Quattro dimissioni segnano un nuovo capitolo di frattura nel Partito Democratico senese. Stesse motivazioni del 2022, stesso contesto politico. Nulla è davvero cambiato?
Con un comunicato sobrio, Pasquale Di Fonzo, Giuseppe Famiglietti, Fiorino Pietro Iantorno ed Emiliano Rolla lasciano il Partito Democratico di Siena. La loro decisione non nasce da motivi personali né da divergenze ideologiche, bensì da un giudizio negativo sulla gestione del partito: “manca partecipazione, manca un confronto reale sulle scelte”, si legge. È un addio che non si presenta come una rottura, ma come un passo “necessario” per continuare a lavorare al rafforzamento dell’area progressista, ma fuori dal PD.
Chi ha seguito la vita politica cittadina negli ultimi anni avrà un inevitabile senso di déjà-vu. Ad aprile del 2022, un altro gruppo di dieci iscritti firmava un comunicato molto simile: denuncia della chiusura interna del partito, distacco dai territori, debolezza dell’opposizione alla destra in Comune e la decisione di allontanarsi da un partito vissuto come autoreferenziale. Anche allora si parlava di “partecipazione tradita”, di “circoli inerti” e di “assenza di confronto”.
La domanda, dunque, è inevitabile: questa nuova uscita è la continuazione di una vicenda irrisolta o la ripetizione ciclica degli stessi problemi?
Le analogie sono marcate. In entrambi i casi, i protagonisti motivano l’uscita con la mancanza di trasparenza e coinvolgimento negli organismi dirigenti, la scarsa vitalità politica e l’idea che le scelte siano guidate da pochi, senza una base realmente consultata. Si rivendica la volontà di costruire un campo progressista ampio, radicato nella società e alternativo alla destra, che — va ricordato — è ancora alla guida del Comune di Siena oggi, come tre anni fa.
Ma ci sono anche differenze. Nel 2022, il comunicato era firmato da un gruppo più numeroso e si collocava all’interno di un appello a “sospendere” l’appartenenza, lasciando la porta aperta a un possibile ritorno in un PD rinnovato. Il comunicato attuale è invece più netto: si parla di “dimissioni irrevocabili”, senza accenni a sospensioni o attese. Inoltre, viene citato un episodio concreto e recente — la sostituzione della capogruppo in consiglio comunale senza alcuna condivisione interna — a segnalare non solo un disagio generale, ma una soglia superata.
Cambia anche il profilo dei firmatari. Nel 2022, molti avevano un lungo trascorso nel PD, con storie politiche intrecciate e percorsi organizzativi vissuti nella temperie degli anni con la componente Eco Dem. Tra loro c’erano consiglieri comunali, ex assessori, un’assessora, un’ex presidente di circoscrizione, membri della sinistra giovanile.
Ora, invece, si tratta in alcuni casi di iscrizioni recenti, di personalità politiche maturate in altri percorsi e che si sono coagulate in occasione di una rapida vicenda congressuale, risolta — senza voler offendere nessuno — in un accordo con il Commissario per alcune presenze negli organismi.
Poco male, in politica si sfruttano le occasioni che le regole consentono. Stefano Bisi, ad esempio, parlando di Fiorino Iantorno, afferma: “non ha terra che lo tenga”, un modo di dire che ben si adatta all’ex consigliere comunale di Rifondazione comunista, poi passato al PD. “Aveva fatto fuoco e fiamme per entrare nella direzione comunale, ma si è dimesso. Non gli piace la gestione della segretaria”.
Insomma, per comprendere a fondo queste scelte — al di là delle dichiarazioni — bisognerebbe forse addentrarsi nelle storie personali, nei percorsi individuali e nei tanti momenti di confronto, tensione, fiducia e disillusione che hanno preceduto le dimissioni. Le ragioni politiche contano, ma da sole non bastano a spiegare un gesto così netto e meditato.
Probabilmente bisognerebbe tornare sulla recente vicenda commissariale e capire se – come taluno sostiene – si fosse lì seminato qualche frutto velenoso…
Alla fine, però, la domanda resta in piedi: è la storia che continua, con altri protagonisti e altri passaggi, ma è lo stesso nodo irrisolto? Oppure è un meccanismo che si ripete senza apprendimento, senza mutamento, semplicemente un percorso imitativo?
In ogni caso, il messaggio non cambia: il Partito Democratico senese continua a perdere energie, entusiasmo e militanza. E la costruzione di un’alternativa credibile alla destra? È possibile senza il PD? Si allontana? Oppure basta credere, per trovarla, di doverla cercare altrove?
Forse sta proprio qui la ragione per cui, nel 2022 come oggi, chi esce lo fa senza sbattere la porta. Lascia, semmai, qualche filo teso. Ma occorrerà molta lucidità politica, a chi resta nel PD, per riannodare quelle fila. Ricercare il bandolo della matassa. Saper valutare gli errori propri e quelli altrui. Saper davvero fare punto e a capo, senza rifuggire, nascondere ma nemmeno colpire. Trarre le giuste lezioni con equilibrio.
Una cosa è certa: questione di giorni o di mesi, ma come il gruppo di tre anni fa ha trovato una sua strada nel panorama politico cittadino, allo stesso modo faranno — o cercheranno di fare — i dimissionari di oggi. È una prova loro, e se la vedranno. Così come, più di recente, se l’è vista un altro gruppo: quello di Passione Democratica, che sembra aver trovato un proprio equilibrio tra le relazioni coltivate nel mondo progressista e ambientalista cittadino e il ruolo di pungolo nei confronti del PD, su temi e problemi rimasti aperti.
Insomma, a ben vedere, la partita è ancora in mano al PD. Certo, dovrà prendere atto che il recente congresso non ha risolto i problemi. Il gruppo dirigente mostra evidenti debolezze. Forse, però, potrebbe bastare un confronto attento con la minoranza congressuale — quella, per intendersi, di #Controcorrente, che candidò Vigni — per riaprire un percorso. Su questi punti, quella minoranza ha idee molto chiare.
Si dirà: era proprio questo confronto ciò che si voleva evitare. Appunto. E infatti quello è stato l’errore iniziale. Rimuovere l’errore potrebbe essere l’avvio di un percorso virtuoso. Provare per credere. In fondo, cosa costa? Quelli di #Controcorrente non lasceranno il partito, di cui si considerano di diritto fondatori. E fosse anche solo per spegnere la luce, resteranno fino alla fine.
Una cosa è certa: il cammino del PD resta accidentato e pieno di incognite, condannato com’è a non riuscire a trovare la strada per la sua riforma e tanto meno ad implodere e lasciare così “libero” il campo…