Grazie a Maurizio Cenni continuiamo riflessione su passato e futuro di Rocca Salimbeni
Assolutamente troppo tempo che non coinvolgiamo Maurizio Cenni nelle nostre chiacchierate sulla città. Che si parli di Monte o di Palio, di costumi o relazioni, è sempre pronto a darci una visione delle cose in cui mescola la conoscenza di politico e amministratore al comune senso di semplice senese, attaccato a vestigia e tradizione, ma anche abbastanza interessato al progresso sostenibile.
Maurizio buongiorno, ci sono molte cose di cui parlare. Ti proporrei di iniziare a farlo con il Monte dei Paschi e dintorni, realtà che hai conosciuto bene anche dal di dentro quando ne eri dipendente. Ti va?
“Certo, anche se la mia esperienza lavorativa più avanzata si è chiusa all’interno di un settore che non si occupava certo di grande finanza…”
SienaPost ha prima dato risalto alle cose che ha voluto affermare l’ex sindaco e parlamentare Pd Franco Ceccuzzi, poi ha offerto un inizio di riflessione sul cambiamento di Mps, non tanto per sfatare le responsabilità che possono aver avuto esponenti del centrosinistra che avevano ruoli attivi, ma perché riconciliare il cervello di Siena con la realtà sarebbe un modo per guardare avanti. Cominciamo dalla realtà attuale, Mps è al centro di una scalata a Mediobanca. Ne uscisse vincitore diverrebbe terzo polo consolidato della nazione. Ha un senso fare il tifo per la vittoria di una banca che tutti dicono che non è più senese anche se non si è azionisti?
“Mi sembra che tutta l’operazione abbia caratteristiche tali da interessare marginalmente il rapporto Banca territorio, orientandosi alla costruzione di un polo finanziario in cui, posso sbagliare, credo che l’oggetto del desiderio sia, tramite Mediobanca, la prima Compagnia di assicurazioni in Italia – credo la seconda in Europa – con il concorso di soci privati e con la benedizione, e forse anche più di quella, del Governo. Ci saranno garanzie per i centri decisionali e i livelli occupazionali del territorio o l’asse si sposterà altrove? Ci sarà la stessa attenzione che il Monte dei Paschi ha riservato al personale delle varie acquisizioni mantenendo sempre i livelli occupazionali (e privilegi normativi e salariali) o si applicherà la pura logica industriale razionalizzando centri di potere e relativi costi?”
Dicci ancora qualcosa. Il Monte dei Paschi è solo il tuo passato o è ancora il tuo presente?
“È il mio passato lavorativo e sindacale e nonostante siano ormai quasi otto anni che sono a riposo mi interesso sempre alle sue vicende… Ed è il presente nelle valutazioni che stiamo facendo assieme anche oggi, per il peso che comunque ha per la città, per il destino dei suoi dipendenti e dei suoi tesori, ad esempio, che ritengo patrimonio di Siena. Tutte le volte che si apre il risiko qualche rischio lo intravedo e spero che chi di dovere faccia i passi necessari per assicurare la permanenza di tutto ciò a Siena”.
Checché la tendenza al risparmio degli italiani permanga, mi pare che Mps non voglia più essere banca retail e, conservando la sua interezza, non potrà mai essere quella sorta di mediocredito toscano per far lavorare le imprese. Cosa realmente pensi che succederà ai suoi uffici senesi e a quella moltitudine di palazzi di pregio che occupa? La collettività dovrebbe iniziare a prepararsi?
“Guarda Direttore che la vicenda si presta a riflessioni anche storiche, perché a seconda della configurazione degli asset post operazione si potrebbe ritornare addirittura a quella commistione tra banca retail e banca affari che generò la legge Bancaria del 1936, quindi penso che in termini di finanziamenti alle piccole e medie imprese bisognerebbe puntare su altri soggetti, o costruirne di nuovi con una vocazione specifica; per quanto riguarda il patrimonio vale quello che ho detto sopra, ossia attenzione ai beni mobili e immobili che sono patrimonio della città. Ma sono sicuro che anche alla Amministrazione Cittadina questi temi sono ben presenti e, grazie alla assoluta sintonia con il Governo Centrale, saranno sicuramente risolti per il meglio per Siena”.

Torniamo al dibattito che non decolla. Non sarà perché pur essendo in molti quelli che avrebbero qualcosa da dire, gli stessi non sono disposti ad ascoltare quello che gli altri dicono. Quindi si parla, si parla, senza che qualcuno ascolti?
“Per quanto mi riguarda quello che avevo da dire sulla vicenda “Antonveneta” lo ho già espresso compiutamente anche qui, e il dibattito sollecitato dalle recenti riflessioni di Ivano Zeppi darebbe ulteriori spunti di riflessione; in parte qualcuno ha dato una lettura di sistema cogliendo alcuni aspetti ma con un ragionamento che, per certi versi, si contraddice”.
Una fase del risiko sul Monte, quella che riguardò la prospettata fusione con la BNL, precedente ad AntonVeneta, ti portò a rilasciare un’intervista a Peruzzi del Sole 24 Ore nella quale criticavi aspramente l’operazione. E di lì seguì l’affossamento delll’operazione ma anche una sorta di tuo isolamento politico a cominciare da tutti gli esponenti allora di spicco a livello istituzionale del tuo partito… Ti va di parlarne?
“E’ così, osteggiai quella ipotesi e altre che puntando sull’aspetto dimensionale prescindevano da una lettura industriale dei processi. Non ho mai creduto alla teoria del gigantismo e ho sempre visto con sospetto manovre che avrebbero paventato un disancoramento della Banca dal territorio. La stessa teoria del polo aggregante che oggi qualcuno richiama come la stagione aurea della Banca aveva contraddizioni industriali legate alla duplicazione dei centri decisionali e costi legati ai processi di integrazione anche tra sistemi informatici non compatibili. Tante direzioni generali e tanti marchi spesso con sovrapposizioni territoriali infliggenti corrispondevano a logiche economiche o alla necessità di accordi politici tra territori? Non incorporare banche che facevano lo stesso mestiere e che erano utili per accrescere la presenza geografica non era forse un prezzo pagato senza alcun ritorno se non quello politico? Per queste posizioni sono stato processato, condannato e scomunicato (politicamente) nel periodo aureo di quando molti a Siena, e altrove, gridavano ”abbiamo una banca!” negli ambienti della Sinistra”.
Al centro di un altro momento caldissimo ci sei stato con l’incarico attivo di capogruppo di maggioranza. Un tuo predecessore decide di porsi una suggestione – se il Monte muore a chi va il patrimonio residuo? – e acquisì il parere favorevole del giurista Rescigno. Apriti cielo. Tutti contro Palazzo Pubblico, a idea mia, da allora il dibattito sulla Banca si è alzato senza più riabbassarsi. Con il senno del poi che racconto e quale giudizio dai di quei momenti?
“Sono passati anni luce da quel periodo e quella stagione, per certi versi piena di contraddizioni e di forzature, nasce dalla Legge Amato che interviene con l’accetta in un sistema che aveva grandi ammalati ma anche soggetti sani e che rappresentavano il salvadanaio per i salvataggi di ultima istanza, come il Monte dei Paschi di Siena. Quella fase servì comunque ad affermare la proprietà della Banca, anche con una serie di frizioni tra Comune e Provincia e un dibattito fra istituzioni e politica molto vivace. La trasformazione in società per azioni della Banca inoltre aprì una stagione in cui il sistema bancario e finanziario avrebbero navigato in un mercato aperto, assoggettò la Banca alle regole del mercato, e sarebbero serviti timonieri (cfr, leggi le Autorità di Vigilanza) in grado di vigilare meglio”.
“Per un po’ – continua l’ex sindaco di Siena – è stato così ma poi le Autorità di Vigilanza non sono state all’altezza di svolgere il loro compito, più preoccupate di liberare il mercato che di temperare le regole del mercato con quella prudenza che avrebbe dovuto proteggere le Fondazioni e non attaccarle in continuazione per rendere le banche scalabili, fra l’altro con l’utopia di creare aziende in grado di competere a livello europeo, cosa impossibile per il divario patrimoniale e dimensionale. Allora le Istituzioni iniziarono a giocare un ruolo che è stato comunque spesso difensivo. L’anomalia Siena derivava dall’anomalia Banca e fino a che le anomalie non sono state risolte la politica, e non le Istituzioni, hanno continuato a lavorare ai fianchi. Vedi, quando si punta il dito sull’intreccio tra la politica locale e la Banca, la domanda che mi faccio sempre è davvero meglio che se ne sia occupata la politica nazionale assoggettando quella locale?”
Dicevamo dell’on. Ceccuzzi. Ricevuto un avviso di garanzia si è sottratto a incarichi e dibattito pubblico fino al passaggio in giudicato del suo proscioglimento: quasi 12 anni. Merita una comprensione particolare?
“Come ho già avuto modo di dire in tempi non sospetti, quella vicenda giudiziaria a mio parere non aveva alcun fondamento, come poi è stato dimostrato e almeno su questo versante la comprensione è obbligatoria”.

Ascoltandolo nell’incontro ai Due Ponti abbiamo capito quel che prima ci sfuggiva, cioè la sua sfiducia politica e personale verso tutto quello che la città aveva costruito fino al suo breve mandato di sindaco e quindi azzerò ogni progetto che fosse in odore di gigantismo. Soprattutto quelli che riceveva in eredità da te. Gli anni ti hanno portato a comprendere oppure come altre volte abbiamo scritto su SienaPost aver cancellato il progetto dell’espansione a sud è ancor oggi inspiegabile?
“Aveva iniziato già una campagna elettorale con la parola d’ordine discontinuità e questo è comprensibile dato che si chiudeva un decennio – ndr, il decennio di Maurizio Cenni alla guida di Siena -, ma devo dire che non ho mai capito quale fosse la motivazione reale, certo è che cancellando le progettazioni precedenti ha gettato via bambino e acqua sporca; e ci è riuscito pure nella sua fugace apparizione. Da parte della Giunta Cenni non aveva nessun tipo di problema poiché il 90% degli assessori, a partire dal sottoscritto, avevano dichiarato di voler terminare la loro esperienza politica, senza pretendere niente in cambio. Io addirittura per non dare adito a voci ed eventuali equivoci, sono rientrato a lavoro a settembre e fino a maggio ho svolto il mio ruolo part time. I dieci anni precedenti fra le altre cose avevano visto la città primeggiare in tutti i campi, nelle classifiche per la qualità della vita e quindi non mi sembra che ci fosse molto da correggere, quanto piuttosto da implementare”.
“Le scelte programmatiche – continua Maurizio – erano frutto di un lavoro di coalizione in cui ovviamente il partito di maggioranza relativa, perennemente guidato da Ceccuzzi, aveva un ruolo preponderante, quindi le motivazioni stanno altrove. Forse i molti, troppi viaggi a Roma permettevano un livello di conoscenza diversa su cosa si stava per abbattere sulla città? Non so davvero. Certo come amministratori uscenti mostrammo spirito collaborativo, qualcuno addirittura fin troppo. Pensa che, su mia indicazione, tutti gli assessori della mia Giunta redassero una relazione di fine mandato da consegnare a chi ci avrebbe sostituito come terreno di riflessione: cose fatte, cose da fare, criticità da affrontare, progetti iniziati e loro stato di avanzamento. Fra le altre cose, mettevamo l’accento su di un cambio di fase che si intuiva per le prime difficoltà che si affacciavano in relazione all’andamento dei mercati e della Banca. La discontinuità sarebbe stata naturale e, ripeto, comprensibile, ma siamo andati ben oltre. Poi l’opera è stata completata negli anni seguenti; non tanto dalla gestione Commissariale che non poteva essere che neutra e passiva, ma soprattutto dai cinque anni successivi che hanno consegnato al centrodestra la città. Perdere così tanto tempo nella progettazione della città ha costi forse irrecuperabili e certo oggi servirebbe uno scatto in avanti più deciso sia in termini di progettazione urbanistica, sia in termini di valorizzazione delle risorse culturali, ma soprattutto di delineare quale idea di città si ha in mente e quali sono le leve e le risorse da reperire e attivare”.

Ultima sul Monte. Con il tuo decennale in Piazza del Campo 1 gli utili Mps il Comune comincia a usarli nella gestione ordinaria anziché solo in un’eventuale grande opera. Fu una scelta o una necessità?
“Più esattamente direi che una parte degli utili, sempre comunque collegata a progetti ben definiti e rendicontati, altrimenti non ci sarebbero state erogazioni, fu utilizzata sulla parte corrente del bilancio per riuscire a costruire una rete sociale che fosse realmente protettiva per le fasce più deboli della popolazione, sulla gestione dei beni culturali e sulla promozione turistica. Inoltre usammo le risorse come moltiplicatore per le grandi opere, ovvero, anziché finanziare l’intero importo, finanziavamo la rata di mutuo relativa al prestito contratto con le risorse endogene del Comune. Certo assumendo una dose di rischio poiché puntavano sulla buona gestione di soggetti che non controllavamo direttamente – la Banca soprattutto -, ma consapevoli che qualora le cose fossero andate storte avremmo dovuto ridimensionare le aggiunte al sociale, mantenendo livelli minimi essenziali di assistenza. Fu quindi una scelta che ha permesso la realizzazione di opere pubbliche ben visibili, come il raddoppio del patrimonio abitativo di proprietà, parcheggi eccetera. Parliamo di condizioni irripetibili, purtroppo, a meno che non si cambi prospettiva e si inizi a ripensare funzioni e attrattività della Città, come drenare risorse esterne, con meno interventi spot e una idea più programmatica. Ma senza una definizione delle linee, il rischio è di bruciare risorse in interventi estemporanei che danno il senso della precarietà e volatilità. Ad esempio, la città ha ancora una vivacità culturale pregevole, e quindi sfruttiamola… Mettiamola in mostra, chiediamo aiuto ai nostri musicisti, attori, danzatori, teatranti e costruiamo appuntamenti ricorrenti valorizzando loro e Siena, ma questo è un altro discorso e con il Monte c’entra poco”.