Dal trauma alle nuove opportunità: identità, crisi e trasformazione del Monte dei Paschi
Siena è una città che ha sempre vissuto in equilibrio tra due tendenze opposte: da un lato, una forte identità comunitaria, che ha generato un senso di appartenenza profondo e radicato; dall’altro, una storia di scambi e contaminazioni, che l’ha resa capace di dialogare con il mondo esterno. Questa dualità si riflette in ciò che possiamo definire senesità chiusa e senesità aperta: due modi di vivere e interpretare l’identità senese, entrambi presenti nella storia della città e spesso in tensione tra loro.
La senesità chiusa è quella che difende le proprie tradizioni in modo rigido, considerandole un patrimonio da custodire gelosamente. È l’idea che il Palio sia un rito che solo i senesi possono comprendere fino in fondo, che la Contrada sia un vincolo inscindibile e che l’identità della città non possa essere realmente vissuta da chi non vi è nato. Questa visione ha garantito la conservazione di un’identità forte e distintiva, ma ha anche portato a una certa autoreferenzialità, che talvolta ha limitato la capacità di innovarsi e di confrontarsi con il cambiamento.
La senesità aperta, invece, vede le tradizioni non come un insieme di regole immutabili, ma come un’eredità dinamica, che può essere trasmessa e reinterpretata senza perdere il proprio valore. È la visione di chi pensa che il Palio possa essere spiegato e raccontato anche a chi non è nato a Siena, che la Contrada possa accogliere chi vi si avvicina con rispetto e che l’identità senese possa rafforzarsi attraverso il dialogo con l’esterno. Questa prospettiva ha permesso a Siena di mantenere un ruolo culturale e accademico di rilievo, di attrarre studiosi e visitatori e di evitare il rischio di trasformarsi in un museo di se stessa.
All’interno di questo quadro, il Monte dei Paschi di Siena ha rappresentato per secoli una delle principali fonti di sostegno della senesità, contribuendo sia alla sua dimensione chiusa che a quella aperta.
Da un lato, la banca ha sostenuto le Contrade, il Palio e le istituzioni locali, rafforzando il senso di comunità e il legame tra Siena e la sua storia. Ha finanziato il restauro di monumenti, ha garantito risorse per l’Università e ha sostenuto il tessuto economico cittadino, permettendo alla città di vivere in una sorta di stabilità protetta. In questo senso, MPS è stata un pilastro della senesità chiusa, perché ha contribuito a creare l’illusione che Siena potesse essere autosufficiente, che potesse vivere quasi esclusivamente grazie alla sua banca senza bisogno di diversificare le proprie risorse o di aprirsi a nuovi modelli di sviluppo.
Dall’altro lato, però, il Monte è stato anche uno strumento di apertura. Il suo ruolo di grande istituzione finanziaria ha permesso a Siena di dialogare con il mondo, di attrarre investimenti, di mantenere una posizione di rilievo nel sistema bancario italiano. Ha finanziato iniziative culturali, ha sostenuto la ricerca e ha dato lavoro a generazioni di senesi, portando alla città un benessere che andava oltre la dimensione locale. In questo senso, MPS ha alimentato anche la senesità aperta, perché ha consentito a Siena di rimanere connessa con l’esterno e di sviluppare relazioni oltre i propri confini.
Quando il Monte dei Paschi è entrato in crisi, Siena ha subito un trauma profondo. Non si è trattato solo del fallimento di un’istituzione economica, ma di una frattura che ha colpito entrambe le anime della senesità.
La senesità chiusa ha perso il suo principale punto di riferimento. Il crollo del Monte ha mostrato quanto fosse fragile l’idea di una città che potesse vivere protetta dalla sua banca, senza la necessità di aprirsi ad altre opportunità. Senza il sostegno economico del Monte, Siena si è trovata improvvisamente esposta, costretta a ripensare il proprio modello di sviluppo e a confrontarsi con una realtà diversa da quella a cui era abituata.
Ma la crisi ha colpito duramente anche la senesità aperta. Paradossalmente, il crollo del Monte è stato il risultato di una strategia di espansione e di apertura. La crisi non è nata da un isolamento, ma da una volontà di crescita, dall’idea di trasformare il Monte in una grande banca nazionale e internazionale, capace di competere con i grandi gruppi finanziari. L’acquisizione di Antonveneta e la ricerca di un ruolo più ampio nel sistema bancario sono state espressioni di una senesità che non voleva chiudersi in se stessa, ma che cercava di proiettarsi verso il futuro. Tuttavia, questa visione non ha trovato un equilibrio sostenibile e si è trasformata in un fallimento che ha travolto l’intera città.
La crisi del Monte ha dimostrato che né la senesità chiusa né quella aperta, da sole, potevano garantire il futuro di Siena. La chiusura ha creato una dipendenza pericolosa dalla banca, mentre l’apertura, se gestita senza solide basi, ha portato a scelte rischiose e insostenibili.
Guardando al futuro, Siena deve trovare nuovi modi per sostenere la propria identità e la propria economia. Dovrà declinare temi come la diversificazione economica; puntare su settori come la cultura, l’innovazione e il turismo di qualità, senza ridurre la città a una semplice meta per visitatori occasionali. Valorizzare le Università come motori di sviluppo, capaci di attirare talenti, investimenti e progetti di ricerca. Costruire un nuovo rapporto con la finanza, in un settore bancario cambiato, ma con la banca che c’è ancora, Siena potrebbe trovare nuovi modi per sviluppare un ruolo.
La città deve evitare il rischio di trasformarsi in una “cartolina” e investire in progetti che rendano Siena un luogo vivo, con opportunità per i giovani e per chi vuole farne il proprio centro di vita e lavoro.
Siena non può più contare su un’unica istituzione come pilastro della sua identità e del suo benessere. Il futuro della senesità dipenderà dalla capacità di costruire una nuova visione della città, che sappia coniugare tradizione e innovazione, senza rinchiudersi nella nostalgia né inseguire modelli di sviluppo che non le appartengono.
La crisi del Monte ha mostrato quanto sia pericoloso affidarsi a un solo modello di sviluppo, ma offre anche un’opportunità: ripensare Siena come una comunità capace di adattarsi, di innovare e di continuare a scrivere la propria storia.