Dalla Studio TV Sala Sant’Ansano del Santa Maria della Scala è stata affrontata “La prevenzione del dolore”, un confronto mediato dal giornalista Mauro Pappagallo.
Apre gli interventi Carlo Bellieni, Commissione Bioetica Regione Toscana, che affronta l’argomento sui lattanti: “Il dolore dei bambini è ancora poco riconosciuto. Fino al 1990 si pensava che i lattanti non riconoscessero ed in molti casi non gli venivano riconosciute le giuste terapie analgesiche. Il mio lavoro è stato intervenire su strumenti funzionali a capire quando il bambino sente il dolore e quanto lo sente, elaborando strumenti di saturazione sensoriale per togliergli il dolore quando glielo procuriamo noi. La prima attenzione che si deve avere è intervenire sull’ambiente, rendendo l’ospedale accogliente perché la persona che entra in ospedale deve trovarsi a suo agio altrimenti il suo dolore e la sua ansia aumentano”.
Gli fa eco Andrea Messeri, responsabile Rete regionale di Cura del dolore pediatrico dell’Ospedale Meyer di Firenze: “I bambini non devono avere la sensazione di entrare in un posto che gli fa paura e devono essere a loro agio a cominciare dall’avere le persone care al loro fianco. Il Meyer è stato uno dei primi ospedali dove è stato permesso ai genitori di entrare in sala operatoria prima dell’intervento. L’ambiente è importante, a partire dal parcheggio. All’ingresso è previsto un ambiente accogliente con la presenza di musicisti che suonano ed interagiscono con i bambini, con la presenza dei cani quando richiesto. C’è attenzione ai colori degli ambienti, delle stanze, a tutto ciò che fa sì che la famiglia si senta a casa. Non bisogna nascondere niente ai bambini, ma vanno fatti sentire a loro agio”.
Prosegue Marco Maltoni, coordinatore Rete Cure Palliative Ausl Romagna: “La terapia del dolore è rivolta a persone con patologie croniche di lunga durata, inguaribili ed evolutive. Per fortuna oggi le cure hanno prolungato la sopravvivenza, ma non è automatico che questo prolungamento della vita sia senza problemi. Le cure palliative possono essere anche precoci, in risposta ad una prognosi limitatissima ma anche a dei bisogni anche in fase non avanzata della malattia. L’uomo ha anche il problema di una sofferenza globale, una delle problematiche che richiede che gli operatori siano addestrati al dolore, a togliere tutto il dolore possibile ma al tempo stesso dobbiamo addestrare noi stessi e i familiari a far fronte alla sofferenza che non si riesce a togliere del tutto”.
Quindi l’ambiente può incidere?
“Il dolore, come la calma, è contagioso – afferma Bellieni -. Si crea un triangolo tra bambino, medico e famiglia. Si deve intervenire creando un ambiente confortevole per la famiglia, sapendo che la cura del bambino non ha solo il fine di curare il bambino ma anche la sua famiglia. Il medico e l’infermiere devono creare ambiente dove la famiglia si senta a suo agio addirittura con la visita degli animali di compagnia”.
Nelle terapie quanto incide la paura verso certi farmaci da parte dei genitori?
“In Italia siamo passati dai falsi miti della morfina – afferma Maltoni – ma l’educazione e l’utilizzo sul campo ha consentito superare falsi miti, anche se non scomparsi. Negli Usa si è andati nel pericolo opposto, ovvero verso un utilizzo inappropriato. In Italia non siamo a questo livello ma il fatto che ci sia questo problema non deve indurci a trattare persone in modo in appropriato, ma utilizzarlo nel modo più individualizzato possibile per una cura mirata”.
Quale è il dolore più diffuso tra i bambini?
“I dolori diffusi sono di due tipi – spiega Belleni – le coliche del lattante, che non hanno una terapia se non per i genitori che devono poterle saper affrontare ed il dolore che gli provochiamo noi”.
“E’ molto frequente il mal di testa, dolori ostearticolari e addominali – afferma Messeri – soprattutto nelle bambine dalla preadolescenza fino all’età giovanile, con un’incidenza non precisabile ma molto diffusa. Quello che ci ha colpito è che negli ultimi anni c’è stato un aumento del 500 per cento di casi che influiscono anche sulla socialità. Ci capita di vedere bambini su stampelle o in carrozzina senza ragioni fisiche che lo possano giustificare. Un dolore complesso che raramente si può risolvere. Ma il problema principale è che spesso sono le famiglie che faticano ad accettare un percorso riabilitazione psicofisica, fondamentale a riprendere vita normale. Un problema esploso dopo il lockdown, un dolore che nasconde altre problematiche, difficili da individuare e far accettare alle famiglie”.
(La foto è del Dottor Bellieni intervistato da Mario Pappagallo)