Richiedenti asilo, un’emergenza senza fine, perché il sistema continua a fallire?
Qualche giorno fa SiSolidal, un’organizzazione senese che si occupa di accoglienza e integrazione, ha lanciato un grido di allarme riguardo al rischio che quaranta richiedenti asilo possano trovarsi a dormire nei parcheggi Siena.
Si dirà: è già successo! Dove è la notizia? L’immagine di quaranta persone costrette a dormire nei parcheggi di Siena non è un episodio isolato, ma il sintomo di un sistema di accoglienza al collasso. Dietro questa crisi, apparentemente irrisolvibile, si nasconde una complessa rete di problemi strutturali, scelte politiche controverse e inefficienze croniche che trasformano la ricerca di protezione in un viaggio attraverso l’inferno burocratico.
Il sistema italiano di accoglienza si configura come un puzzle di sigle e procedure che, invece di proteggere, spesso intrappola. Gli hotspot, concepiti per identificare i migranti in 48 ore, sono diventati luoghi di permanenza forzata dove migliaia di persone vivono in condizioni disumane. I Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), nati come soluzione temporanea oltre dieci anni fa, ospitano ormai l’80% dei richiedenti asilo, ma offrono spesso solo un tetto precario con servizi di integrazione limitati e una qualità variabile tra le diverse strutture.
Nel 2020, secondo l’UNHCR, oltre il 50% degli ospiti nei CAS viveva in strutture con condizioni di accoglienza insufficienti, come evidenziato nel rapporto annuale sulle politiche migratorie italiane. Intanto, il Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI), l’unico percorso che prevede corsi di italiano, formazione lavorativa e supporto legale, ha posti insufficienti e criteri di accesso sempre più restrittivi. Questo implica che migliaia di persone restano bloccate in un limbo giuridico, incapaci di lavorare regolarmente né di costruirsi un futuro.
La macchina delle domande di asilo è lenta e farraginosa. Sebbene i tribunali italiani esaminino le richieste in tempi medi più rapidi rispetto ad altri paesi europei (9 mesi in media, contro i 12-18 mesi in altri Stati membri dell’UE), il problema principale è l’instabilità normativa. Ogni nuovo governo modifica le leggi sull’immigrazione, come dimostrato dal Decreto Cutro del 2023, che ha ridotto le tutele per i richiedenti asilo, potenzialmente escludendo un numero significativo di persone e costringendole a vivere nell’ombra. In particolare, il decreto ha ridotto l’ambito di applicazione della protezione speciale, creando una maggiore incertezza.
Molti richiedenti asilo, dopo mesi di attesa, ricevono un diniego che in alcuni casi appare contestabile. Secondo l’UNHCR, almeno il 50% di coloro che fanno ricorso ottengono una forma di protezione in appello, suggerendo che le valutazioni iniziali potrebbero talvolta essere frettolose o non sufficientemente approfondite.
Il prezzo umano di questo sistema è ancora più grave di quanto suggeriscano i numeri. Circa un quarto dei richiedenti asilo ha subito torture o violenze estreme durante il viaggio, ma l’accesso a un adeguato supporto psicologico nei centri di accoglienza rimane limitato o insufficiente. L’inchiesta “I traumi nascosti” condotta da Medici per i Diritti Umani (MEDU) ha evidenziato che molti rifugiati sviluppano gravi disturbi post-traumatici, ma solo una parte minima di loro ha accesso a servizi di salute mentale adeguati.
Le donne e i minori non accompagnati sono tra i più vulnerabili. Nel 2023, oltre 700 minori sono stati ospitati in strutture per adulti, esponendoli a maggiori rischi di abuso e sfruttamento. Senza tutori legali adeguati e con difficoltà nell’accesso all’istruzione, il loro futuro è seriamente compromesso, come denunciato da Save the Children nel rapporto “Minori in pericolo”.
Questa situazione non è un’eccezione, ma una modalità di gestione consolidata da anni. Da tempo, l’accoglienza viene trattata come un’emergenza permanente, un concetto che consente l’impiego di fondi pubblici senza una reale programmazione a lungo termine. Report dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) hanno denunciato la mancanza di trasparenza negli appalti, talvolta gestiti da soggetti che possono lucrare sulla vulnerabilità delle persone.
I modelli virtuosi, come l’accoglienza diffusa – che prevede l’inserimento in appartamenti e un percorso reale di integrazione – restano marginali. Nonostante l’esperienza positiva di Riace e Bologna, che hanno dimostrato di ridurre i costi e favorire una migliore inclusione sociale, questi modelli sono ostacolati da pregiudizi politici e dalla mancanza di volontà di investire in un cambiamento strutturale.
Cosa servirebbe per un cambiamento strutturale? Superare la logica emergenziale, chiudere progressivamente i CAS e potenziare il SAI, garantendo a tutti i richiedenti asilo un percorso di integrazione strutturato. Assicurare un’assistenza legale gratuita e di qualità fin dalla prima fase della domanda, per evitare dinieghi ingiustificati e garantire il diritto a una difesa adeguata. Investire significativamente in servizi di salute mentale e sociali specializzati per chi ha subito traumi, garantendo un supporto adeguato e tempestivo. Coinvolgere attivamente i comuni, con risorse certe e progetti di accoglienza e integrazione a lungo termine, promuovendo l’accoglienza diffusa.
Finché il dibattito resterà prigioniero della retorica dell’emergenza e del controllo, e non affronterà le cause strutturali del problema, i richiedenti asilo continueranno a essere vittime due volte: prima nei loro paesi in guerra o persecuzione, poi in un sistema che, invece di accogliere e proteggere, rischia di respingere e marginalizzare. Le quaranta persone nei parcheggi di Siena sono solo l’ultimo, visibile segnale di un fallimento che si protrae da troppo tempo.