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mercoledì, Febbraio 12, 2025

Lino Paganelli, la politica come dedizione

Ricordo di un compagno, un amico, un organizzatore instancabile

Lino Paganelli era un compagno e un amico. Più giovane di me. Fiorentino. Ci siamo incrociati più volte. È morto giovane. Troppo giovane. Se n’è andato alcuni mesi dopo un pomeriggio passato insieme a ricordare gli anni in cui ci eravamo persi di vista, scambiandoci solo rapidi saluti o incrociandoci, una volta, al funerale di un’amica comune.

Le nostre chiacchierate riprendevano sempre con facilità. Era come se ci fossimo lasciati la sera prima, come era avvenuto spesso dopo una giornata di lavoro, una cena allo stesso tavolo di ristorante, un saluto sul pianerottolo d’albergo. Bastava poco per riallacciare il filo e riprendere il discorso dalle cose rimaste in sospeso.

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Ci conoscevamo già, ma il nostro vero incontro avvenne dopo il congresso del PCI di Firenze, nel 1986. Fu allora che Pietro Folena, allora segretario della FGCI, e Lino, capo dell’ufficio di segreteria, chiesero all’amministratore nazionale Renato Pollini, poi al segretario della federazione comunista di Siena, Francesco Nerli, e infine a me, di assumere l’incarico di amministratore nazionale. Allora funzionava così: ognuno prendeva decisioni per sé, ma sempre condividendole con gli altri. Era un modo per non sentirsi mai davvero soli, anche quando le strade diventavano impervie.

Io ero già stato nella FGCI, segretario provinciale e membro del comitato centrale dal 1975 fino a poco prima del 1980. Poi avevo passato sei anni nel partito.

Lino sarebbe stato il mio punto di riferimento organizzativo e la mia bussola politica in un’organizzazione che non era più quella che avevo conosciuto. Non c’era più il comitato centrale di un tempo. Ora c’erano i centri di iniziativa, una struttura federata, organizzata per settori e autonomie. Qualcosa che avevo studiato già nel 1980 a Frattocchie, durante il corso annuale per futuri dirigenti di partito. La lezione su questa nuova organizzazione l’aveva tenuta Umberto Cerroni.

Il compito di Lino era districare la nuova matassa organizzativa che stavamo creando. Folena teneva ben teso il filo politico, Lino si assicurava che non si intricasse, non si annodasse, che filasse dritto. Certo, non era il solo, ma per me, tra i tanti, il più sicuro e pacato.

Lino era la persona giusta al posto giusto. Silenzioso, poche parole e un passo felpato: non si sentiva arrivare. Eppure, quando serviva, sapeva usare poche parole decisive, a volte taglienti, a volte sarcastiche, capaci di stroncare sul nascere discussioni inutili e dannose.

Imparai subito ad apprezzarlo. I suoi giudizi erano precisi, le sue valutazioni esatte. Non indorava pillole, non raccontava frottole. Era essenziale. Non mi ha mai portato in errore.

Si potrebbe dire: ma cosa mai doveva decidere un’organizzazione giovanile di un partito? Difficile spiegarlo dopo quarant’anni, quando la storia politica dell’Italia è così diversa.

Provo a dirla così: in quegli anni, dopo la stagione esaltante di Berlinguer – distrutta dalle bombe, dal terrorismo e infine dalla sua morte – la FGCI viveva, come tutta la politica di allora, al di sopra delle proprie possibilità. Propaganda, informazione, la rete di relazioni umane: tutto aveva costi superiori all’autofinanziamento che riuscivamo a generare, e il volume delle attività superava di gran lunga il contributo che il partito ci faceva arrivare.

Le strade erano due: ridurre i costi (e quindi l’iniziativa) oppure far ricadere quei costi sulle spalle degli stessi dirigenti, ritardando rimborsi e stipendi. Furono percorse entrambe.

I sacrifici furono importanti, ma evitammo il “taglio delle teste”. Il gruppo dirigente, salvo i cambi fisiologici, rimase unito e riuscì a far evolvere l’organizzazione, fino alla conquista di un gruppo di nostri eletti in Parlamento, nazionale ed europeo.

Se il segretario Pietro Folena fu il direttore d’orchestra, Lino Paganelli fu l’accordatore silenzioso della nostra banda. La Festa nazionale di Napoli del 1986, quella di Ravenna l’anno successivo, la conferenza di organizzazione di Modena, i seminari degli studenti, le pagine della rivista Jonas inserita come inserto centrale tra quelle de L’Unità, l’agenzia di viaggi Jonas Way… Tutte queste iniziative e questi appuntamenti, senza il sapiente tocco di Lino, sarebbero potuti diventare disastri.

E invece, a volte, i nostri punti di debolezza si trasformavano in una forza capace di generare iniziative politiche e culturali di grande impatto.

A fine 1987 rientrai in Toscana e poco dopo anche lui, inviato a Lucca, uscì dalla FGCI. Eravamo diventati adulti, almeno sulla carta d’identità. La Festa nazionale de l’Unità di Firenze, nel settembre del 1988, ci riportò a lavorare insieme. Allora ero responsabile dell’ufficio di segreteria del Comitato regionale e, temporaneamente, anche della propaganda e informazione della Festa. Paganelli venne prima ad aiutarmi a gestire i rapporti con la stampa locale e poi—quando decisi di rientrare a Siena—mi affiancò anche al Regionale toscano.

Successivamente, con l’evoluzione da PCI a PDS, DS e poi PD, ebbe diversi incarichi: una lunga esperienza nel gruppo al Parlamento europeo, il coordinamento della campagna elettorale in Mugello, la responsabilità di tesoriere del partito, la gestione delle feste nazionali de l’Unità… ne ha fatte mille e non le ricordo tutte. So solo che erano cose che sapeva fare, che gli appartenevano, che sapeva interpretare con il suo stile e la sua arguzia.

Quando lo rividi a Marina di Grosseto, a un pranzo di ‘combattenti e reduci’ con Paolo Amabile e Claudio Caprara, ebbi l’impressione che nessuna di quelle esperienze lo avesse davvero arricchito. Le aveva affrontate con dedizione e impegno, ma il fatto che lo avessero condotto a dover bere l’amaro calice della cassa integrazione non solo non lo aveva soddisfatto, ma forse lo aveva persino indurito. E al contempo esposto, reso fragile.

Eppure, in quel pranzo, come spesso accade tra vecchi amici che hanno condiviso esperienze fondamentali della propria vita, quel velo si sciolse. Mi rimase impressa l’idea che ciò che aveva vissuto non fosse, fino in fondo, ciò che si era immaginato da ragazzo, quando da Firenze si era trasferito per un periodo a Colle Val d’Elsa e poi a Roma.

In quel periodo era evidente che fosse rimasto solo, in un partito molto cambiato, dove si muoveva su un sentiero impervio.

Eppure percepii anche l’orgoglio di chi non aveva abdicato, di chi non era stato vinto né si era fatto da parte. A differenza di me e degli altri due, aveva continuato a fare politica nel partito, mantenendo un’ironia e una vivacità che lo avevano reso stimato e apprezzato da tanti nuovi compagni di strada.

Quando lo accompagnai alla stazione di Grosseto, ci ripromettemmo di rivederci ancora. Ma quell’occasione non arrivò mai.

Ho fatto una ricerca in rete. La fredda e formale sintesi che ho trovato è questa:

‘Addio a Lino Paganelli, storico organizzatore delle Feste de l’Unità.

Lino Paganelli, figura di riferimento per il Partito Democratico e per i suoi predecessori, è scomparso nel marzo 2024 all’età di 64 anni. Il suo nome è legato indissolubilmente alle Feste de l’Unità, che ha contribuito a organizzare con passione e dedizione per anni. Militante politico instancabile, Paganelli si è sempre distinto per il suo impegno nel partito, mettendo al servizio della comunità la sua competenza e il suo spirito organizzativo. La sua scomparsa ha suscitato profonda commozione tra i dirigenti e i militanti del PD.

La segretaria del partito, Elly Schlein, lo ha ricordato con parole sentite: “Con Lino Paganelli se ne va un uomo pieno di passione politica, che ha amato molto il PD e che al PD ha dato tanto. È stato l’anima e l’organizzatore delle nostre Feste e non si è mai risparmiato di fronte a una sfida”.

Anche altre figure di spicco hanno espresso il loro cordoglio. Piero Fassino ha sottolineato la sua “intelligenza, passione, dedizione al servizio della buona politica”, mentre Enrico Letta lo ha descritto come un “militante appassionato e collaboratore competente e impegnato”.

Paganelli è morto quasi un anno fa. Forse sarà ricordato come una personalità minore, perché non ha ricoperto ruoli visibili o istituzionali. Eppure, li avrebbe meritati.

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