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mercoledì, Aprile 2, 2025

Il payback dei dispositivi medici: un nodo da sciogliere

L’assessor regionale Bezzini: “Serve un nuovo modello che eviti i danni retroattivi e premi chi innova”

L’articolo di Simone Bezzini su Quotidiano Sanità ha riacceso i riflettori su una delle questioni più spinte del sistema sanitario italiano: il payback dei dispositivi medici, un meccanismo nato per controllare la spesa pubblica ma diventato nel tempo un rompicapo che mette in crisi aziende, Regioni e persino il diritto alla salute. La sua riflessione parte da un presupposto chiaro: non si può più “nascondere la testa sotto la sabbia” di fronte a un problema che intreccia sostenibilità economica, tutela del lavoro e garanzia delle cure. Eppure, trovare una soluzione equilibrata sembra ancora una sfida irrisolta, nonostante i pronunciamenti della Corte Costituzionale e i tentativi di mediazione tra Governo, Regioni e imprese .

Il payback, introdotto nel 2015 dal Governo Renzi, doveva essere uno strumento per limitare gli sforamenti dei budget regionali sugli acquisti di dispositivi medici, chiedendo alle aziende fornitrici di contribuire al ripiano delle spese eccessive. Ma per anni è rimasto lettera morta, fino al 2022, quando il Governo Draghi lo ha riattivato con un decreto, imponendo alle imprese di pagare retroattivamente gli sforamenti accumulati tra il 2015 e il 2018. Una mossa che ha scatenato oltre 2.000 ricorsi al TAR e un acceso dibattito sulla legittimità del meccanismo, culminato nel luglio 2024 con le sentenze della Corte Costituzionale: il payback è stato dichiarato legittimo, seppur con “diverse criticità”, e le aziende hanno ottenuto una riduzione degli importi dovuti al 48% .

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Bezzini, assessore alla Salute della Toscana, riconosce che la norma ha creato tensioni insostenibili, soprattutto per le piccole e medie imprese, ma sottolinea come le Regioni non agiscano per “volontà vessatoria”: devono semplicemente rispettare le leggi e, allo stesso tempo, garantire il diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della Costituzione. La Toscana, ad esempio, ha un sistema sanitario avanzato che include tecnologie come la robotica, ma proprio per questo ha livelli di spesa più elevati e ora si trova a dover recuperare centinaia di milioni di euro dalle aziende. Una situazione che rischia di soffocare l’innovazione e lasciare senza lavoro migliaia di persone, come denunciano le associazioni di categoria: secondo Confimi Sanità, oltre 1.400 imprese potrebbero fallire, con 190.000 posti a rischio.

Il vero nodo, però, non è solo il passato. Bezzini invita a guardare avanti, al periodo 2019-2024, per il quale serve una riforma che renda il payback più sostenibile. Non una semplice abolizione, ma un ripensamento del sistema, magari con misure di mitigazione per le aziende e una revisione dei tetti di spesa. Il tavolo di confronto al Ministero dell’Economia, aperto nei giorni scorsi, potrebbe essere l’occasione per trovare un equilibrio, ma i tempi stringono: senza interventi, il rischio è che il settore dei dispositivi medici, che in Italia vale occupazione e ricerca, venga schiacciato tra debiti retroattivi e burocrazia .

C’è poi un altro elemento che rende la vicenda paradossale: mentre le Regioni festeggiano le sentenze della Consulta come una vittoria (la Toscana conta di recuperare 420 milioni), le aziende lanciano allarmi drammatici. “Senza di noi, gli ospedali non avranno stent o valvole cardiache”, avverte il presidente dei chirurghi ospedalieri, mentre Confindustria parla di “lesione delle regole del mercato”. E i pazienti? Restano in mezzo, con la paura che a rimetterci siano i tempi delle cure e la qualità dei servizi .

La strada indicata da Bezzini è quella del dialogo: un tavolo tecnico che coinvolga tutti gli attori per costruire un modello più giusto, che non sacrifichi né la salute pubblica né il tessuto produttivo. Ma serve anche coraggio politico, perché il payback è solo il sintomo di un malessere più profondo: il finanziamento del SSN, da anni insufficiente rispetto alla media europea. Se la politica continuerà a rimandare, il rischio è che a pagare il conto siano, ancora una volta, cittadini e lavoratori. E questa volta, forse, nessuno potrà più nascondersi dietro a un “non sapevamo” .

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