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venerdì, Agosto 1, 2025

Beko: quando il Comune entra in fabbrica

La municipalità senese entra nella partita industriale: 75 mila mq, 300.000 mc, un investimento pubblico con Invitalia per evitare l’abbandono dell’ex Whirlpool.

In un Paese che da anni fatica a mettere in campo una vera politica industriale, l’iniziativa senese rappresenta una novità di rilievo. Il Comune ha deliberato un atto d’indirizzo per dar vita, insieme all’agenzia nazionale per lo sviluppo, a una società di capitali con l’obiettivo di riqualificare e rilanciare l’area produttiva di viale Pietro Toselli.

Non si tratta dell’ennesima variante urbanistica né di un progetto teorico di rigenerazione. L’amministrazione sceglie di entrare nel merito del processo produttivo, partecipando alla selezione degli attori economici e contribuendo alla costruzione di un progetto industriale concreto. Non più spettatore o regolatore esterno, ma protagonista diretto, pronto a investire capitale e a condividere responsabilità economiche e politiche.

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La trasformazione è profonda. Il Comune non si limita più a decidere dove si può produrre, ma partecipa attivamente a cosa, come e con chi produrre. Con la società pubblico-pubblica insieme a Invitalia, Siena adotta un approccio che supera la logica della semplice pianificazione per entrare nel vivo della politica industriale.

È un cambiamento che implica nuove competenze e una diversa assunzione di responsabilità. L’amministrazione sarà chiamata a scegliere, negoziare, indirizzare, agendo nella fase esecutiva dello sviluppo economico, non più solo a monte. Come ha affermato il vicesindaco Michele Capitani, si tratta di “un segnale concreto di attenzione allo sviluppo economico locale”, ma anche di una dichiarazione d’intenti: tutelare il lavoro, valorizzare il territorio produttivo, attrarre investimenti.

Nel caso specifico, l’area coinvolta — l’ex stabilimento Whirlpool — si estende per circa 75.000 metri quadrati, con una superficie coperta di 34.000. Tuttavia, considerando i doppi volumi e gli edifici a più piani, la volumetria complessiva si stima intorno ai 300.000 metri cubi. Un’area di queste dimensioni rappresenta a tutti gli effetti un insediamento industriale o logistico di grande scala, con una densità volumetrica molto elevata.

Siena non è la prima città a percorrere questa strada. In Italia non mancano esperienze simili, che offrono spunti utili ma anche moniti.

A Napoli, nel caso Whirlpool, Invitalia ha svolto un ruolo centrale nel tentativo di rilancio industriale, poi fallito per mancanza di investitori credibili e per la fragilità del piano. Anche a Termini Imerese, ex polo Fiat, l’intervento pubblico non ha prodotto i risultati sperati. A Bagnoli, la collaborazione tra Comune e Invitalia per la rigenerazione dell’area ex industriale è ancora in corso, rallentata da complessità decisionali e tempi dilatati.

Diverso l’approccio dell’Emilia-Romagna, dove dopo la crisi del 2008 la Regione ha saputo fare da regista tra imprese e territori, senza entrare direttamente nel capitale ma offrendo una regia efficace. In quel caso, la ricostruzione industriale è stata più solida e veloce, grazie anche alla forza del tessuto produttivo preesistente.

Da queste esperienze emerge un messaggio chiaro: l’intervento pubblico può funzionare, ma solo se sostenuto da competenze adeguate, una visione strategica e una struttura capace di operare con logica imprenditoriale, senza snaturare la propria natura pubblica.

L’operazione senese ha il merito di scongiurare il rischio di abbandono o snaturamento dell’area, come spesso avviene quando il destino di un sito industriale è lasciato alla sola iniziativa privata. Al contrario, l’ingresso diretto del Comune permette di orientare le scelte in linea con le vocazioni del territorio, selezionare con attenzione gli investitori, garantire una tutela reale dell’occupazione.

Ma non mancano le incognite. In primis, il rischio di sovrapposizione tra ruoli: un’amministrazione che è al tempo stesso pianificatore e socio operativo può trovarsi in situazioni di conflitto d’interessi. Poi c’è il nodo delle competenze: gestire un’impresa richiede un bagaglio di conoscenze molto diverso da quello necessario per amministrare un ente locale. E infine, la possibilità di strumentalizzazione politica: un progetto di tale portata, se guidato da logiche elettorali, rischia di deragliare.

A tutto questo si aggiungono le implicazioni economiche. Il Comune parteciperà all’acquisto dell’area con una quota del 20%, ma l’impatto reale sul bilancio resta da chiarire. Inoltre, l’accordo prevede che l’immobile venga mantenuto in condizioni dignitose anche in attesa di un progetto industriale definito. Considerando la superficie e la volumetria — 300.000 metri cubi da preservare — i costi di manutenzione potrebbero diventare onerosi se il rilancio non si concretizzasse in tempi brevi.

Se poi qualcuno qualcuno intendesse considerare l’alternativa residenziale non troverà soltanto ostacoli urbanistici, una volumetria simile, se convertita in abitazioni, potrebbe ospitare fino a 1.000 alloggi, con una popolazione potenziale compresa tra 2.500 e 8.000 persone, a seconda della densità. In termini demografici, si tratterebbe di un incremento del 15% della popolazione cittadina: un impatto urbano enorme, imprevedibile.

L’esperimento senese potrebbe trasformarsi in un modello nazionale. Se avrà successo, potrà ispirare altri territori in crisi a percorrere strade simili: non limitarsi a pianificare, ma impegnarsi in prima persona per ricostruire un’economia produttiva legata al territorio.

Se invece non dovesse funzionare, potrà comunque offrire insegnamenti preziosi: su cosa evitare, come rafforzare la governance tra enti locali e soggetti pubblici, dove concentrare competenze e risorse.

In ogni caso, la direzione è segnata. In un contesto segnato da deindustrializzazione, precarietà e incertezza, la scelta di un Comune di rimettersi in gioco come attore industriale non va né esaltata né temuta. Va capita, monitorata e valutata nel merito, passo dopo passo.

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