Per “Insoliti Viaggiatori – Viaggi per Umani” ecco Stefano Cipollone: la Strada di un Sognatore, da Venezia alla Malesia
Stefano Cipollone (classe 1992, da Ortona) è un esploratore contemporaneo, portavoce di uno spirito libero votato all’avventura e alla scoperta. La sua passione per le due ruote nasce presto, alimentata dalla voglia di libertà e indipendenza.
“Il motorino era il simbolo della nostra adolescenza,” racconta Stefano, che ha iniziato il suo percorso con uno Scarabeo 50 quattro tempi. Ma la vera scintilla arriva a 16 anni, quando entra nella sua vita una moto particolare: un Peugeot XPS 125, affettuosamente soprannominato “Pegiottino”.
Questo mezzo, all’apparenza modesto, si rivela l’inizio di qualcosa di straordinario. Con il “Pegiottino”, Stefano compie il suo primo grande viaggio: una salita fino alla Maiella con un amico, dove la neve e il freddo rendono l’impresa epica per due sedicenni. Quel viaggio rappresenta il primo assaggio di una libertà più grande e di un legame indissolubile con la sua moto.
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Negli anni seguenti, Stefano lascia il “Pegiottino” in garage, preso dagli studi e dal lavoro sulle navi mercantili. Ma nel 2018, con un semplice tagliando, riporta in vita il suo fidato compagno per un viaggio che cambierà la sua vita. Partito da Chiavari con l’intenzione di sostenere un esame a Venezia, Stefano decide di proseguire verso l’Est Europa, attraversando i Balcani con pochi mezzi e tanto coraggio. Tra freddo, pioggia e neve, scopre l’ospitalità straordinaria delle persone incontrate lungo il cammino.
“La moto è un compagno di viaggio, non solo un mezzo,” spiega Stefano. Questo legame speciale con il suo Peugeot 125 diventa il cuore di una storia che attraversa paesi, culture e confini. Dalla Turchia all’Iran, dall’India al Bangladesh, ogni chilometro percorso è un tributo al potere dell’incontro umano.
Questa prefazione è solo un assaggio del percorso unico di Stefano Cipollone, un viaggiatore che ha saputo trasformare ogni sfida in opportunità e ogni incontro in ispirazione.
I primi motorini e le motivazioni di un giovane motoviaggiatore
Cominciamo da una cosa generale: raccontami un po’ di te, della tua passione per la moto. Come hai iniziato? Sai, oggi non è facile trovare un giovane che si appassioni alle due ruote. La moto è diventata quasi una cosa da “vecchi”, mentre una volta era un simbolo di libertà. Ora a molti giovani non interessa nemmeno la macchina…
“È vero! Io penso di appartenere a una delle ultime generazioni in cui il motorino era fondamentale. Se non avessi avuto un motorino, sarei stato tagliato fuori. Non solo era utile per andare a lavorare – come fare il cameriere o il bagnino d’estate – ma era anche un mezzo per uscire con le prime ragazzette. Sono del 1992, quindi ho compiuto 14 anni nel 2006, non proprio un secolo fa. Ad Ortona, in Abruzzo, il motorino era un must: non ricordo un compagno di scuola che non lo avesse. I pochi che ne erano privi sembravano quasi “fuori posto”. Insomma, il motorino e il quattordicenne maschio erano un tutt’uno”.
“Io, ovviamente – continua Stefano -, puntavo al due tempi – che era molto in voga – ma mio padre mi mise subito alla prova: “Prima devi lavorare e capire il valore del sacrificio”, mi disse. Così, a 14 anni, la domenica facevo il porta-bevande in un ristorante. Alla fine, mi aiutò, ma mi comprò uno Scarabeo 50 quattro tempi. Grande conquista perché finalmente ero autonomo, anche se tutti gli altri avevano il due tempi e mi prendevano un po’ in giro. Ma non mi importava: potevo muovermi liberamente! Ricordo ancora il mio primo “viaggio” con quello Scarabeo: Ortona-Vasto, 50 km all’andata e altrettanti al ritorno, lungo la costa dei Trabocchi. Avevo 14 anni e mi sembrava un’impresa epica. All’epoca non c’era il GPS, solo i cartelli stradali, e quella domenica di primavera mi sentivo un esploratore. La passione per le due ruote, quindi, nasce da una necessità pratica – spostarmi in zona – ma anche da quel senso di libertà e avventura che il motorino regalava”.
I tuoi genitori andavano in moto?
“Non proprio. Mio padre aveva una Vespa PX 125 dell’84 o ’85 che mi lasciò guidare per qualche mese. Purtroppo, un giorno una signora non rispettò uno stop e piegai il telaio della Vespa. Fine della storia, dovemmo demolirla. Avevo 16 anni, avevo già preso la patente del 125 e sognavo una Aprilia RS 125 due tempi, ma mia madre era categorica: troppo potente, troppo pericolosa. Mio padre, esasperato dalle mie richieste, riuscì a recuperare una vecchia Vespa prestata a un amico. Mi sembrava un miracolo! Preparare la miscela era una gioia. Ma, poco dopo, la Vespa sparì a causa di quell’incidente”.
“Nel frattempo – aggiunge -, avevo messo da parte qualche soldo e puntavo ancora alla RS. Tuttavia, mia madre e persino i nonni erano contrari. Alla fine, la svolta arrivò grazie a mio zio Massimo, il vero motociclista della famiglia, che mi trovò una moto particolare: un Peugeot XPS 125. Questa moto aveva una storia assurda: era stata comprata da un prete in provincia di Ascoli, che viveva in montagna. Il prete ci cadde da fermo, si spaventò e la riportò indietro dal concessionario. Così, a 16 anni, mi ritrovai con questo “pegiottino” unico nel suo genere. Ancora oggi penso di essere l’unico essere umano – forse dell’intera galassia! – a possedere un Peugeot XPS 125”.
Eh sì, davvero una moto particolare! Non l’avevo mai sentita nominare prima di conoscerti…
“Ah, ma non ti ho ancora raccontato la più bella! Nel 2022 ero all’EICMA e sono passato allo stand della Peugeot. C’era un dirigente, uno importante, e mi sono detto: “Devo stringergli la mano”. Così gli dico: “Complimenti, avete fatto un mezzo incredibile! Non riesco nemmeno a spiegare scientificamente come faccia a funzionare ancora dopo tutti i maltrattamenti e i chilometri che gli ho fatto fare”. Lui mi guarda un po’ perplesso e mi chiede: “Che modello è?”. E io: “XPS 125, motorizzato Yamaha”. Al che lui, ancora più perplesso, mi risponde: “Ma sei sicuro? Non mi sembra neanche un nostro modello”. Cioè, nemmeno loro si ricordavano di averlo prodotto! Ho fatto ricerche nei gruppi internazionali di appassionati e praticamente è quasi un prototipo: la Peugeot ne avrà venduti cinque in tutto il mondo. Io, personalmente, ne ho trovati solo altri due, che ormai non esistono più. Penso di essere l’unico al mondo – forse nell’intera galassia – ad averne ancora uno!”
Grande! Senti, mi hai parlato del tuo primo viaggio di 100 km col motorino. E con il “pegiottino”, invece?
“Ah, il “pegiottino”! Prima di quel viaggio non aveva nemmeno un soprannome. Era semplicemente la motoretta che i genitori ti comprano a 16 anni per andare a lavorare, a scuola, o a pallavolo – giocavo a pallavolo. Era un mezzo pratico, niente di più. Ma tutto è cambiato con il primo vero viaggio. Avevo 16 anni e, con un amico, siamo andati in cima alla Maiella con i nostri 125. Era il primo novembre, c’era già un po’ di neve e faceva freddo. Ricordo un aneddoto: avevamo portato del pollo con riso che aveva preparato la mamma del mio amico. Per scaldarlo, lo abbiamo messo sulla testata del Peugeot! La pentola era di metallo, quindi funzionava. Quella salita, con i nostri due piccoli 125 a carburatore, ci sembrava un’impresa epica. Ancora oggi il mio amico mi dice: “Ste, quel viaggio ci ha cambiato la vita!”. A parte qualche altra uscita per andare dai nonni a San Benedetto, sono stati pochi i viaggi significativi con quella moto. Dopo il diploma al Nautico e l’inizio della mia carriera sulle navi mercantili, il “pegiottino” è finito in garage”.
La svolta del 2018: dal tagliando all’epica avventura nei Balcani e oltre
Quindi, dopo il diploma hai cominciato a lavorare?
“Sì, ho usato il Peugeot fino al quinto superiore, anche per fare il bagnino d’estate. Poi, preso il diploma, è arrivata la mia prima macchina: una mitica Fiat Uno 1000 Fire. Da lì, il Peugeot è stato abbandonato: diciamocelo, un 125 quattro tempi non è certo un missile! Per anni è rimasto in garage, coperto di polvere. Ma nel 2018 l’ho riscoperto. Dovevo andare in Liguria per prepararmi a un esame molto difficile. Non avevo né la patente A2 né A3, né altre moto, e la macchina di famiglia la usava mia madre per lavorare. Ho pensato: “Aspetta un attimo, ma io ho il Peugeot in garage. Vediamo se riparte”. Sono andato dal meccanico, che mi ha detto: “Guarda, secondo me ti si fonde prima di arrivare in Liguria”. Beh, non solo ci sono arrivato, ma sono andato oltre: quel meccanico si è sbagliato di grosso! Ho fatto un semplice tagliando, l’ho tirato fuori dal garage e sono partito”.
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“Il viaggio è stato epico – spiega Stefano -: prima tappa dai nonni a San Benedetto del Tronto, poi una tirata di 15 ore fino a Milano su strade normali – niente autostrada. A Milano, ho anche fatto serata con degli amici, all’Hollywood! Ero distrutto, ma il Peugeot ce l’ha fatta. Il giorno dopo sono ripartito per la Liguria, e lì è rimasto per un po’, usato solo per piccoli spostamenti. Ma già in quel viaggio stava diventando qualcosa di più: non solo un mezzo, ma un compagno di avventure”.
Ma come inizia il viaggio?
“Allora, dopo qualche mese di preparazione, presento la domanda in Capitaneria di Porto per sostenere l’esame. Mi assegnano la sessione a Venezia. Così, dalla Liguria rifaccio il tragitto: Genova, Milano, Verona e poi Venezia. Arrivo pure in ritardo, sembrava una scena da un film di Verdone! Sai quella di “Carabinieri”, quando lui si presenta all’esame tutto sudato? Ecco, uguale. Il Peugeot a tutta, ma non ce la faceva più. A Venezia, non ci sono strade: lascio la moto a Piazzale Roma, corro a piedi e arrivo trafelato. Nemmeno ho avuto il tempo di spiegare: “Guardate, arrivo da lontano, con un 125”. Faccio l’esame. Il giorno dopo il maresciallo annuncia: “I risultati arriveranno tra 20 giorni o un mese”. E io penso: “Cavoli, e ora che faccio? Ho questa motoretta qui a Venezia, è il 18 novembre, fa freddo. Non voglio rifare la strada dell’andata. E se andassi dall’altra parte dell’Adriatico?”. Chiamo mia madre e le dico: “Mamma, penso di rientrare a casa tra una decina di giorni”. Mai previsione fu più sbagliata! Un mese dopo, la moto non era ancora rientrata in Italia. Quel viaggio si è trasformato in un’odissea, ma a 26 anni era un’avventura epica. Mi è sempre piaciuto mettermi alla prova fisicamente, e fare i Balcani d’inverno con un 125 era una sfida incredibile”.
Quindi prosegui lungo l’ex Jugoslavia. E poi?
“Sì, parto con l’idea di attraversare i Balcani. Il maltempo si è fatto subito sentire: freddo, pioggia, neve. Ma l’ho presa come una sfida. Avevo sempre il timore che il Peugeot fondesse. Quando la pioggia batteva sulla testata calda, vedevo il fumo e mi fermavo, convinto che fosse il motore a bruciare. Poi capivo che era solo l’acqua che evaporava, e ripartivo. Lungo il percorso, degli amici mi hanno messo in contatto con altri nei Balcani. Lì l’ospitalità è incredibile: se non resti a mangiare o a dormire, si offendono. Mi passavano letteralmente da una casa all’altra, come in una staffetta di ospitalità. Ricordo però le difficoltà: ero vestito malissimo. Scarpe da tennis, jeans strappati, un piumino leggero, un casco da enduro, e uno zaino comprato dai cinesi a Genova. Non avevo borse, serbatoio supplementare, navigatore, niente. Nemmeno il passaporto! Pensavo di restare in Liguria, quindi non l’avevo portato. E la moto era ancora intestata a mia madre, perché l’avevamo comprata quando avevo 16 anni”.
“In Bosnia – continua Stefano – ho dovuto comprare degli stivali, ma non c’erano quelli da moto. Ho trovato dei doposcì con la pelliccia, che però si ghiacciavano con la neve. La sera arrivavo fradicio e congelato, ma mi scaldavano con la rakija e grandi feste. Oggi, solo al pensiero mi viene il mal di gola e il freddo alle ossa, ma all’epoca, con la giovinezza dalla mia parte, andavo avanti senza pensarci troppo. Continuavo a dirmi: arrivo al prossimo porto, finché il Peugeot non si ferma o finché non trovo un traghetto per tornare a casa”.
Quindi sei partito a novembre?
“Sì, il 15 novembre 2018 da Chiavari, per l’esame del 18 a Venezia. E da lì, tutto ha preso una piega che non avrei mai immaginato”.
E quindi cominci. La prima tappa? Per quanti mesi viaggi?
“Non avevo un itinerario prestabilito, tutto si decideva giorno per giorno. Non ero mai stato nei Balcani, quindi ero curioso. Cercavo di rimanere il più possibile sulla costa per evitare il freddo, ma poi ho avuto l’idea – un po’ malsana – di addentrarmi a Sarajevo. È stata un’esperienza incredibile: ho conosciuto una famiglia fantastica e mi sono fermato lì per una settimana. La scusa ufficiale era il ghiaccio sulle strade, ma la realtà è che l’accoglienza era talmente calorosa che non volevo andarmene. Da lì, ho deciso di visitare Belgrado. Ho lasciato la moto a Sarajevo e sono andato in autobus, poi sono tornato indietro. Dalla Bosnia ho proseguito il viaggio toccando Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia, Albania, Montenegro, Macedonia del Nord, Grecia e infine Turchia”.
Turchia? Ma quindi eri ancora senza passaporto?
“Esatto. Non avevo il passaporto, perché non avevo pianificato di uscire dall’Europa. Dovevo semplicemente riportare la moto a casa”.
E quindi, come hai fatto?
“Fino alla Turchia, tutto bene. Con la carta d’identità potevo attraversare i confini europei, anche in paesi come l’Albania, che non sono nell’UE. Ma alla frontiera tra Grecia e Turchia ho trovato il primo grande scoglio: i turchi non volevano farmi entrare con una moto intestata a mia madre. Era metà dicembre, c’era una bufera di neve, e nessuno alla dogana parlava inglese. Ho provato col francese scolastico, ma mi hanno detto che senza una delega firmata dal proprietario non potevo entrare. A quel punto, si è acceso il “napoletano” in me. Ho chiesto al duty-free di stampare un’e-mail. Mi sono mandato una mail fingendo fosse mia madre, poi ho chiamato mia madre via WhatsApp usando il Wi-Fi del duty-free e le ho chiesto di mandarmi una foto della sua carta d’identità. Lei, sconvolta: “Stefano, ma cosa stai combinando?”. Io: “Mamma, tranquilla, è l’ultimo paese!”. Con la carta d’identità e la mia “delega falsa” fatta a mano, sono tornato dai doganieri. Ovviamente si sono insospettiti, hanno confrontato la firma sulla delega con quella sulla carta d’identità. Per fortuna, l’esperienza di falsificare giustificazioni a scuola è tornata utile: le firme erano identiche! Alla fine, contrariati, mi hanno lasciato passare. È stata una delle mie prime grandi soddisfazioni a una dogana”.
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“Appena entrato in Turchia – conclude Stefano -, i militari mi hanno fermato per chiedermi dove andassi. Io non avevo mappe né navigatore, quindi ho detto: “Alla prima città che incontro per dormire”. Mi hanno lasciato andare, ma il giorno dopo ho avuto un mezzo infarto: pensavo che mi avessero rubato la moto. Era parcheggiata sotto una coltre di neve, completamente mimetizzata! Ho dovuto scongelare il blocchetto con dell’acqua tiepida prima di poter ripartire…”
Con Stefano in mezzo alla neve, intento a scongelare il blocchetto della sua moto per ripartire lungo le strade innevate della Turchia, si conclude la prima parte di questa straordinaria intervista. La prossima settimana scopriremo come il viaggio di Stefano abbia attraversato confini e continenti, portandolo fino alle calde terre del Sud-est asiatico, tra paesaggi mozzafiato e incontri che hanno cambiato la sua vita.
Luca Gentili
(1 – continua)