Olga e Chiara arrivano in Toscana e nel capoluogo ascoltano la storia di un potente Medici del ramo popolano
Oggi è una giornata uggiosa. Una di quelle giornate grigie, scandite solo da una pioggerellina lieve che inumidisce i capelli e rende tutto cupo e noioso. E’ un tardo pomeriggio invernale.
I lampioni hanno già iniziato a diffondere il loro chiarore in mezzo alla nebbiolina che sale dalle acque dell’Arno. Olga e io stiamo vagando per le strade di Firenze. Di fronte a noi lo skyline di Ponte Vecchio che riflette le sue luci sullo specchio d’acqua sotto.
Veniamo rapite dalla sua bellezza. Nonostante il crepuscolo, nonostante il tempo inclemente, si erge di fronte a noi come un lussuoso bracciale di brillanti in mezzo al grigiore. Poco più in là si scorge la cupola Brunelleschi del Duomo, e ancora l’austera torre di Palazzo Vecchio.
Facciamo un respiro profondo, come a voler inalare tutto d’un fiato tanta magnificenza che ci rapisce gli occhi. Camminiamo in silenzio. Il rumore del traffico pare lontano, le voci delle persone intorno a noi sono indistinte. È come se tutto questo fosse sfocato.
Ed è proprio il nostro vagare senza una meta precisa che ci porta a fermarci di fronte a Palazzo Medici-Riccardi in Viale Cavour. Ci saremmo passate davanti milioni di volte; io di corsa per andare al lavoro ormai tanti anni fa, Olga per una passeggiata in centro. Ma non ci eravamo mai soffermate ad “ascoltarlo”, come siamo capaci ora di fare.
Oggi per la prima volta ci siamo incantate a guardare le sue mura e ci siamo fermate. Pazienti, come ci ha insegnato Palazzo Sansevero a Napoli, in attesa che loro si aprano a noi con la loro voce. Una voce che non si sente con le orecchie. Una voce che si può sentire solo se si è disposti ad ascoltare con il cuore.
Non è passato molto tempo, o almeno così a noi è sembrato. I rumori della città sono spariti del tutto e la voce di pietra non ha tardato a svelarsi.
“So che siete qui per me – ha iniziato –. Forza, avanti, non abbiate paura, chiedetemi tutto quello che volete”.
Sorridiamo. È bello che ormai i luoghi si aprano a noi così, senza tergiversare. È bello che le nostre anime siano così allenate da non avere più bisogno di preparazione per sentire.
“Parlaci di te”, chiediamo senza paura.
“Oggi mi conoscete come Palazzo Medici-Riccardi – riprende – ma, un tempo, fui noto semplicemente come Palazzo Medici di via Larga, il luogo “dove tutto ebbe inizio”, da cui i primi esponenti della famiglia Medici tesserono le trame della gloriosa ascesa che li rese signori di Firenze e protagonisti della storia rinascimentale italiana. Oggi potete visitare le mie splendide sale, impreziosite da inestimabili opere d’arte, e adibite a museo, ma quando nell’ormai lontano 1444, Cosimo il Vecchio ne commissionò l’esecuzione, preferì, come direste voi, mantenere un profilo basso”.
“Perché?”, incalziamo.
“Il Pater Patriae era reduce da sofferte vicissitudini politiche, che avevano comportato l’incarcerazione del banchiere e l’esilio in Veneto; così temeva l’invidia dei suoi concittadini. Per questo motivo, scartò il progetto “troppo sontuoso e magnifico ” di Brunelleschi, a favore di quello più austero di Michelozzo”.
“Non si può dire però che tu passi inosservato…”, continuiamo.
“No, è vero. Tanto più all’epoca. Dominando la via Larga, all’epoca importante arteria cittadina costellata da antiche case-torri, con la mia mole cubica imponente che, dietro la sobria facciata, celava e cela un cortile interno, divenni modello architettonico di riferimento, anche fuori Firenze. Potrei narrarvi infinite e avvincenti storie che hanno avuto luogo tra queste mie mura, e forse un giorno lo farò, vicende che hanno condizionato la storia cittadina e non solo”.
“Per favore, raccontacene qualcuna!”, chiediamo curiose.
“Tra queste pietre antiche, ho visto l’espressione migliore dei più celebri e talentuosi artisti del rinascimento toscano, raccolti intorno alla corte del Magnifico mecenate. Lorenzo stesso era dotato di temperamento e capacità artistiche. Tanto per citarne alcuni: Botticelli, Paolo Uccello, Verrocchio, Ghirlandaio, il Pollaiolo, Poliziano, Ficino e un imberbe Michelangelo che trascorse proprio qui la sua adolescenza. Potrei narrarvi delle preziose collezioni o della celebre Cappella dei Magi, dove vi restituiscono lo sguardo, nell’opulento ciclo pittorico che celebra la gloria della casata Medici, molti personaggi storici dell’epoca, in primis un giovanissimo Lorenzo, seguito dal padre Piero e dal nonno Cosimo. È opera di Benozzo Gozzoli, allievo del Beato Angelico. Tante le storie ed ancor di più i protagonisti, ma poiché “il Tempo fugge e inganna”, vi dirò di chi le vicende voglio rinnovellare: Cosimo I il Giovane, la nobile Eleonora di Toledo e la loro bella quanto sfortunata famiglia”.
Ci sediamo in attesa. Sentimento e carnalità. Sono queste le storie che ci piacciono di più. Le storie delle persone che animarono un tempo gli spazi dei nostri interlocutori di pietra…
“Cosimo ed Eleonora vissero tra le mie mura i primi spensierati anni di matrimonio, che venne celebrato nel 1539, prima di trasferirsi a Palazzo Vecchio, per motivi di prestigio e di spazio. Complesse furono le vicissitudini politiche ed umane che portarono al potere Cosimo, oscuro esponente di un ramo collaterale della famiglia Medici, destinato per i suoi contemporanei a rimanere all’ombra della discussa figura del celebre padre Giovanni dalle Bande Nere. Ma il Destino, spesso, agisce per vie che a voi umani non è dato sapere”.
“Cosa accadde?”, incalzanti ma rispettose.
“Cosimo era nato, nel 1519, dall’infelice matrimonio, costellato da grandi assenze e numerosi tradimenti, tra Giovanni dei Medici e Maria Salviati. Sua nonna materna era Lucrezia, figlia primogenita di Lorenzo il Magnifico. In virtù di questa unione, che fondeva il ramo cadetto dei Medici “popolani” con quello principale, Cosimo si trovò catapultato sulla scacchiera politica coeva. Difatti, estintosi il ramo primigenio della famiglia, dopo l’assassinio del duca Alessandro dei Medici, nel 1537, ad opera del cugino Lorenzaccio dei Medici, Cosimo fu scelto come nuovo duca della città. Aveva solo 17 anni. Per mettere ordine nella vostra mente, vi dirò che il ramo dei Popolani, detto anche del Trebbio, dal nome della proprietà in cui risiedevano, discende da Lorenzo il Vecchio, fratello minore del più celebre Cosimo il Vecchio. Lorenzo, a differenza del fratello, non si sentiva attratto dalla politica, preferendo dedicarsi agli affari di famiglia, gestendo il Banco Medici”.
“Cosa piaceva a quel Lorenzo?”, chiediamo per capirlo meglio.
“Prediligeva la vita attiva all’aria aperta, propensione che trasmise alla sua discendenza. I maligni sussurravano che, mentre la progenie di Lorenzo, laggiù al Trebbio, scoppiava di salute, la discendenza di Cosimo il Vecchio, in città, era afflitta da varie tare ereditarie. Lo stesso figlio di Cosimo , Piero, era noto come ‘” il Gottoso “.
“E invece cosa fece Cosimo il Giovane?”
“Trascorse la sua infanzia e adolescenza nella villa paterna del Trebbio, appartenuta a Giovanni di Bicci, capostipite della famiglia, dedicandosi ad attività fisiche come caccia, scherma, lotta, nuoto, maneggio, che corroborarono il suo fisico, già per Natura prestante. I suoi studi, seguito da un precettore, furono basilari, nutrendo egli una spiccata propensione verso l’azione, unita ad un carattere irruento e orgoglioso. Perse il padre a sette anni e, sebbene questi non fosse stato uno stinco di santo, ne ammirò sempre la temerarietà e la vis pugnandi. Durante la prima giovinezza, amava vestire di nero e girare con un piccolo seguito armato, in una non velata emulazione paterna. Quando assurse alla carica di duca di Firenze, molti personaggi politici coevi, vista la sua giovane età e la sua inesperienza, pensarono di poterlo manipolare a loro piacimento. Non avevano fatto i conti con l’indole combattiva e determinata ereditata dal padre Giovanni e dalla nonna paterna Caterina Sforza! Cosimo, infatti, instaurò un governo autoritario, reprimendo con mano ferma ogni tentativo di dissenso”.
All’improvviso Palazzo Medici-Riccardi tace. Rimaniamo a bocca aperta, con la storia a mezzo, stordite dal suo comportamento. Un moto di rabbia ci sale dentro… non è giusto! Ora che avevamo iniziato ad appassionarci alla sua storia. Perché? Poi facciamo un respiro profondo… pazienza… pazienza… la grande lezione che stiamo imparando dagli incontri con questi amici di pietra. Pazienza e fiducia. Fiducia che quello che ci aspettiamo arriverà. Come e quando non lo sappiamo, ma arriverà.
Ed allora ci guardiamo negli occhi l’un l’altra, sorridiamo, ci voltiamo e ci buttiamo a capofitto per le vie rinascimentali di questo gioiello prezioso su cui stiamo camminando. Torneremo; domani o nei prossimi giorni… chissà?… sarà l’intuito a dircelo. Ed allora ascolteremo tutto il resto di quello che Palazzo Medici-Riccardi vorrà raccontarci. Intanto siamo grate. Si, grate per quello che ci ha regalato oggi e per quello che ci regalerà in futuro.
Nel frattempo è scesa la notte su Firenze. In qualche sprazzo di cielo le nuvole si sono diradate e si riesce ad intravedere qua e là una stella. “Come è sopra, così è sotto e come è sotto, così è sopra. Come è dentro, così è fuori e come è fuori, così è dentro. Come nel grande, così nel piccolo e come nel piccolo così nel grande”.
Come ci ricorda nella II legge ermetica Ermete Trismegisto, tra i diversi piani di vita c’è sempre corrispondenza. Le stelle del cielo corrispondono alle stelle brillanti dei lampioni che illuminano Firenze. Ed al contempo corrispondono al bagliore di luce che si accende dentro di noi ogni volta che riusciamo a stabilire un contatto con i luoghi che incontriamo. Certe che, prendendo in esame ogni più minuscola parte di questo mondo ,possiamo così vedere l’intero perché l’interezza è formata da ogni singola parte.
Camminiamo, camminiamo ed ora che anche uno spicchio di luna fa capolino fra le nubi specchiandosi argentata nelle acque dell’Arno, intuiamo quello che Ermete Trismegisto voleva dirci: comprendendo sé stesso l’uomo può comprendere Dio.
(2 – continua)