Espulso per aver detto “esponiamo le bandiere ogni giorno”: a Torrita e in Valdichiana cresce il disagio per una gestione autoritaria del confronto istituzionale
Alla Festa della Costituzione, che ha visto riuniti dieci sindaci dell’area Valdichiana, è emersa una vicenda che a prima vista potrebbe sembrare marginale ma che, a ben vedere, rivela tensioni profonde e preoccupanti nei rapporti tra gli amministratori pubblici e gli
Organi territoriali dello Stato.
A raccontarla è stato Giacomo Grazi, sindaco di Torrita di Siena: il collega di Rapolano, Alessandro Starnini, è stato espulso da una chat istituzionale che riunisce sindaci e rappresentanti delle istituzioni — inclusa la Prefettura — per aver commentato un invito ministeriale con queste parole: “Noi queste bandiere le esponiamo ogni giorno”.
L’invito, proveniente dal Ministero dell’Interno, chiedeva l’esposizione della bandiera italiana e di quella europea in occasione del 2 giugno, Festa della Repubblica. Il commento di Starnini, lungi dall’essere una presa di distanza o un rifiuto, sembra piuttosto una rivendicazione positiva e orgogliosa di un’abitudine già consolidata. Eppure, un amministratore della chat ha ritenuto quelle parole un atto critico verso il ministero e ha proceduto con l’espulsione. Nessuna spiegazione ufficiale è seguita.
Il gesto, percepito da molti dei presenti alla Festa della Costituzione come una “violenza simbolica”, ha suscitato reazioni dure. Lo stesso sindaco Grazi, prendendo le difese di Starnini, ha deciso di lasciare la chat per protesta. La questione, che inizialmente ruotava attorno a un simbolo condiviso come il Tricolore, si è trasformata in un caso politico che interroga direttamente il senso delle relazioni istituzionali.
In un clima sempre più polarizzato, anche le bandiere diventano terreno di contesa. L’episodio mostra quanto oggi le parole — anche quelle apparentemente più innocue — vengano scrutate con sospetto e quanto sia fragile il terreno del confronto tra amministratori e Governo centrale. L’espulsione di un sindaco eletto dal popolo da un canale ufficiale di comunicazione non è solo una questione di forma, ma investe il cuore stesso del rispetto democratico.
Chi ha preso la decisione, e con quale legittimità? Perché non è stata offerta nessuna spiegazione, né agli interessati né agli altri sindaci? È legittimo che in un contesto istituzionale vengano silenziate opinioni che non risultano nemmeno offensive? Sono domande che restano aperte e che impongono una riflessione più ampia.
Nel frattempo, l’episodio alimenta un malcontento latente tra gli amministratori locali, spesso lasciati soli a gestire emergenze e scadenze, e ora anche costretti a muoversi con cautela nelle chat in cui dovrebbero semplicemente collaborare. Se anche i simboli dell’unità repubblicana diventano micce di conflitto, allora è il segno che qualcosa si è rotto, e che è il momento — forse proprio durante una Festa della Costituzione — di tornare a interrogarsi sul significato di parole come pluralismo, rispetto, e libertà di parola anche tra rappresentanti delle istituzioni.