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lunedì, Gennaio 13, 2025

Straordinari matusalemmi vegetali

Gli alerce, i cipressi della Patagonia, hanno vita lunga: anche cinquemila anni!

Quando preparo un viaggio, cerco sempre qualcosa di insolito, qualcosa che mi ispiri e che meriti di essere scoperto, anche se il cammino per raggiungerlo può essere arduo. In queste settimane, vi parlerò di eccezionali “emergenze vegetali”.

Le ho chiamate così perché, come le emergenze umane, si distinguono per la loro straordinarietà: alberi che raccontano storie millenarie, che sfidano il tempo e le condizioni climatiche, veri e propri monumenti viventi.

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Parte Prima- L’Alerce

Attingerò dai miei diari di viaggio e oggi vi porterò in uno straordinario luogo del Cile: la Carretera Austral.

Forse, ma un’altra volta vi parlerò in dettaglio di questa mitica strada, delle avventure straordinarie che possono accadervi, di vulcani che esplodono incenerendo il territorio circostante o di tsunami.

Un’allerta mi arrivò proprio sul telefono mentre ero lì. Diceva: “ONEMI: EVACUE A ZONA SEGURA por tsunami, en la Región de Los Lagos”.

Era un messaggio della Oficina Nacional de Emergencia del Ministerio del Interior y Seguridad Pública (ONEMI), che avvisava di evacuare verso una zona sicura a causa di uno tsunami nella Regione de Los Lagos.

E dove mi trovavo io? Ovviamente nella Región de Los Lagos, in un immenso fiordo. Camminavo nel fango per fotografare le decine di specie di uccelli che banchettavano sul fondo della baia, intenti a catturare granchi, molluschi e lumache di mare rimasti esposti dal ritirarsi delle acque.

Il mio primo pensiero fu: “Questa non la racconto”. Anche affannandomi a tornare indietro, non avrei impiegato meno di un’ora a risalire la ripida riva che vedevo in lontananza, una sottile cornice chiara alla base delle scogliere del fiordo.

Comunque, se sto scrivendo queste righe, significa che ce l’ho fatta, anche se forse con dieci anni di meno sulla mia “licenza di vita”.

La baia di Hornopirén

Hornopirén è il nome di questo luogo, un posto magico – tsunami a parte. Da qui si comincia a vivere la vera Carretera Austral, la strada bimodale.

Bimodale? In che senso? Nel senso che, per percorrerla, a tratti devi salire su un traghetto per superare scogliere, foreste e condizioni meteorologiche che hanno reso impossibile costruire una strada continua sulla terraferma. Se poi non hai prenotato, come nel caso del traghetto di Hornopirén, puoi attendere anche giorni prima di riuscire a proseguire.

Ma forse volete sapere come finì quella serata.

Sì, lo tsunami arrivò, in una notte rischiarata dalla luna. Una massa d’acqua, scura e densa come il petrolio, si infranse contro la barriera del molo, fortunatamente senza causare danni.

Era un giorno di festa, e la gente sembrava non avere alcuna preoccupazione per un domani che, più povero dell’oggi, non poteva essere. Ballavano in una piazza polverosa, e anche io mi unii a loro. Intorno, in alcune piccole baracche, si friggevano empanadas. Fu lì che assaggiai per la prima volta il curanto, un cibo che affonda le sue radici nei riti ancestrali di questi luoghi, legato persino al mito della nave fantasma Caleuche.

Cozze, vongole, pollo, maiale e chapalete, ricoperti con foglie di nalca e cotti a vapore grazie al calore delle pietre. Non so se tutto fosse un rito per esorcizzare il pericolo, ma mi unii volentieri alla piccola folla del villaggio, che si stringeva attorno a una sgangherata orchestrina.

E gli alerce? Prendo il mio diario e riporto fedelmente le parole di quel giorno…

16 gennaio, Chaitén

Oggi ho incontrato le foche, un hombre di nome Roberto che guida la moto con un braccio solo, un’aquila che ha banchettato davanti ai miei occhi e un albero che vive cinquemila anni.

Ma andiamo con ordine. Mi sono alzato presto stamani: sul letto avevo uno strato di coperte così spesso che muoversi era quasi impossibile. È piovuto tutta la notte, e le montagne intorno sono coperte di neve. Beh, se non l’avevo ancora capito… questa è l’estate della Patagonia.

Faccio colazione, carico la moto e corro alla baia. Ieri sono fuggito a gambe levate sul terrapieno di difesa non appena è scattato l’allarme tsunami. Apparentemente, non sembra aver causato visibili danni. Voglio tornare a vedere gli uccelli.

Un gruppo di cigni dal collo nero mi accoglie. Un falco, inesorabile, cattura al volo un uccellino. Per quanto terrificante sia questa scena, è la natura: da noi, gli uccelli ormai si nutrono nelle discariche.

Il vulcano Yates

Il meteo mi regala qualche raggio di sole tra le nuvole che viaggiano veloci. Per qualche istante, il vulcano Hornopirén si illumina: il bianco della neve scintilla, ed è uno spettacolo. Dalla mia prospettiva, sembra un perfetto cono.

Il tempo scorre veloce: è già l’ora di andare al traghetto che ci porterà all’inizio del Parco Pumalín.

Il Rio Blanco – Cile

Mentre la nave imbocca il lunghissimo fiordo che arriva a Leptepú, su Hornopirén calano nubi nere, basse e spesse come una tenda di velluto che chiude la scena sul magnifico spettacolo.

Dal ponte del traghetto conto le moto imbarcate: sono otto. Per oggi, nessun altro motociclista arriverà alla Caleta o percorrerà questo tratto di Carretera. Ogni giorno c’è un unico traghetto, e una volta arrivato, se hai la pazienza di aspettare un po’ che la gente sciami, potrai viaggiare in completa solitudine e goderti la natura del parco.

Dopo quattro ore, quando siamo in vista della piccola rampa, sulla nave scatta l’allarme evacuazione. Ci alziamo tutti in piedi e ci guardiamo senza sapere cosa fare. Poi, come nulla fosse, un addetto avverte sottovoce: “Scusate, il pulsante è stato premuto per sbaglio”.

Il traghetto per la Caleta Gonzalo

Bene, ormai mi sono destato. Vado alla murata della nave e aspetto l’arrivo. Guardo giù verso il mare. Distrattamente, osservo le grandi boe che sostengono le reti per l’allevamento dei pesci. Due foche le usano per prendere il sole: forse sono entrate tra le nasse, hanno fatto man bassa di merluzzi e ora, sazie, boccheggiano al sole.

Durante i viaggi adoro parlare con la gente, ascoltare le loro storie. Oggi ho conosciuto Roberto. Ha un solo braccio e la mano destra rattrappita, con le dita ricurve a formare un uncino.

E dove sta la storia, potreste obiettare? Un povero storpio da commiserare? Qui vi sbagliate. Roberto guida la moto: il moncherino appoggiato su uno speciale sostegno incollato al manubrio e la mano uncinata sulla manopola del gas.

D’istinto ho pensato immediatamente a quale sfida compia ogni giorno per guidare. Ciò che a me appare difficile, per lui dovrebbe essere impossibile; eppure, è qui sulla Carretera, sul ruvido e sconnesso ripio.

Ha uno sguardo fiero, nessuna commiserazione. Lo vedo tirare su la cerniera della giacca con i denti. Chiedo il permesso di fargli una foto. La metterò lì, tra le cose degne di attenzione, per ricordarmi che ogni cosa, per quanto difficile appaia, può essere superata.

Il Rio Negro – Cile

Oggi è una strana giornata: più che guidare, le moto hanno navigato. La rampa di Leptepú è alla fine di uno stretto fiordo. Il traghetto sembra volersi appoggiare alla montagna, tanto è scoscesa la parete.

Dopo lo sbarco, percorro dieci chilometri di un tratturo ghiaioso, dove troverò l’ultimo traghetto della giornata. Una lunga litania di mezzi procede in mezzo al bosco. Saliamo sulla barcaza in fila, come siamo scesi, e in venti minuti siamo finalmente a Caleta Gonzalo, dentro il Parco Pumalín.

Ricordo ancora la magia di questi luoghi quando ci sono passato due anni fa: le felci giganti, la rigogliosa foresta pluviale e la quantità incredibile di magnifici posti da visitare – la Laguna Tronador, le Cascadas Escondida, il Sendero Los Alerces e, ultimo ma non meno importante, il vulcano Chaitén – mi fecero pensare di essere dentro un film, un po’ come in Jurassic Park. Pertanto, ora non mi sorprenderei se un velociraptor facesse capolino dal fitto del bosco.

Ci soffermiamo sul bordo del fiordo. Aspettiamo che tutti vadano via e partiamo sullo sterrato quando non c’è più nessuno.

Gli alerce

Il fondo ha assorbito bene la pioggia di stanotte. Devo solo prestare attenzione ai cumuli di ghiaia, poi posso dare gas e dondolare tra le curve.

Mi sono segnato un punto sul GPS dove voglio assolutamente fermarmi. Percorro qualche chilometro ed entro a piedi in quello che chiamano l’ultimo santuario degli Alerce.

La passerella di legno stesa sul fondo del bosco mi permette di camminare spedito sugli acquitrini sottostanti. La macchia è fitta, sembra inghiottirmi.

Attraverso un traballante ponte sospeso su un ribollente fiume, e infine eccolo: il Matusalemme della natura.

Recentemente, un ricercatore ha scoperto un alerce patagónico, che ha più di 5.000 anni e che, come singola pianta, può essere considerata forse la più antica al mondo

L’albero che somiglia al BarbaPapà

Quello che colpisce, oltre alla sua imponente mole, sono il tronco e i rami, completamente ricoperti da uno spesso strato di muschio che fa da substrato a piccole felci. Insieme, da lontano, fanno apparire l’albero come fosse “peloso”. Se non fosse dissacrante, direi che somiglia agli alberi di Barba Papà.

Rimango in silenzio, fermo, ad ammirare la volta del cielo coperta dai lunghissimi rami verdi e contorti. Mi sento come in attesa che la foresta si animi e inizi a raccontarmi la sua lunghissima storia.

Non so se alcuni di questi alberi abbiano già raggiunto i cinquemila anni. Dall’alto della chioma ti guardano con diffidenza. Non sembrano avere voglia di raccontarmi nulla, e forse è giusto così. L’uomo è quasi riuscito a estinguerli, sfruttando il prezioso, durissimo legno per farne scandole da costruzione. Molte delle tegole che ancora coprono tetti e pareti delle baracche più vecchie sono fatte di questo immarcescibile legno.

Se questa non è un’eccezionale emergenza naturale, allora cosa lo è? Proteggere questi luoghi è proteggere una parte della nostra storia e del nostro futuro. La prossima volta vi parlerò delle Espeletia trovate nel Parco Nazionale El Ángel, in Ecuador.

(1 – continua)

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