Il sistema sanitario nazionale di fronte alle differenze culturali e religiose che emergono nei luoghi di cura. E in particolare: quali esigenze manifestano i pazienti di religione ebraica e quelli islamici? Un tema complesso e delicato che è stato affrontato a Palazzo Patrizi nell’ambito del Festival della Salute che si svolge a Siena fino al 27 novembre.
“Gli operatori sanitari si trovano di fronte ad una realtà variegata e spesso le relazioni medico-paziente sono difficili ed hanno bisogno di una mediazione linguistica-culturale” ha detto Federica Sona, della Harvard Law School, Program on Law and Society in the Muslim World, Harvard University, Cambridge (MA, USA) – Senior Research Fellow, Max Planck Institute for Social Anthropology, Department ‘Law & Anthropology’, Halle/Saale (Germany).
“Occorre considerare il fatto che nella tradizione islamica la pratica religiosa è parte della terapia – ha ricordato Federica Sona – e le particolarità del paziente islamico vanno tenuto di conto soprattutto se si considera che la popolazione islamica cresce più delle altre. Si stima che in Italia raggiungerà il 10% nel 2050”.
È quindi essenziale conoscere alcuni concetti fondamentali, secondo Sona: “Nella tradizione islamica vi è unità tra corpo e spirito. Il corpo è considerato proprietà divina e l’uomo ne ha una sorta di concessione fiduciaria”.
“Occorre conoscere la particolarità di alcuni temi affrontati nel diritto islamico – ha poi precisato Federica Sona – Ad esempio in certi casi – vi sono differenze tra le dottrine sunnite e quelle degli sciiti – si crede che l’infusione dell’anima avvenga tra i 40 e i 120 giorni successivi al giorno del concepimento. E questo spesso crea confusione nelle donne islamiche rispetto ai tempi previsti dalla legge italiana per abortire, anche se va specificato che nel mondo islamico l’aborto non è considerato un metodo contraccettivo”.
Gli stessi concetti sono stati espressi da Carlo De Angelo, docente di diritto islamico contemporaneo, l’Università di Napoli “L’Orientale” che ha trattato il tema: “Il paziente islamico, ospedalizzazione e fine vita” . “Abbiamo una quantità enorme di regole che il paziente islamico deve soddisfare – ha specificato De Angelo – anche per quanto riguarda la morte del paziente che a volte sopraggiunge nei luoghi di cura. Ad esempio la questione dell’esame autoptico, si tratta di un problema che si è manifestato in modo drammatico durante la pandemia da Covid-19. Spesso le famiglie hanno vissuto come una colpa l’autopsia di un loro parente: si sono sentiti peccatori. Su questo argomento molti musulmani fanno riferimento a motivi religiosi. In realtà anche gli orientamenti più conservatori (ad esempio esiste uno studio degli anni Settanta realizzato dalle autorità religiose saudite) che in realtà ammette la possibilità di esami autoptici, sua per cause legali, per fini patologici e anche per fini pedagogici”.
“Il paziente ebreo ospedalizzato. I suoi bisogni religiosi e culturali” è stato il tema trattato in chiusura del convegno da Michael Barilan, professore al Department of Medical Education, Sackler Faculty of Medicine Tel Aviv University, il quale a proposito di questioni delicate come quelle poste da fine vita, ha ricordato come nell’ebraismo non vi è un diritto alla morte bensì un diritto alla non sofferenza: “Nella tradizione ebraica la sofferenza incessante è peggiore della morte”.
“Per il malato la serenità è la cosa più importante – ha aggiunto Michael Barilan – e la cura del malato, nella tradizione rabbinica è l’atto di carità per eccellenza”.