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mercoledì, Agosto 6, 2025

Il “boh” strategico del Pd toscano: tra listini bloccati e guerre di corrente

Il silenzio sul listino bloccato e le deroghe come specchio di un partito che teme il confronto e rinvia le scelte

Nel suo intervento sul blog, pubblicato il 5 agosto 2025, Stefano Bisi fotografa con acume una dinamica ormai ricorrente nella vita interna del Partito Democratico toscano. Lo fa con uno stile agile, diretto, ironico, ma non superficiale: “Il Pd, quando non decide, si divide. Quando decide, litiga”. Una battuta, certo. Ma anche una diagnosi politica brutale probabilmente contestabile ma con qualche difficoltà.

Il focus di Bisi è l’enigmatico e ormai celebre “listino bloccato”, che aleggia sulle imminenti elezioni regionali come un fantasma strategico. Nessuno lo nomina ufficialmente, ma tutti lo evocano. Bisi lo definisce con un’espressione tanto semplice quanto rivelatrice: un “boh strategico”. Un’incertezza coltivata con cura, utile a rinviare lo scontro tra correnti interne e a evitare l’ennesimo psicodramma collettivo nella direzione regionale di giovedì.

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Il listino bloccato non è, di per sé, una novità. Fa parte della legge elettorale regionale toscana dal 2014. Ma la sua eventuale attivazione ha sempre una carica politica esplosiva. Serve, nella sua essenza, a blindare candidature strategiche, garantendo l’elezione – prima delle preferenze raccolte nei collegi – a figure ritenute “indispensabili” per equilibrio o continuità amministrativa.

Nel caso di queste regionali 2025, i nomi che circolano (e che Bisi riporta) sono significativi: Simone Bezzini, assessore alla Sanità, senese; Monia Monni, Alessandra Nardini, esponenti schleiniani di peso; e poi Stefania Lio, vicesegretaria regionale figura nuova – relativamente – scesa in campo per Pienza, senza successo, alle ultime elezioni amministrative.

Ma il punto non è chi c’è. Il punto è perché il Pd toscano continua a dare l’immagine di restare incagliato in logiche correntizie che rischiano di paralizzare ogni slancio politico. Il “boh strategico” denunciato da Bisi non è solo tatticismo: è sintomo di un partito che ha paura di se stesso, che non sa più se deve premiare il merito o la fedeltà, la competenza o la forza elettorale, l’appartenenza alla corrente giusta o la capacità di parlare al territorio.

In questo quadro, Bisi ricorda anche l’altro snodo caldo: le deroghe. Sei in tutto, secondo i rumors che cita. Quattro ad assessori uscenti, due a consiglieri regionali che hanno dimostrato di “macinare preferenze”. Anche qui, però, nulla è neutro. Ogni nome rappresenta un equilibrio da mantenere.

In realtà, secondo indiscrezioni, sarebbero almeno quindici le persone probabili per la deroga, un numero che aggrava la sensazione di eccezionalità permanente. E in questo contesto, il cosiddetto “lodo Ceccarelli” – la regola non scritta secondo cui un mandato da consigliere e uno da assessore non si sommerebbero – sembrerebbe ormai superato o comunque inapplicabile, aggravando ulteriormente i malumori in fase di definizione delle candidature.

Il Pd toscano – e non solo – continua a usare le deroghe come strumento di sopravvivenza del momento, senza mai affrontare davvero il problema della selezione della classe dirigente. Si parla di “fabbriche di preferenze”, di “giri da assessore e da consigliere” come se la rappresentanza fosse una rotazione per cooptazione, non un mandato politico rinnovato dal voto.

Non a caso, da diversi territori – in particolare dalle aree più periferiche rispetto all’area metropolitana – crescono i segnali di insofferenza. In molti, specie nella Toscana del sud e nelle zone interne, temono che il nuovo consiglio regionale finisca per essere ulteriormente sbilanciato verso Firenze e la sua area metropolitana, acuendo una frattura territoriale già evidente.

In fondo, l’appunto di Stefano Bisi – ironico ma non cinico – punta il dito su una questione centrale: il Pd non riesce a sciogliere il nodo della rappresentanza. Vuole essere partito di popolo, ma gestisce le candidature come un’aristocrazia. Vuole essere democratico, ma si rifugia nel tecnicismo delle deroghe e dei listini per non affrontare il conflitto.

Un conflitto che, nel frattempo, si riflette anche nei movimenti interni: l’area riformista appare in ordine sparso, divisa tra strategie personali e assenza di un progetto comune, mentre – secondo diversi osservatori – l’attuale presidente del Consiglio – Mazzeo – spingerebbe per riottenere nuovamente quella posizione che gli garantirebbe una centralità politica indiscussa.

Il “boh” strategico non è solo la scelta di non scegliere. È l’immagine speculare di un partito che, per evitare le guerre, le congela. Ma le guerre, come la storia insegna, quando si congelano non si evitano: si rimandano, e spesso esplodono peggio.

Nel mezzo, il segretario regionale si trova in una posizione sempre più complessa: tenere insieme spinte divergenti, ambizioni personali e territori in agitazione sarà un’impresa tutt’altro che semplice. Richiederebbe una leadership forte e condivisa.

L’articolo di Bisi – nella sua brevità – è un pungolo prezioso. Ricorda che la politica è fatta di scelte, e che l’ambiguità, se troppo a lungo coltivata, diventa paralisi. Forse è tempo che il Pd toscano smetta di dire “boh” e inizi a dire – e soprattutto a fare – qualcosa di più chiaro, coraggioso e collettivamente utile.

Anche perché, a oggi, ci sono federazioni – come quella di Siena – che risultano ancora tra le più indietro nella composizione delle liste, con una sensazione diffusa che tutto sarà deciso altrove, nelle segrete stanze di Firenze. Un copione già visto, ma ogni volta più difficile da digerire.

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