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lunedì, Luglio 14, 2025

Non posso noleggiare una moto? Allora la compro!

Avventure e disavventure di un povero viaggiatore durante una “gironzolata” in India

Questa è una storia accaduta un bel po’ di anni fa, quando girellavo per l’India. A quei tempi, noleggiare una moto in quel Paese era davvero complicato.

Sapete quanto io ami viaggiare in moto: per me è essenziale per restare tra la gente, senza filtri. Non voglio la comodità di una bolla, voglio il contatto diretto, il corpo a corpo con la realtà. E l’India, per questo, è un luogo speciale.

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La logistica di quel viaggio era nelle mani del mio carissimo amico Jacopo, che aveva già fatto altri viaggi in India. Mi fidavo ciecamente. Quando gli chiesi come avremmo trovato una moto, mi rispose: «Non ti preoccupare. Se non si può noleggiarla… la compriamo».

«Come la compriamo?!» replicai. E poi? Non mi rispose. La domanda rimase lì, a galleggiare. Ma non mi preoccupavo troppo: in viaggio, i problemi si affrontano quando arrivano.

Va fatta un’altra premessa: la burocrazia in India è un’arte. Per tutto serve un timbro, un foglio su una carta finissima e colorata, che poi finisce su scaffali polverosi, accatastata per l’eternità. Lo splendido timbro finemente decorato fa parte della storia di questo meraviglioso Paese.

Jacopo, per aggirare le maglie della burocrazia, mi portò dal signor Lalli. Un uomo di mezza età, altissimo, sikh. Il turbante blu raccoglieva i suoi capelli mai tagliati, secondo la tradizione, e la barba era lunghissima e ben curata. Nessun pelo tagliato: il corpo va rispettato così com’è stato creato da Dio.

Dietro a rotondi occhialini dorati, ci condusse in un piccolo ufficetto con il soffitto talmente basso da dover tenere la testa inclinata. Prima, ci aveva mostrato le moto. La mia era una Royal Enfield Machismo 500, serbatoio cromato, scritte nere. Bellissima. Ne ero già innamorato.

Quando si parla d’affari, in India, ci vuole calma. Si beve un po’ di chai, si mangia un biscotto, si fanno convenevoli. Tutto è rito. I documenti erano scritti in Gurmukh, calligrafati con cura quasi religiosa.

Dopo un’oretta, tornammo in hotel. Più tardi, Lalli arrivò con due collaboratori. Le moto erano lì, pronte, ma… non ci diede le chiavi. Prima, le raccomandazioni.

Seduto a capotavola, con aria compita e i nostri documenti tra le mani, esordì in perfetto inglese: «Ma siete davvero sicuri di voler comprare queste moto?»

  • «Non posso darvele se prima non vi spiego qualcosa sulla guida in India».
  • «In India si guida a sinistra, come in Inghilterra, Australia o Giappone».
  • «Ma in realtà si guida dove c’è spazio. E dove la strada è meno rotta».
  • «Le regole sono semplici: il più grosso ha ragione».
  • «Al primo posto: i camion. Grossi, davvero grossi».
  • «Poi i pullman. Poi i minivan. Poi le macchine. E anche tra loro vale la gerarchia: più grossa è, più ragione ha».
  • «Poi i tuk-tuk. Poi le moto. Poi i risciò. Poi le biciclette. E infine, le persone a piedi».
  • «Il pedone non ha mai ragione. Se vi fermate, lo mettete in confusione. E rischia di farsi male».

Con pause misurate continuò:

  • «State sempre al centro della carreggiata. Ai lati ci sono animali, biciclette, persone».
  • «Se un mezzo in senso opposto viene verso di voi, fate attenzione: potrebbe cambiare corsia».

«Scusi», chiese Jacopo, «ma perché dovrebbe? Per ammazzarci apposta?»

«Per sorpassare, caro amico».

«Anche se vede una moto che arriva?»

«Sorpassa lo stesso. Perché tu, sei piccolo. E il tuo dovere è farti da parte».

  • «Attenti agli animali. Tranne i cani, perché qui non sono sacri».
  • «Ogni altro animale è l’incarnazione di un dio. Se fate del male a uno di loro, compite un sacrilegio. Soprattutto alle scimmie».
  • «Se una scimmia vi ruba qualcosa – il portafoglio, la macchina fotografica – non vi arrabbiate. Non urlate. E soprattutto, non la inseguite».
  • «È Hanuman, il dio che aiutò Rama a liberare Sita dal malvagio Ravana».

Piano piano le parole del Lalli divennero un rumore di sfondo, la mia mente vagava, mi vedevo già tra camiom, cammelli ed elefanti bradi, smisi di ascoltare intimorito e un po’ perplesso su come sarebbe andata il giorno dopo, quando avremmo finalmente inforcato le nostre moto.

Ma… questa è un’altra storia. Se avrete la voglia e la pazienza di seguirmi, ve la racconterò.

Per ora, come sempre: Se tutto è andato bene, allora nulla è andato bene.
Stay Wild, Stay Shanti.

PS: il monologo del signor Lalli è liberamente tratto da un racconto di Jacopo Brazzini, che ringrazio.

(11 – continua)

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