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giovedì, Novembre 21, 2024

A sedere in panchina vinsi il primo scudetto della Mens Sana

I ricordi di Niccolò Rovai, giovanissimo aggregato alla squadra di Recalcati: “Siena imparò a sentirsi vincente”

Niccolò Rovai, oggi padre di due bei gemelli, collaboratore dello Studio notarile Zorzi, in passato barbaresco della Selva e giocatore della Mens Sana. Già… un biancoverde.

Senti Niccolò, ma non c’era una ricorrenza mercoledì scorso… ?

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“Davvero. Prima di addormentarmi, unico momento della giornata che ho per parlare con mia moglie Margherita, le ho detto… ti ricordi che vent’anni fa, la Mens Sana aveva vinto il suo primo scudetto? In quel momento – il 5 giugno 2004 – io ero in panchina a godermi quello spettacolo e da lì cambiarono le sorti e i destini di una società, dei suoi tesserati, di una città per dieci anni almeno”.

Niccolò tu eri il dodicesimo in formazione di quella squadra. Avrai figurato poco, ma la soddisfazione deve esser stata enorme…

“Accadde una concomitanza. I play-off scudetto simultanei alla finale nazionale degli Under 20 che vincemmo ugualmente. La Mens Sana teneva moltissimo alle competizioni giovanili e le onorava fino in fondo. Venne deciso che con Lorenzo Ghezzi saremmo rimasti aggregati alla squadra di Recalcati”.

Al metro e novanta non ci sei arrivato, cos’eri un play o una guardia?

“Giocavo da 2, avevo caratteristiche improntate alla parte difensiva, e in attacco… non sfiguravo. Ciò nonostante quella stagione giocai… zero minuti e zero secondi con la prima squadra. Solo a Biella durante la regular, sentii che forse era arrivato il mio momento. Le mie soddisfazioni al massimo potevo cavarmele in allenamento, anche se in quella stagione in pratica la squadra giocava ogni due giorni ed erano solo rifiniture. Tuttavia, una volta, Pianigiani, che allora era il secondo, venne a dirmi che Thornton si era lamentato di quella mosca fastidiosa che gli si era attaccata addosso in allenamento. Che soddisfazione… in quella stagione Bootsy fu il miglior marcatore della Mens Sana”.

Ci ricordi come era fatta quella squadra?

“Certo, è giusto. Il capitano era Roberto Chiacig, poi Vrbica Stefanov, Mindaugas Žukauskas, Dušan Vukčević, David Vanterpool, Giacomo Galanda, Bootsy Thornton, David Andersen, Michalīs Kakiouzīs, Marco Sambugaro, Lorenzo Ghezzi e… Niccolò Rovai. Questi gli uomini che vendicarono con un 3-0 sulla Fortitudo Bologna, la cocente sconfitta per un punto (103-102) nella semifinale di Eurolega a Tel Aviv il mese prima. Però vanno ricordati anche tutti gli altri che se ne andarono a vincere la finale Under 20 e che contribuirono ad allenare la squadra maggiore. Parlo di Marco Tagliabue, Luca Vitali, Luca Lechthaler, Simone Berti, Tommaso Marino, Luigi Datome, Carmine Cavallaro, Valerio Circosta, Giovanni Fattori e Ivan Scarponi, tutti amici che porto sempre con me con grande affetto”.

Che ci dici di coach Recalcati?

“Ti dirò. Se penso a un allenatore mi viene sempre in mente Recalcati. Aveva una sorta di aurea intorno, sembrava un santo… Aveva quell’equilibrio giusto che si parlasse di tecnica del basket o che si discutesse di un problema di altra natura dei giocatori. Era unico… ma poi c’era Pianigiani che avevo e ho avuto per tutte le giovanili e Giulio Griccioli. Tutte persone eccezionali, sono orgoglioso di aver imparato da loro. Con loro ho avuto la soddisfazione di vincere – eccetto quello di cui stiamo parlando – altri quattro scudetti: due nei cadetti, uno negli juniores, uno negli Under 20.

Ma un ricordo veramente speciale supponiamo vada a due allenatori selvaioli: Giorgio Brenci ed Ezio Cardaioli...

“Nel loro mito sono cresciute generazioni di cestisti senesi e nel mio piccolo, con Giorgio, vantiamo la vittoria di un campionato giovanile regionale e con Ezio ho condiviso alcuni dei suoi interventi tecnici durante gli allenamenti al Cus, sempre di un’attualità e modernità stupefacenti”.

Abbiamo parlato di Giulio Griccioli. Per la finalissima con il Costone era al PalaEstra e dice di aver anche imparato il cantonese…

“Ci siamo visti. Sono felice per lui. L’avevo perso un po’ di vista ultimamente, ma lo seguivo nei suoi giri da tecnico, compresa l’esperienza cinese iniziata con Simone Pianigiani e proseguita in totale autonomia. E’ stato una colonna importante per noi e tuttora ispira  nella sua accettazione di andare lontanissimo pur di fare il lavoro che predilige”.

Senti, ma poi la tua carriera sportiva finì in quella stagione o è andata avanti?

“Feci un altro campionato con la Mens Sana negli Under 20, poi iniziò il percorso del doppio tesseramento, quindi andai, anche per consiglio di Griccioli, al Cus che giocava in serie C dato che mi ero finalmente deciso ad avere un percorso universitario. Ho giocato ancora diversi anni e per altri ho fatto il dirigente del Cus”.

In Piazza con alle redini Mississipi

Serie C, quest’anno è stata scoppiettante a Siena…

“Tutta l’annata l’ho seguita un po’ a corrente alternata, ma la finale è stata davvero emozionante. Mi fa piacere per il Costone; molti di quelli che ci sono ora li conosco bene e mi ritengo loro amico. Parlo di Gigi Bruttini, Andrea Sprugnoli, Bonelli e Naldini. Vittoria meritata”.

E per la Mens Sana non hai alcun pensiero?

“Tutt’altro. La Mens Sana ha posto basi non indifferenti per una seria ripartenza. Ha mostrato di avere dirigenti competenti, un progetto chiaro e tanta voglia di riscoprire il settore giovanile che sta già potenziando. Sono le basi che l’hanno portata ad essere grande in passato e mi sembra sulla strada giusta per ripetersi, supportata dalla passione sfrenata dei tifosi che non mollano un centimetro che sia per una partita di Eurolega o sia per una partita di regular season di promozione”.

Cos’altro aggiungere su questo primo scudetto di vent’anni fa?

“A me, poco meno che diciottenne, fece impressione che mi chiedessero autografi. Ridevo, non riuscivo a prendermi sul serio, mi schermavo, dicevo io non c’entro. Di fatto quel successo cambiò la mentalità di tutta la Mens Sana. Da provinciali diventammo vincenti. Già l’anno precedente – quarti nella regular, fuori in semifinale con Treviso poi scudettata -, ci furono molti meriti, ma lo scudetto (oltre alla Coppa Saporta) rappresentò il vero cambio di marcia”.

Primi contatti con l’aria di piazza per Giulio e Giovanni Rovai

Senti, nel cortile di casa tua, c’è già un canestro per bambini… E’ un segno che i tuoi figli continueranno quello che hai oggi interrotto?

“Il canestro ha rappresentato moltissimo in una fase della mia vita che ricordo con tanto piacere. Mi ha impegnato e dato tanto. Mi ha insegnato a cadere per rialzarmi; ha fatto parte del mio modo di vivere. Ai miei figlioli auguro di intraprendere una strada sportiva. Farò di tutto per aiutarli a farlo. Poi ognuno trova per proprio conto le cose che gli piacciono; il canestro in cortile è un modo per aiutare la loro scelta che sarà indipendente”.

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