perché devi disimparare.
Prima di tutto devi liberarti di alcuni pregiudizi: è faticoso, è pericoloso, è noioso, è scomodo… e devi acquisire una nuova consapevolezza su quelli che ritieni siano i tuoi limiti.
Quando, ad esempio, mi chiedono come mi alleno per affrontare un lungo viaggio in bici, rispondo semplicemente: mi alleno facendolo. In realtà devi imparare a gestirti più mentalmente che fisicamente. Se sei determinato, libero da condizionamenti e in equilibrio, puoi arrivare ovunque, senza fatica.
Il viaggio in bici ti fa scoprire capacità inimmaginabili. Ti fa anche cambiare tante abitudini, da quelle alimentari a quelle logistiche. Impari a viaggiare con poco bagaglio ridotto all’essenziale facendo a meno di tante cose inutili che credevi fossero indispensabili. Si impara a essere più leggeri, non solo eliminando bagagli, ma eliminando i pensieri negativi, le paure, apprezzando il qui e ora, avendo come riferimento non la fine del viaggio ma il suo fine, che non può essere altro che un continuo divenire, osservare, ascoltare, scoprire, senza mai smettere di meravigliarsi.
Luca è un ciclo viaggiatore di lungo corso. Con lui ho condiviso numerose avventure e quando mi ha parlato di questo progetto di viaggio alla scoperta della sua Toscana, ho subito capito che non mi stava proponendo una delle numerose esperienze che stanno nascendo seguendo la moda del momento. Il suo è sempre stato un approccio visionario, animato da una profonda cultura e da un effervescente spirito toscano che lo rende particolarmente simpatico. Un moderno Guido Cavalcanti, personaggio scelto come simbolo della leggerezza da Italo Calvino nelle sue Lezioni americane.
La Francigena Bike Adventure non è un evento ciclistico come tanti altri. È lo spunto per un viaggio, più che nella storia, nel meraviglioso mondo delle fiabe, in grado di svelare in modo esemplare un territorio magico. Personalmente conosco solo alcuni dei luoghi e degli itinerari proposti in questo inedito lungo viaggio e il mio contributo a questa pubblicazione è limitato a dei semplici acquarelli che illustrano le suggestioni visive scaturite dalla lettura dei racconti di Luca.
Non saprei bene come definirlo: forse più uno storyboard che un diario di viaggio. La cosa bella della Francigena Bike Adventure è che, a partire da questi spunti letterari e iconografici, il racconto vero e proprio sarà una sorta di ologramma costituito da tutte le emozioni e da tutti i racconti di coloro che, percorrendo a modo loro l’itinerario proposto, arricchiranno con la loro esperienza la visione iniziale di chi ha pensato questo viaggio e lo ha descritto nelle pagine che seguono.
Valter Ballarini