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giovedì, Ottobre 17, 2024

Gli angeli di Srebrenica fanno visita ai Due Ponti

Diario Balcanico: da Modena a Siena per descrivere le esperienze di public history fatte nei luoghi di una guerra sospesa

La lingua batte dove il dente duole. Cerco di ispirarmi e farmi ispirare dai racconti di vita sulla Bosnia di oggi, ma basta distrarmi che mi riappare l’immagine del Memoriale di Srebrenica. Ottomila trecento e settantadue cippi biancastri, ciascuno a contrassegnare una vittima, uno su quattro privo di un qualche resto della persona cui è intitolato, presumibilmente ancora sepolta nei boschi, in fosse comuni sempre negate dai miliziani di Mladic che operarono un genocidio motivati dalla volontà di pulizia etnica.

La pace ha riportato la politica ed essa – in circondari dell’attuale Bosnia Erzegovina passati da una maggioranza mussulmana a una netta supremazia di ortodossi serbi – continua a negare la portata di quanto è successo quasi trent’anni fa. Chi non c’è, se ne è andato. Morti che non contano.

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Prese di posizione che comunque opprimono sia chi era vicino ai carnefici che chi stava con le vittime. Per tutti il sentimento è condiviso. Non guardate a Srebrenica come ad Auschwitz. Anzi ai visitatori chiedono cose normali che li facciano sentire attivi, non dimenticati in un angolo della storia.

Ado Hasanovic era un bimbo quando succedevano queste cose: le bombe non lo spaventavano, l’inedia invece sì; per il cibo lui perse lo zio e suo padre il fratello. Tornato al villaggio per cercare viveri saltò su una mina.

Ah, un attimo, un messaggio di allarme sociale – anche responsabilizzante giacché il nostro Paese, ci dicono, ne ha prodotte tantissime di quelle mine antiuomo -. Finiti i fondi internazionali lo sminamento della Bosnia Erzegovina non è stato concluso. Un anno ancora e sarà l’anniversario dei trenta dagli eventi più cruenti.

Un anno fa, Ado, oggi trapiantato a Roma, creativo e regista, riuscì ad organizzare nella sua città – Srebrenica – un film festival. Proprio nei giorni in cui si riperpetuava l’arrivo dei ragazzi dell’International Working Camp, promosso e voluto dal compianto aretino Franco Bettoli di Emmaus. In questo festival si affermava chi più si distanziava da quell’unica visione del santuario di sofferenza. Lui, Ado, quando l’ha descritta la distruzione ci ha sovrapposto una ballerina, candore e leggerezza che sembrano pennellare un’alternativa al dolore. Speranza. Ado racconta; e lo farà meglio tra qualche tempo quando inizierà a promuovere il suo “long-video” ispirato ai diari di guerra di suo padre che però non combatteva, ma continuò a fare il tassista con la responsabilità di salvare una famiglia.

Trasmise però al figlio Ado un’esigenza che nel tempo per lui si è trasformata in bisogno: narrare, testimoniare, documentare, quanto avveniva in quelle terre che per anni è stato negato, confutato, disinformato. Cosa che fa in maniera particolare dal 2017 quando ha incontrato la prima volta Silvia Mantovani dell’Istituto Storico di Modena che da allora promuove viaggi di conoscenza di cui è presenza fondamentale e irrinunciabile. La conclusione del racconto che Ado Hasanovic ha offerto ieri all’uditorio del Circolo Due Ponti a Siena ha destato tuttavia apprensione. Proprio quella guerra negata, combattuta al centro d’Europa, non è finita… E’ solo sospesa, interrotta, in ipotesi riprendibile.

Gli aiuti sono arrivati per anni, i muri delle case sono stati ricostruiti, ma non c’è stato supporto psicologico dall’esterno. Non ci sono stati veri aiuti a ricostruire un’esistenza e un racconto comuni. E… sono rimasti ricordi e incubi che non aiutano a sentirsi diversi. Pur in Italia – dice Ado – per otto anni ogni notte sognavo la guerra.

Ognuno tira il calcio che può. Ivano Zeppi, motore vibrante dell’Associazione Futura Siena, organizzatrice dell’incontro ai Due Ponti, al quale erano presenti rappresentanti di due università – Reggio Emilia-Modena e Siena -, riprende in altro modo la provocazione della presidente Stefania Cresti – “noi parliamo di guerra dato che di pace non si può” -. Nel dopoguerra in cui è stato prima bambino e poi adolescente le tracce della guerra erano sparite, nonostante si parli di Valdorcia e Valdichiana, facenti parte della linea difensiva Trasimeno al cui cospetto la guerra si fermò un anno e venne continuata a combattere dai partigiani. Il Paese intero guardava allo sviluppo futuro e voleva altro, a differenza degli abitanti della Bosnia Erzegovina che non hanno vere alternative al ricordo.

Zeppi rivela che il legame importante che c’è fra Siena e Modena passa non tanto dalla sfida che anni fa si combatteva per il primato “di provincia più rossa d’Italia” ma per il ricordo di Angela Benassi nei Mezzetti, prematuramente scomparsa, vicepresidente dell’Istituto Storico di Modena. A dodici anni dalla sua morte esiste un’associazione “Insieme per Angela”, sabato rappresentata dal figlio e dal fratello, che raccoglie fondi per opere meritorie, una di esse è stato il decisivo finanziamento di Diario Balcanico a una dozzina di studenti di UniMoRe, tutti presenti a Siena per raccontare con parole e immagini la propria nuova conoscenza; frutto anche di turbamento se si segue il racconto della giovane donna salita su un colle d’Erzegovina per interiorizzare gli eventi che stava vivendo.

Zeppi che è anche il presidente dell’Associazione che edita SienaPost, oltre che tra i senesi che hanno viaggiato con il gruppo d’oltre Appennino, dice di avere due nuove consapevolezze. La prima… L’importanza delle Associazioni che in questo caso hanno creato lo spiraglio di opportunità per smuovere l’Università che a propria volta ha realizzato un cammino di formazione esperienziale. Lo sottolinea Deborah Paci di UniMoRe che cita Antonio Canovi e i legami emotivi e conoscitivi.

Michele Lacriola per l’Università di Siena si definisce molto interessato e si augura che presto Siena potrà unirsi all’ateneo di Modena-Reggio Emilia, magari in questi viaggi balcanici che di sicuro l’Istituto Storico di Modena continuerà a promuovere. Tra l’altro c’è una materia specifica che entrambi gli istituti hanno particolarmente a cuore. Si tratta della Public History che si vorrebbe oggi trasformare da metodo di ricerca a strumento di lavoro e opportunità professionale. Questi viaggi ne sono una componente formante e decisiva.

Oltre alla visione dei “corti” The Angel of Srebrenica (2010) e Pink Elephant (2017) di Ado Hasanovic, personaggino che potremmo forse anche rivedere in un prossimo Terre di Siena Film Festival, la serata ai Due Ponti ha visto gli studenti trasformarsi da discenti in docenti per raccontare brevemente cosa ha caratterizzato le loro esperienze. Per la loro sincera spontaneità un grazie ancora e un applauso a Mirco, Samuele, Emanuela, ancora Samuele, Alicia, Erica, Filippo, Cristina, Matilde, Giada, Speranza e Francesco.

La seconda consapevolezza che Ivano Zeppi propone a conclusione è che la nostra società è di fronte a un fenomeno controverso. Mai in precedenza era stato così. Parlare di pace significava trasmettersi buoni sentimenti, oggi è invece divisivo. Per di più le guerre sono vissute sui social; e non fanno paura. E la politica non farà niente per fermarle. Ecco che nasce la possibilità per ciascuno di dare un piccolissimo e personalissimo contributo: andare, vedere, capire, condividere.

Chissà, magari la prossima occasione potrebbe essere la Mars Mira del 2025, una marcia della pace di tre giorni, intorno l’11 luglio, ininterrotta dal 2004. Da Tuzla a Srebrenica la marcia percorre in senso contrario il percorso fatto dai profughi.

Nel frattempo Diario Balcanico si è concluso all’antica e nel segno degli incontri passati di senesi e modenesi, cioè con il “momento culturale” celebrato al piano di sotto, a tavola, con vino genuino e le delizie dell’intramontabile Mirella Forzoni oltre la cortese accoglienza dei soci del Circolo.

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