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martedì, Dicembre 3, 2024

Una storia vera e cruenta dell’Antico Stato

Agli “Avvaloranti” di Citta della Pieve messa in scena di “Tradire” che racconta la battaglia di Chiusi. A Siena quando?

Lui non vorrebbe. Ma lo faccio ugualmente, e con soddisfazione. Viviamo in un mondo in cui non facciamo che celebrare persone che non lo meritano e quando qualcuno ti attizza, scopriamo che non vuole figurare. O almeno non vuole porsi al centro.

Marco Lorenzoni. Chiusino, parecchio incanutito, ma fisico non corroso da “inchiostro per ciclostile, fumo e umido”. Di questi odori – all’inizio della sua vita adulta – ha scritto ne “Il Vortice”, storie di bianchi, rossi e neri nel circondario di Chiusi degli anni ’70.

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Prima che il comunismo “smettesse di tirare”, queste e altre “essenze” l’ha cercate nel giornalismo che è divenuto la sua professione. Con “Prima Pagina”, la sua creatura, è stato il media più sincero con i lettori intorno al lago di Mustiola. E ora che fare l’editore-distributore-direttore-redattore non tira più, ha aggiunto perle al suo scrigno di sapienza. E’ tornato a fare lo scrittore – posto che avesse interrotto -, ha avviato la strada di commediografo e sceneggiatore. E di quest’ultima cosa voglio parlare.

Sabato ho assistito a “Tradire – La notte prima dell’Assedio”. Sono stato invitato al Teatro degli Avvaloranti di Città della Pieve a una visione dedicata ai ragazzi dell’Istituto Superiore Italo Calvino. Quasi due ore senza intervallo che si seguono senza alcuna fatica dell’attenzione.

Un solo attore, Alessandro Lanzani – che attore non è, bensì un medico milanese che sembra aver ispirato l’episodio in cui Doc (Luca Argentero) fa l’ambulatorio-tenda dopo il Covid –, che interpreta cinque ruoli differenti, aiutato da una convincente gestualità. Ci sono i DudesAndrea Fei, Gianluca Lorenzoni, Mattia Mignarri e Matteo Micheletti -, una batteria, un basso e due chitarre che creano pathos e intervallano le entrate con propri arrangiamenti originali. Fabrizio Nenci e Daniele Cesaretti, tecnici per luci e suoni oltre che “complici” di Marco Lorenzoni.

Almeno tre di loro, un tempo sono stati studenti del “Calvino”, di qui la volontaria replica agli Avvaloranti di una rappresentazione che è stata allestita la scorsa estate e che a Città della Pieve trova le vestigia di uno dei suoi protagonisti: Ascanio Della Cornia, feudatario, sfregiato, capitano di ventura, nipote del Papa e miglior spadaccino delle terre italiane.

I fatti che si racconta sono di poco antecedenti la Pasqua dell’Anno 1554 ed illustrano le premesse di un fatto cruento che anche rappresenta la miglior vittoria della Repubblica di Siena, negli ultimi anni di guerra prima della sua caduta il 15 aprile 1555.

L’allestimento è light. Un seggiolone d’epoca, un baule, uno spadone che non incute timore, qualche drappo, una benda oculare – perché Ascanio aveva perso un’occhio in una precedente battaglia nel Monferrato -. Tutto il resto dell’ambientazione si deve alle musiche e si deve alla criniera leonina di Lanzani che se la riassetta, se la lega o se la scarmiglia e passa al personaggio successivo: Santaccio da Pistoia, il priore del chiosco di San Francesco, Ascanio, la voce narrante o Ferruccio, marito dell’abusata Nerina, norcino abile col coltello, scannafranzesi.

Lorenzoni mette le mani avanti. Santaccio potrebbe non esser stato così importante. Forse Ridolfo Baglioni all’incontro in radura non c’era, forse. La conclusione della battaglia ha due epiloghi diversi.

Lo scusiamo in anticipo, anche per le ispirazioni di dialogo da Rino Gaetano; rendere seducente una narrazione è d’obbligo quanto si entra in teatro. E tuttavia, trattandosi di complessa ricostruzione storica, soppesiamo che il copione di Lorenzoni sia frutto di almeno cinque anni di buone e attente letture che, nella parte finale, si devono essere estese a non facilmente reperibili documenti d’archivio.

Santaccio, sguaiato alla pari di Ascanio, viene raccontato come il personaggio chiave della difesa della piazza di Chiusi. Con altri due capitani, il ligure Aurelio Fregoso e il laziale Flaminio dell’Anguillara. Loro superiore diretto è Piero Strozzi, comandante delle insegne militari senesi fuori dalle mura di Siena, cui Flaminio si indirizza per chiedere rinforzi da far entrare a Chiusi tramite la segreta rete di cunicoli. Di fronte hanno due eserciti, dieci volte più grandi che hanno messo Bettolle a ferro e fuoco e che ora arrivano da Montepulciano e Perugia con mercenari e coscritti fiorentini, aretini e perugini, l’uno condotto dal Baglioni e l’altro da Ascanio, soldati esperti, temprati, crudeli.

Per ridurne la forza Fregoso va al Passo alla Querce con gli archibugieri per un agguato, mentre Santaccio che non crede nella valenza e lealtà dei mercenari francesi, svuota le carceri e assolda i chiusini fino a comporre sette “sporche” dozzine che chiama compagnia della morte.

A questo punto la trama lega insieme fatti diversi. I francesi, alleati, che vessavano le popolazioni alla stregua di truppe d’occupazione. Il ratto a Chiusi dell’icona più preziosa: l’anello degli sponsali della Vergine Maria che ispirò le celeberrime opere del Perugino e di Raffaello. Il duello di Pitigliano fra Ascanio della Corgna e il non meno agguerrito Giovanni Taddei. La proposta di salvacondotto e parisoldo – conseguente a un incontro segreto fra avversi capitani – per la guarnigione di Chiusi se apriva spontaneamente le porte all’esercito invasore.

Le porte alla fine vennero aperte, ma gli incursori trovarono un’inattesa resistenza e perirono; altri finirono nella trappola degli archibugieri di Fregoso. In totale, a fronte di perdite irrisorie nel campo senese, i “papalini” persero almeno duemila uomini sul campo e quattrocento furono i catturati, compreso Ascanio. Ridolfo invece perse la vita al Passo alla Querce, cioè uno dei punti di passaggio in direzione Montallese più stretti per attraversare allora la palude dalla Chiana che andava da Arezzo fino a Fabro.

Siena però non fece in tempo ad averne vantaggi. Due mesi dopo, a Scannagallo, vicino Marciano della Chiana, un altro tradimento spianò la strada agli Imperiali che sbaragliarono l’esercito dello Strozzi (4 mila morti) e il Marignano poté così iniziare l’assedio di Siena.

Una bella e piacevole narrazione che se venisse portata in qualche sito del capoluogo senese sicuramente non mancherebbe di venir apprezzata per la sua scorrevolezza, oltre a riguardare fatti antichi da sempre cari all’immaginario senese. Serve all’occorrenza, un invito da parte di chi possa offrire un teatro o teatrino, una casa del popolo o sala polivalente, o un chiostro o una piazzetta, oltre la disponibilità a concorrere con una successiva cena di sottoscrizione oppure con un’offerta libera alla copertura delle spese generali.

Lorenzoni l’aveva detto nei suoi saluti iniziali. Non comizio né lezione, solo uno sguardo ai segni tangibili di una storia che ha caratterizzato i luoghi e le strade dove oggi viviamo. Più volte viene presentato quel conflitto come una guerra mondiale dell’epoca, limitata nella logistica ma altrettanto cruenta. Anzi si fa l’esempio della piccola Repubblica di Siena, stretta fra potenze avverse, come l’Ucraina di oggi. E il paragone tiene. E’ comunque un paragone pacifista – come precisa Lanzani alla fine – valido anche per le atrocità di Gaza.

Alessandro Lanzani e Marco Lorenzoni sul palco degli Avvaloranti di Città della Pieve

C’è poi il tema del tradimento. Quella volta, Santaccio per non tradire la collettività di cui aveva responsabilità, mancò la parola all’avversario e amico che l’aveva tratto anni prima dalle carceri capitoline. Infamia per essere eroe. Infamia che impedì l’assedio nemico che sarebbe stato altrettanto cruento e decisivo.

Grazie Marco, per tutto, ci si rivede a Siena.

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1 COMMENT

  1. Grazie mille, un servizione così ci riempie di orgoglio e ci stimola ad andare avanti. sarebbe davvero bello portare lo spettacolo anche a Siena che dentro questa storia c’è dentro fino al collo… Finora lo abbiamo rappreentato 5 volte, sempre nei “luoghi del delitto”. Cioè dove avvenero i fatti o vissero alcuni dei protagonisti. Siena sarebbe un altro di questi luoghi. Il principale…

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