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lunedì, Luglio 28, 2025

Nuovi modelli dell’abitare per territori resilienti: rigenerare, non consumare

L’esempio del Comune di Pratovecchio Stia, in provincia di Arezzo

Inizia con questo articolo la collaborazione con SienaPost di Francesco Pellegrini (classe 1983, foto). E’ un ingegnere con esperienza consolidata nella progettazione urbanistica e nella pianificazione strategica. È socio e professionista attivo in Prospettica Srl, società specializzata in progettazione integrata e rigenerazione urbana. Dal 2019 al 2024 è stato assessore all’urbanistica e ai lavori pubblici a San Giovanni Valdarno, guidando interventi per oltre 40 milioni di euro tra scuole, impianti sportivi, mobilità e spazi pubblici. Ha integrato competenze tecniche e gestionali, ottenendo risorse da fondi PNRR e regionali. Continua a occuparsi di progettazione, transizione ecologica e rigenerazione edilizia.

Nel dibattito contemporaneo sull’abitare, la rigenerazione urbana dei piccoli centri sta lentamente riconquistando centralità, non solo come risposta alle emergenze abitative ma come leva strategica per il rilancio territoriale. In questo contesto si affermano nuovi modelli abitativi fondati sull’idea che l’abitare non sia solo consumo di spazio, ma generazione di valore sociale, economico e relazionale.

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Nelle aree interne e nei piccoli comuni, le difficoltà si moltiplicano: marginalità infrastrutturale, spopolamento, calo demografico e scarsa attrattività per le giovani generazioni. Ma proprio in questi territori si apre oggi uno spazio concreto per sperimentare soluzioni abitative innovative, sostenibili e inclusive, capaci di affrontare la crisi strutturale dell’edilizia residenziale pubblica e di costruire un nuovo patto tra cittadini, amministrazioni e mercato.

Un esempio significativo è rappresentato dal Comune di Pratovecchio Stia, in provincia di Arezzo. Qui, il recupero di alloggi dismessi attraverso bandi pubblici e la collaborazione con cooperative di abitazione ha portato a un incremento della popolazione residente, in controtendenza con il trend dell’area. L’amministrazione, in sinergia con le politiche regionali, ha promosso la ristrutturazione di immobili ERP inutilizzati, favorendo l’insediamento di giovani famiglie e lavoratori locali. Secondo dati ufficiali della Regione Toscana, l’intervento ha contribuito a una riduzione della pressione abitativa stimata in circa il 12% nel quinquennio 2018–2023, e a un saldo migratorio interno nuovamente positivo.

Questi risultati non derivano da interventi sporadici, ma da un disegno urbanistico chiaro, che ha rimesso l’abitare al centro della pianificazione. Ed è qui che la riflessione si fa politica: l’urbanistica, troppo spesso relegata a tecnicismo amministrativo, deve tornare ad essere materia viva del dibattito pubblico, in grado di regolare il mercato e non subirlo. Non si tratta solo di scrivere piani, ma di definire una visione di città e territorio che contrasti la rendita con la produzione di valore condiviso.

Una visione che si fa ancora più efficace quando incontra le leve nazionali e sovralocali. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il Fondo Nazionale per l’Abitare Sostenibile, i recenti incentivi per la rigenerazione urbana e la valorizzazione dei borghi offrono oggi strumenti importanti per superare le criticità sistemiche del patrimonio edilizio esistente. Troppo spesso, infatti, il mercato immobiliare si muove secondo logiche speculative che favoriscono la concentrazione degli investimenti nei centri più redditizi, lasciando indietro le aree fragili.

Ma un dialogo virtuoso è possibile: se le politiche pubbliche riescono a orientare il mercato verso obiettivi di inclusione, sostenibilità e rigenerazione del patrimonio esistente, allora l’interesse privato può diventare alleato della giustizia territoriale. Si tratta di coniugare strategie economiche con valori pubblici, attraverso modelli di partenariato pubblico-privato capaci di rendere redditivo anche l’intervento nei contesti minori, senza rinunciare alla qualità dell’abitare.

I nuovi modelli abitativi che emergono in molte parti d’Italia – coabitazione sociale, housing cooperativo, comunità energetiche urbane – dimostrano che la risposta al bisogno abitativo può generare valore anche per il mercato, se inquadrata dentro politiche lungimiranti e inclusive. La sfida è proprio questa: non inseguire la rendita, ma creare valore. Sociale, urbano, umano.

Visioni e prospettive: abitare come infrastruttura sociale e progetto collettivo

Ripensare la città oggi significa riscrivere la grammatica dello spazio urbano a partire dalle relazioni sociali più profonde. L’abitare va considerato come una vera e propria infrastruttura sociale, un luogo in cui si costruisce comunità, identità e capitale sociale. Non si tratta solo di garantire case sufficienti, ma di restituire senso all’abitare come spazio di socialità, di cura reciproca e di sostegno.

Questa visione impone di ripensare la città dal basso, mettendo al centro le persone e i loro bisogni reali, soprattutto quelli delle fasce più fragili e marginali. Ciò richiede processi di partecipazione e coprogettazione che devono però essere accompagnati e guidati da una presenza pubblica forte, capace di definire regole chiare, garantire equità e sostenere il coordinamento degli attori coinvolti.

L’abitare deve diventare un progetto collettivo, in cui il bene comune si traduce in spazi condivisi, servizi accessibili, opportunità di relazione. In questo senso la casa non è più solo un bene privato, ma una componente fondamentale della rigenerazione democratica e territoriale, capace di contrastare l’isolamento e di promuovere una città più giusta e inclusiva.

Conclusioni: l’abitare come sfida culturale e progetto collettivo

Il futuro dell’abitare nei territori fragili si gioca su alcune coordinate imprescindibili. È fondamentale rigenerare l’esistente piuttosto che consumare nuovo suolo, promuovendo un’accessibilità economica e sociale che permetta a tutti di vivere dignitosamente. Allo stesso tempo, bisogna attivare comunità e relazioni, guardando oltre i semplici metri quadri costruiti. Sostenibilità ambientale, innovazione tecnologica e inclusione sociale devono integrarsi in ogni fase del processo, dalla pianificazione alla gestione. Infine, è cruciale governare il mercato immobiliare attraverso strumenti pubblici e regolativi, invece di subirne passivamente la logica della rendita.

L’abitare non è solo un bisogno materiale, ma un diritto e una scelta politica che interroga profondamente la qualità delle nostre relazioni, dei nostri territori e del nostro futuro. Restituire senso all’abitare significa riscrivere la geografia della cittadinanza, immaginando modelli di sviluppo che siano generativi, solidali e duraturi, e non predatori o esclusivi.

Serve un patto nuovo tra pubblico e privato, tra istituzioni e cittadini, che restituisca all’abitare la centralità come motore di trasformazione sociale. Un modello equo e sostenibile non si costruisce solo con normative urbanistiche, ma con una visione politica che metta al centro le persone, le loro storie e i loro bisogni.

In definitiva, è necessario rigenerare non solo gli edifici, ma soprattutto i legami sociali; abitare non è solo avere una casa, ma prendersi cura di un territorio e di una comunità.

Francesco Pellegrini

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