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mercoledì, Aprile 2, 2025

Stefania Gnoato, ribelle per natura e viaggiatrice per passione

Oggi #andataeritorno racconta come nasce una motociclista: dalla bicicletta ai viaggi intercontinentali

Donna, mamma, meccanica industriale nel settore maglieria, dirigente di azienda e imprenditrice, ma soprattutto indomita motociclista.

Spero di non essermi dimenticato nulla. Non diciamo gli anni perché a una signora non si chiedono, ma dai tuoi occhi vedo quanta vita e quanta passione metti nelle cose che fai. Intanto, bentornata! So che hai viaggiato con un comune amico in Vietnam lo scorso mese…

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Ti ho chiamata appena ho saputo che eri tornata ed è un vero piacere averti qui come prima donna ospite della mia rubrica su Siena Post. Volevo rompere il tabù che coniuga troppo spesso il motociclismo al maschile, relegando la donna a “zavorrina” — termine che mi fa accapponare la pelle. Cercherò di dare spazio a chi, come te, ha da raccontare dei viaggi in moto, lontani o vicini che siano.

Sei pronta?

“Ciao figliolo! Io sono qui, però attento che quando mi metto a raccontare, non la finisco più…”

L’infanzia e la passione per le due ruote

Partiamo dall’inizio. Perché proprio la moto? Qual è il primo ricordo che hai di questo mezzo?

“La passione mi è nata guardando mia madre. Era il 1957 quando ha preso la patente in Francia. Aveva una moto 250, ricordo che la caricava di tutto: noi bambini, le galline da vendere al mercato… E lei era una donna che, nonostante non sapesse né leggere né scrivere, aveva una tenacia e un’inventiva incredibili. Avevo forse sette anni e la guardavo stupita mentre sfrecciava sul suo bolide”.

Immagino fosse un’immagine insolita per l’epoca…

“Assolutamente! In quegli anni, figurati, era già raro vedere donne guidare macchine, figuriamoci le moto. E in casa eravamo poveri, quindi ogni mezzo diventava essenziale per la sopravvivenza. Ho sempre visto mia madre “brigare” e ribaltare il mondo, e quello spirito deve essermi rimasto addosso”.

E da lì hai deciso che avresti viaggiato su due ruote?

“Sì, ma la mia prima avventura è stata in bicicletta a sette anni! Avevo un grande desiderio: volevo vedere Vicenza e allora, con tutta l’ingenuità di una bimba, ho preso la bici e sono sparita per due giorni. Ho calcolato dove avrei potuto fermarmi per la notte e sono partita senza avvertire nessuno. Al mio ritorno mi hanno “suonato” ben bene.
Mentre le prendevo, tra le lacrime cercavo di spiegare a mia madre che non ero scappata, che non era una fuga: volevo solo esplorare. Lì forse ho capito che la libertà di potermi muovere era più forte di qualsiasi paura. Comunque la lezione è servita: oggi faccio sempre sapere ai miei cari dove sono. Per i viaggi, inoltre, ho comprato un localizzatore satellitare che porto sempre con me”.

La “prima vera moto” e la conquista della libertà

Crescendo, come hai fatto il salto dalla bicicletta alla moto?

“Ho tre fratelli più grandi, tutti col motorino. A nove anni li osservavo e appena potevo me lo facevo prestare di nascosto. Ero spericolata, e loro temevano che mi facessi male. Poi, a 14 anni, un mio amico mi lasciava qualche volta la sua KTM in Brenta: io gli davo qualche soldo della mia paghetta per la benzina, e così potevo sentirmi “motociclista” per due ore”.

E la tua primissima moto tutta tua?

“L’ho avuta a 20 anni: una Yamaha TDM 850 a carburatori, la mia prima moto vera e propria. In realtà, a 18 anni ne volevo già una, ma in famiglia erano tutti contrari. Avevano paura che mi facessi male, e poi in azienda c’era sempre bisogno di me. Chissà, forse temevano di perdere una risorsa. Alla fine, mi hanno comprato un fuoristrada e per un po’ mi hanno “contenuta” così. Poi a 20 anni mi sono sposata e mi sono detta: “Adesso non mi comanda più nessuno!” e via, la TDM”.

E com’è cambiata la tua vita?

“La moto ti cambia tutto. Sentire il vento, l’asfalto, l’odore della strada… Ogni volta che salgono dubbi o stanchezza, la moto ti dice: “Ehi, oggi non sei in forma!”, e capisci che sei tu, in prima persona, a governarla. Non c’è una barriera come con la macchina. La moto sono io, e i miei errori diventano i suoi”.

Lavoro, famiglia e una pausa forzata

Nel frattempo, mi hai detto che ti sei sposata e hai avuto dei figli. Come hai conciliato tutto?

“Per un po’ l’ho conciliato a modo mio. Lavoravo dalle 14 alle 16 ore al giorno nell’azienda familiare di maglieria. Ci occupavamo di tessitura e confezioni per marchi come Benetton. C’era sempre da correre, e quando si rompeva una macchina si interveniva anche a Natale o Pasqua. Poi sono nati i miei figli, e ho dovuto vendere la moto. Ma non ho mai davvero rinunciato: spesso me la prestavano gli amici per una breve scampagnata domenicale, giusto un paio d’ore, prima di tornare a casa con il pollo e le patatine”.

E poi cosa è successo?

“Mi sono separata verso i 36 anni. A 38 ho ripreso le due ruote: un XT, ma la sella era durissima e mi faceva male al sedere. Poi un giorno, con mia figlia, sono andata a provare una nuova moto che mi interessava, la Yamaha FZ6 appena uscita, e lei, con i suoi otto anni, mi ha detto: “Mamma, compratela che te la meriti!”. Il giorno dopo l’ho presa. Ero rinata”.

Un “viaggio vero”: il Sud America

Mi hai parlato di un viaggio che ha segnato una grande svolta per te…

“Esatto. Lavoravo sempre tantissimo, ma sognavo un viaggio lungo. A 50 anni ho iniziato a dire che mi sarei presa 40 giorni di fila per andare in Sud America in moto. Finalmente, a 52, riesco a organizzarmi. In un primo momento mi unisco a un gruppo di motociclisti, ma all’ultimo mi chiamano dicendo: “Guarda, pensiamo che non ce la puoi fare”. Sono rimasta malissimo”.

E tu come l’hai presa?

“Mi sono messa a piangere. Ero pronta, avevo fatto il vaccino, spedito i documenti, organizzato il lavoro in azienda… Poi arriva mio figlio: “Mamma, che problemi ti fai? Vai da sola”. E lì si è accesa la scintilla. Nel giro di una settimana avevo tutto pronto: spedizione della mia Aprilia Capo Nord 1200, cartine, contatti. Non sapevo né l’inglese né il francese, ma pensavo che la gente brava la trovi ovunque. E sono partita”.

Raccontaci i primi momenti…

“Sono sbarcata in Cile e ho penato un po’ per sdoganare la moto. Poi ho guidato in luoghi assurdi, come il Salar de Uyuni in Bolivia, con strade allagate fra sabbia e polvere… Un giorno ho incontrato Gustavo, un motociclista cileno fermo in mezzo al deserto con la moto rotta. Mi sono fermata ad aiutarlo, e siamo finiti ad Antofagasta insieme: non potevo abbandonarlo. In una stazione di servizio dove avevamo fatto benzina gli avevano clonato la carta di credito, così lui non aveva più soldi per l’albergo e la riparazione della moto. Per fortuna, dopo qualche giorno ha risolto tutto in banca”.

Hai anche incontrato un personaggio particolare, se ricordo bene…

“Sì, un ragazzo con i denti limati a formare canini appuntiti e gli occhi tatuati di blu (tecnica rischiosissima), la lingua tagliata in due parti. Aveva anche il collo decorato con lunghe fiamme. Con casco e tuta non l’avevo notato, ma quando si è tolto tutto, ho pensato: “Ok, mi trovo davanti l’ultimo vampiro del pianeta!” Poi però si è rivelato gentile e timido. Era un tatuatore colombiano: conoscendolo meglio, ho avuto l’impressione che quella “maschera” servisse più a coprire un’innata riservatezza”.

Questi incontri, uniti ai fantastici luoghi attraversati, sono le cose che non si scordano più…

“Assolutamente. Il Sud America mi ha insegnato che le persone sono generose ovunque. Se ti presenti con un sorriso e un pizzico di coraggio, puoi farcela anche da sola. Dopo 40 giorni e 8.200 km sono tornata con un’altra mentalità. Vedevo il mio lavoro con occhi diversi; provavo quasi “schifo” per il mio guardaroba troppo pieno… e ho capito la fatica e la bellezza di vivere solo con due borse laterali e una tenda”.

Prossima Puntata

Fantastica avventura. Abbiamo parlato delle tue origini, dei primi giri e del grande salto in Sud America. So che hai fatto altrettanto in Mongolia e in Africa, cambiando addirittura prospettiva di vita e dedicandoti anche alla solidarietà. Ne parleremo nella seconda puntata, se sei d’accordo…

“Assolutamente sì! Ho ancora moltissime storie da raccontare, specialmente la caduta che mi sono fatta in Mongolia e come ho scoperto l’aiuto reciproco in Africa”.

Allora ci aggiorniamo presto, e grazie per averci svelato la prima parte del tuo incredibile percorso.

(1 – continua)

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