Un approccio sociologico al lavoro, all’economia e alla mentalità comune con Paolo Benini
Offriamo un’altra chiacchierata con Paolo Benini. Talvolta ci risponde dalla Sardegna o dalla Costa Cilentana, da Roma o dalla Francia. Insomma, chiusa la sua parentesi di amministratore, è tornato con entusiasmo a essere cittadino del mondo. Crediamo che le sue affermazioni professionali da osservatore di fenomeni umani siano interessanti, o comunque da tenere in considerazione. Gli piace di tener sempre presente gli aspetti sportivi ma stavolta lo impegniamo come studioso sulla realizzazione personale e collettiva.
Dottor Paolo, torniamo a pizzicarti con qualche domandina. Il tema portante delle nostre chiacchierate – per ricordarlo agli amici che ci leggono – è #oltreognivittoria, cioè la nostra rubrica che riprende il nome da uno dei tuoi ultimi libri.
Vittoria come somma di comportamenti verso un risultato, vittoria sui campi sportivi come spesso siamo portati a pensarla, ma anche vittoria nel privato, nella realizzazione professionale, nelle rappresentazioni della propria città… tutto giusto?
“Faccio una premessa prima di rispondere a domande sulla mia città. Non ho alcuna intenzione di dare un giudizio finale sulle vicende dell’urbe così come non lo faccio per altre cose o sulla mia stessa vita. A scanso di equivoci ho fatto casualmente l’assessore di questa città, dove in primis ho agito secondo le mie linee guida cercando essere coerente con me stesso e con quello che penso. Conta il giudizio che in primis io do su di me e molto poco quello che poi è stato l’esito finale, influenzato da troppi fattori che sono fuori dal mio controllo e quindi poco mi interessano. Dico questo per togliere agli stupidi la possibilità di interpretazioni e racconti vari che potrebbero svilupparsi in conseguenza di ciò che scrivo. Io ho un modo di approcciare le cose dove si intrecciano personalità e professione. Sono vissuto e vivo cercando di camminare in un binario coerente con me e quello che sono tra mille inciampi e buoni risultati. E cerco di non raccontarmi frottole… Quindi questo articolo deve essere letto in modo distaccato e neutro… Siena è una città che vive della sua immagine: un luogo ricco di storia, bellezza e tradizioni. Tuttavia, come una squadra che si affida alla memoria di vecchie e vere, o presunte vittorie – o guarda quelle di altri
–, sembra mancare di una visione propria e chiara per il futuro. Quest’ultimo per tutti si declina nelle azioni e non nelle parole che invece si sprecano. Quanto scrivo non è un giudizio politico, né una valutazione di parte: è un’analisi di cosa si può forse imparare per costruire qualcosa di nuovo. Come nello sport, il successo richiede una mentalità vincente, organizzazione, coerenza e capacità di guardare avanti. Siena, oggi, ha bisogno di tutto questo perché, diciamolo chiaramente, non lo ha mai avuto davvero”.
Ecco, hai già detto molto, quindi restiamo su questa linea di #oltreognivittoria: il personale, la realizzazione nel lavoro che dà sussistenza e restituisce dignità. Qual è l’approccio che dovrebbero avere – e qual è il tuo pensiero? – i 299 della Beko, mostratisi irriducibili nella battaglia sindacale ma che ora, a feste finite, continuano a vivere la possibilità di uno scivolamento nell’inoccupazione?
“Il caso Beko rappresenta perfettamente una squadra che dipende interamente dall’allenatore, dagli altri, senza alcuna capacità/possibilità autonoma di rispondere alle difficoltà. I 299 lavoratori hanno dimostrato tenacia nella loro battaglia sindacale, ma ora sono sospesi, privi di un futuro certo. In uno sport, sarebbe come aspettare che un allenatore risolva tutto da solo, senza che i giocatori abbiano la forza o gli strumenti per reagire. Come nello sport, aspettare non è mai una strategia. A chi si trova in una condizione di dipendenza, come i lavoratori della Beko, è utile dedicare del tempo per ripensarsi, per immaginare come reinventarsi. Siena deve imparare da questa vicenda: non si può delegare il proprio destino a chi non ha visione, a chi preferisce apparire o peggio magari speculare invece di agire per se e per il bene collettivo. Serve una consapevolezza nuova, una volontà collettiva di prendere in mano la propria sorte. Ma Beko viene da lontano e di preciso da Whirpool”.
Ecco, appunto, quand’eri assessore, fino quasi due anni fa, non personalmente ma la tua giunta, era molto accanto a quella che un tempo si chiamava Whirlpool. Sei in grado di dirci in cosa la medesima differisce da altre situazioni analoghe e cosa significa per Siena?
“La vicenda della Whirlpool è quella dell’illusione della stabilità, è l’esempio di cosa accade quando si vive di schemi temporanei e decisioni miopi. L’azienda, pur mostrando una facciata operativa, era già in dismissione, in Italia e a Siena, sostenuta da contratti “dopati” che mascheravano una realtà insostenibile. Ma il problema più grave è che oltre questa facciata non c’era nulla: nessuna visione di lungo termine, nessuna strategia per affrontare il futuro. Alla fine, il redde rationem è arrivato, inesorabile, come una sconfitta in una gara mal preparata. Vivacchiare, nello sport come nella vita, non porta mai a nulla di buono. Siena deve evitare di cadere in questa trappola. E’ tempo di smettere di vivere il giorno per giorno, epperò senza un progetto dinamico a lungo termine è difficile. La città deve imparare a costruire basi solide e sostenibili: non si può continuare a “tirare a campare”, aspettando che qualcosa cambi per caso”. Il destino va aiutato”.
Le feste appena finite non hanno portato al lavoro i cento possibili dipendenti dell’Esselunga di Massetana, un’altra iniziativa della giunta precedente. I giudici ci stanno lavorando, i nostri auguri, ma tu che impressione hai? Un’altra storia che Caprotti avrebbe inserito tra quelle di falce e carrello? E i cento inoccupati saranno cento sconfitti?
“La mancata apertura dell’Esselunga a Massetana ricorda una scelta tattica fallimentare in una partita importante. È il risultato di decisioni condizionate più da rivalità politiche in senso ampio che da una strategia chiara. Certamente è perdente. Non si parla qui della giustizia, che fa il suo dovere di accertare e decidere, ma del contesto generale: è come una squadra che gioca contro se stessa, sabotando le proprie possibilità di successo. Poi un giorno si scoprirà – mi auguro – che tutto è a posto, ma intanto si è perso (o guadagnato) tempo. Dipende da come si guarda. E pensare che il tempo in realtà non esiste. Battaglie interne agli staff apicali ci sono costate prestazioni anche a Parigi 2024. La politica, qui come altrove, si dimostra incapace di immaginare e pianificare con coerenza. Troppe chiacchiere, troppa frammentazione, poco sguardo al quadro complessivo. Il risultato? Cento potenziali lavoratori lasciati senza prospettive e una città che perde un’opportunità importante. È una sconfitta che si poteva e doveva evitare”.
Veniamo a un’altra “sega”, sempre più locale e meno nazionale. L’hub antipandemico, i milioni del biotecnopolo, un’occasione di sviluppo per la città che sembra oggi più spinta avanti dalla politica – sia maggioranza che opposizione – che dai fatti concreti… Non è fatto castrante per la città?
“Il Biotecnopolo, almeno per ora, sembra riproporre il periodo degli… annunci. Sembra più una favola che una realtà. Mi pare simile alla storia del calcio a Siena. Chiacchiere proclami e risultati più che mediocri. Si parla di un progetto che esiste nei discorsi, ma non nei fatti, e ogni discorso nuovo porta qualche milione di euro in meno. Ma non vi sembra che assomigli al percorso superpolitico seguito dal calcio? Pronto sempre ad accogliere Società di… benefattori che operano ovviamente nell’interesse della città per la soddisfazione del sorreggere un blasone! Il punto importante è che mentre nello sport ci sono molti chiacchieroni che traggono spunto dal manuale delle giovani marmotte, l’economia del territorio è cosa diversa. Il biotecnopolo è come una squadra che promette vittorie future ma non scende mai in campo o se lo fa, come nel calcio, mostra lo squilibrio tra parole e fatti. E i secondi hanno sempre ragione. Le promesse, da sole, non bastano: servono investimenti concreti, progetti reali e una strategia chiara. Ad oggi, il Biotecnopolo appare come l’ennesima illusione: una città che si lascia bloccare nella fase delle promesse senza mai passare all’azione concreta. Il rischio è che anche questa opportunità si perda, come tante altre in passato”.
Chiuso un capitolo con il Monte, è un fatto che ci abbiano riempito di chiacchiere da Letta a Giani, alla Meloni sul fatto che altri soggetti volessero portare da noi centinaia di milioni, magari per il nostro benessere e sollazzo… Ma così la città non cresce, non compete, tende a mostrarsi solo disciplinata al potente del momento… Cosa pensa il mentalcoach? Chi dovrebbe per primo cambiare mentalità?
“Fortunatamente, se non per il nome del mio sito, non sono un mentalcoach. Penso senza mezzi termini di essere qualcosa di più. Siena se la vedo come team sportivo, non è mai stata veramente competitiva, nemmeno nel suo periodo di massimo splendore economico, quando il Monte dei Paschi garantiva risorse enormi. Se fosse stata una città vincente, oggi avremmo opere, infrastrutture e un’identità solida a testimoniare quella ricchezza. Invece, tutto è stato dilapidato, lasciando solo il ricordo di un’illusione. Come nello sport, la competitività nasce da una mentalità vincente, da una visione chiara e dalla capacità di rialzarsi dopo una caduta e dai risultati che infine si mettono sul tavolo. Ma per fare questo servono disciplina, organizzazione e coerenza, qualità che Siena sembra non aver mai sviluppato. Qui manca il guizzo, la voglia di reagire e ripartire perché per reagire bisogna sapere e per sapere bisogna osservare pensare e poi parlare. Continuare a celebrare le bellezze storiche o fotografare il Duomo o la Torre è un chiaro segnale di bellezza o di mancanza di altro da fotografare? Volendo ci sarebbe la splendida stazione ma diciamo …. strada impervia e troppo distante, ma i giochi d’ acqua sono bellissimi… nella fantasia. Stiamo ancora vivendo, come una squadra che vive di trofei vinti decenni fa, incapace di costruire un presente competitivo. Persino il Duomo, rimasto incompiuto, potrebbe essere una metafora di questa mentalità: un’opera grandiosa, ma incompleta, simbolo di un limite che Siena non supera”.
Chiudiamo con lo sport locale… Chi meglio di altre è società o squadra #oltreognivittoria a Siena?
“La Mens Sana rappresenta simbolicamente ciò che Siena è e potrebbe tentare di essere… È una società rispetto ad altre che ha dimostrato di saper vincere in passato a un altro livello rispetto alle cugine locali con cui compete adesso che si fondano su basi diverse e alle quali va tutto il mio rispetto. La Mens Sana però ha il DNA per farlo di nuovo. Ma come una squadra che vuole tornare al top, deve ripensarsi: cosa ha funzionato allora? Certamente i soldi che tuttavia non sono condizione sufficiente, ma anche visione, disciplina, determinazione e pazienza. Deve ricostruire con umiltà prima, per attrarre investimenti poi, e lavorare con costanza, canestro dopo canestro. Nessuno investe in una squadra per i trofei del passato: servono risultati oggi. La Mens Sana può essere il modello per ripartire, e si sa che il successo si costruisce, non si eredita”.
Ma Siena è una città #oltreognivittoria?
“Cioè, se Siena può tornare a essere competitiva? La domanda richiede prima una riflessione sul significato stesso di competitività. Comunque ognuno sceglie in larga parte il proprio destino. A me, fatalista, vanno bene tutti i destini ma se hai velleità non basta “campare” come una città dotata di risorse e bellezze: servono azioni concrete per insegnare alle nuove generazioni, e alla comunità nel suo complesso, a costruire il proprio futuro con autonomia e consapevolezza. Siena ha vissuto troppo a lungo, o forse sempre, non sono uno storico, in una mentalità di dipendenza e autocelebrazione, senza mai imparare davvero a “campare da sola”. Questa la mia visione. E si badi bene che dico questo perché continuo a notare un’incoerenza profonda tra pensieri e azioni. Per me Siena può vivere come vuole ma deve finirla con le cantilene del “è sempre colpa di qualcun altro”. Oggi, come nello sport, il successo richiede un abbandono totale dell’illusione di grandezza e un abbraccio deciso a una mentalità di crescita, fatta di lavoro quotidiano, visione a lungo termine e organizzazione collettiva. Non esistono vittorie improvvisate, né nello sport né nella vita; e se capita non dura tanto. Ogni successo è il risultato di dedizione, disciplina e coerenza. Dove queste cose si apprezzano a Siena? Il passato non basta, e il futuro non può essere lasciato al caso. La vera vittoria, per Siena, sarà quella che riuscirà a costruire, giorno dopo giorno, con le proprie mani, anche se non la penso troppo capace. E al limite va bene anche così, basta che poi le aspettative siano in linea. È un percorso impegnativo, ma non impossibile. Concludendo… La città ha le risorse, le storie ma ha le capacità per essere davvero “oltre ogni vittoria”? Non lo so, comunque va dimostrato. Senza quest’atto di chiarezza con noi stessi, vissuto con atto collettivo e non da pochi in mera rappresentanza, resterà solo l’eco delle sue vecchie glorie narrate, con il rischio di svanire in un presente privo di significati. E da ultimo vorrei chiarire nuovamente che non c’è nessun intento specifico in questo mio conversare con il direttore Rugani. Si tratta di un punto di vista costruito su una valutazione di un soggetto, la Città, che mostra una certa incoerenza tra il fatto e il detto. E soprattutto dimenticando sempre che il detto porta poco, ma non costa niente. Non c’è un contesto dove si vince operando così”.