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sabato, Novembre 23, 2024

Luna Rossa: tecnologia, fattore umano e il mito dei Kiwis team perfetto

Ma pur nel trionfo della tecnologia per l’italiana Silver Bullet resta sempre l’uomo il fattore dominante

Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia sembra essere la risposta a tutto. Un’epoca in cui spesso dimentichiamo, forse volutamente, l’importanza del fattore umano.

Questo accade soprattutto quando la tecnologia raggiunge un tale livello di sofisticazione da diventare l’unico punto focale. Prendiamo, ad esempio, Luna Rossa, l’AC75 italiano, conosciuta anche come “Silver Bullet”.

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Una barca progettata per la velocità e la precisione. Il team italiano è, sulla carta, tra i più competitivi: il design dell’imbarcazione è minuziosamente ottimizzato, dai foil avveniristici alle vele altamente aerodinamiche, passando per una rete di circuiti elettronici che rendono la barca un capolavoro di ingegneria. E non dimentichiamo il ruolo sempre più crescente della meccatronica e dell’intelligenza artificiale, che, in qualche modo, aggiungono un ulteriore livello di sofisticazione al tutto.

Ma facciamo una pausa su questo punto. È facile lasciarsi trascinare dalla fascinazione per l’AI, e del contributo che dà, ma non è questo il nostro focus principale. C’è un altro elemento in gioco, meno discusso ma altrettanto importante: la barca, per come è progettata, sembra seguire i principi della teoria dei “marginal gains”.

Marco Benini, c’è un senese a bordo di Luna Rossa con la responsabilità dell’AI

La ricordate dal mondo del ciclismo, vero? Il Team Sky l’ha resa famosa, basandosi sull’idea che piccole migliorie, piccoli cambiamenti incrementali, possano portare a grandi risultati complessivi. Migliora un dettaglio qui, limane un altro là: stabilità, manovrabilità, velocità. Tre pilastri della vittoria, ma solo se ogni singolo miglioramento è meticolosamente calcolato e implementato.

Tuttavia, e questo è il punto cruciale, anche la migliore delle barche ha bisogno di un equipaggio che sappia come utilizzarla. Alla fine, non è la tecnologia a prendere le decisioni critiche in una gara, ma le persone.

È qui che entra in gioco il fattore umano, con tutta la sua imprevedibilità: come si comporta l’equipaggio sotto pressione? Riesce a evitare il rischio di sovra-analisi, quel pensare e ripensare che spesso blocca l’azione, o produce errori? Quali bias entrano in gioco? Queste sono domande che toccano direttamente le caratteristiche dell’equipaggio e il contesto in cui opera.

E in questo contesto, incontriamo i neozelandesi, i kiwis, i defenders. Considerati quasi mitici per il numero di vittorie ottenute, sono visti come il team da battere. Una leggenda che sembra ripetersi ogni volta, come un mantra. Qui entra in gioco l’effetto Pigmalione: la teoria secondo cui le aspettative e le credenze su un risultato possono influenzare direttamente le prestazioni.

Se una squadra intera, anzi, se un intero ambiente di quello sport che è la vela , crede che i neozelandesi siano imbattibili, si finisce per agire, inconsciamente, come se lo fossero davvero, rendendo quel mito sempre più concreto. È un circolo vizioso: si crea una narrativa di invincibilità che alimenta se stessa, diventando una profezia che si auto avvera.

Ma siamo sicuri che questo mito sia ancora reale? Per sfidare veramente i neozelandesi, il team Luna Rossa deve rompere questo incantesimo psicologico.

Pensiamo al leggendario record di Bob Beamon nel salto in lungo. Per anni, il suo salto del 1968 fu considerato insuperabile, un traguardo impossibile da eguagliare. Ma fu Carl Lewis, con la sua audace dichiarazione che il record poteva essere battuto, a piantare il seme del cambiamento. Non fu lui a infrangerlo, ma creò una nuova consapevolezza: Beamon non era imbattibile. Mike Powell fu colui che batté il record, e da quel momento la barriera psicologica crollò; il record venne battuto o eguagliato più volte. Lewis, con le sue parole, cambiò la mentalità collettiva: quello che sembrava un limite invalicabile divenne un obiettivo raggiungibile.

Se il team Luna Rossa riesce a capire questo concetto e ad applicarlo, può separarsi dalla narrativa dominante — quella che mitizza i neozelandesi come invincibili — e liberarsi di un peso psicologico inutile. La Convinzione di Autoefficacia, dice Bandura, viene prima di tutto. Deve emergere una convinzione solida nelle proprie capacità, una fiducia che non solo si basa sulla tecnologia avanzata, ma anche sulla consapevolezza che, alla fine, le decisioni cruciali sono prese dagli esseri umani.

E queste decisioni devono essere libere da influenze esterne e preconcetti, specialmente da quelle narrazioni che, esaltando gli avversari, possono minare la propria fiducia. Ce ne sono troppe: lo sento dire e lo leggo troppo spesso.

Il punto non è solo se l’equipaggio sia tecnicamente pronto, ma se ha compreso l’importanza di liberarsi dalle aspettative condizionate dall’effetto Pigmalione. C’è un uomo dietro ogni decisione, e quell’uomo deve poter agire senza essere oppresso dalle leggende create attorno agli avversari. La tecnologia, per quanto avanzata, può contribuire ma non può mai sostituire questa libertà di scelta, questa capacità di agire in modo indipendente e senza il timore di storie ormai superate.

Luna Rossa ha tutte le carte in regola per competere al massimo livello. La “Silver Bullet” è pronta, ma la sfida reale sta nel comprendere che la vittoria non dipende solo dalle attrezzature e dalla tecnologia, ma anche dalla capacità di infrangere miti e costruire la propria storia di successo. In definitiva, dietro ogni grande impresa, c’è sempre un essere umano. Ed è l’essere umano che, al di là della tecnologia, deve essere libero di credere nel proprio potenziale di vittoria.

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