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venerdì, Maggio 3, 2024

La Fgci di Folena che fa le… feste

Aspettando Firenze 2024, la convention di Allonsanfan, il racconto di Ivano Zeppi fra Aracoeli e Botteghe Oscure

Il Pci sta per diventare altro. Tanta roba. Berlinguer trapassato fra l’emozione nazionale, anche non comunista – “C’ero anch’io”, ci dice il nostro Ivano Zeppi (qui sopra in foto con Lino Paganelli) al quale abbiamo chiesto il seguito del racconto -. Le Regionali del 1985 che respingono il Pci all’interno del quadrilatero rosso: Liguria, Emilia Romagna, Toscana e Umbria. Partito in bilico tra tradizione e rinnovamento. Il XVII Congresso, anticipato ad aprile ’86 si decide di tenerlo a Firenze. E sarà proprio lì che lo ritroveremo, ora trentenne ed ex segretario provinciale Fgci, divenuto responsabile dei problemi del lavoro e che, da qualche tempo, sta facendo pratica con le “casse” del Partito…

Il titolo dunque potrebbe essere… “Roma, Aracoeli, 1986/87, ultimi anni del Pci”. Comunque arriviamoci con calma. Ci siamo lasciati con tu che dicevi che della Fgci – che per febbraio 2024 ha programmato a Firenze un grande raduno – saresti ritornato ad occuparti anni dopo, nel 1986, quando Renato Pollini, amministratore nazionale del Pci, ti chiese di passare alle dipendenze di Botteghe Oscure e Pietro Folena, segretario nazionale della Fgci, altresì ti chiese di assumere la responsabilità di amministratore nazionale della Fgci ed entrare negli organismi esecutivi.

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Ci spiegavi che “le due cose non erano incompatibili, anzi!” Ma dicevi anche che questa era un’altra storia… Bisogna pregarti per conoscerla?

“Siamo qui per questo. Dal ‘79 all’86, allora, svolgo diversi incarichi. Alcuni interni alla federazione, altri nei costituendi Comitati di zona che erano organismi intermedi tra comuni e province, in Valdichiana in particolare. Le elezioni amministrative del 1980 – particolarmente nei comuni di Sinalunga e Pienza – rappresentano il mio punto culminante di impegno al quale segue un intermezzo di quasi un anno a Frattocchie e il rientro in federazione. Le elezioni Comunali del 1983 le vivo da segretario del comitato Cittadino del Pci e poi assumo l’incarico di amministratore della Federazione. Non mi aspettavo che ci fosse ancora la Fgci nel mio futuro… In uno scenario che, come hai detto, era piuttosto irrequieto iniziarono i lavori a Firenze del XVII Congresso: Francesco Nerli, allora segretario della Federazione comunista di Siena, mi fece incontrare con Pietro Folena, segretario nazionale della Fgci”.

Un uomo che allora si suggeriva avesse addirittura preso il testimone da Berlinguer per i ruoli che avrebbe assunto…

“Sì, aveva già una caratura di dirigente nazionale. Fu una conoscenza significativa; di quelle che non si consumano nella prima stretta di mano. Con Pietro, classe 1957, io che ero del 1956 ero sostanzialmente coetaneo. Francesco fece tutta la trafila della presentazione, ricordando in particolare il mio ruolo alla Festa de L’Unità rivolta ai giovani, Futura, svolta a Siena nel 1985. Pietro allora mi racconta delle difficoltà finanziarie e amministrative dell’organizzazione che dirige, del complicato rapporto con il Partito e mi invita ad assumere la responsabilità di amministratore nazionale”.

Beh, tanto te c’eri abituato a cambiare vita e abitudini…

“Sì, ma non è facile: da neanche nove mesi ero diventato babbo di Andrea, il mio primogenito. Non rientrava tra le mie aspettative lasciar tutto e andare a Roma. Ci lasciammo con l’impegno che ci avrei pensato… Che poi era anche il consiglio datomi da Nerli. Poco più in là, e a distanza di minuti, incontro Renato Pollini, un importante dirigente comunista toscano, già sindaco di Grosseto, già assessore regionale alle finanze, e allora Amministratore nazionale del Pci per diretta volontà del compianto Berlinguer. Spiccio e sbrigativo come al solito, mi apostrofa: allora giovanotto quando vieni a Roma?!”

E su questo “oh te, giovanotto” ci cambi la tua vita?

“Renato lo conoscevo bene, sapevo di avere i suoi occhi addosso: ero uno dei più giovani amministratori – in verità l’unico trentenne – che partecipava alle riunioni nazionali. Il suo messaggio mi giunse forte e chiaro: lui sapeva e condivideva. Con una battuta, in un modo molto toscano, insomma, mi rendeva chiaro che se accettavo avrei avuto il suo sostegno. Che sarei insomma rimasto nel gruppo degli amministratori – Calanchi di Bologna, Vezzali di Modena, Valori di Pisa, Greganti di Torino e Neri che si occupava delle Feste dell’Unità  – che partecipavano alle attività nazionali dell’amministrazione del Pci. E quando decisi per il sì, difatti arrivò assieme all’incarico in Fgci e alla cooptazione in segreteria nazionale anche “il trasferimento” dal libro matricola della Federazione a quello nazionale”.

Immaginiamo che per te cambiasse molto la vita con quel lavoro. Hai avuto difficoltà o rimpianti?

“L’incontro per il passaggio delle consegne con il mio predecessore fu veloce. Anche lui si stava trasferendo, se ricordo bene all’Istituto Gramsci. Del resto la memoria storica dell’amministrazione della Fgci era nella testa e nelle migliaia di foglietti dietro cui era sepolto il gigante buono Sammarini. E lui rimaneva. Non ebbi il tempo per nulla, compresa una ricognizione di debiti e crediti che sarebbe l’unica cosa indispensabile da fare in stato di ordinaria procedura. Tutto era avvenuto in poco più di un mese. Eravamo a fine maggio ed era prevista di lì a poco la festa nazionale della Fgci a Napoli, dedicata all’Africa, e alla cui preparazione stavano lavorando molti compagni del gruppo dirigente. Per prendere le decisioni più opportune serviva che mi mettessi all’opera definendo un budget e disponendo le autorizzazioni di spesa”.

Supponiamo tu ci stia per raccontare qualche stranezza che risolse tutti i problemi?

“Più che altro un approccio alle problematiche che ho ripetuto nella mia vita. Affrontai la questione con Lino Paganelli, silenzioso responsabile dell’ufficio di segreteria; con lui iniziammo l’audizione dei diversi responsabili: comunicazione e propaganda, programma politico, spettacoli, allestimenti e costruzioni. E, fu subito chiaro che, assegnando ad ogni proponimento, un costo prevedibile, il bilancio sarebbe stato insostenibile. In particolare era pesante il costo di allestimento. Il festival era inizialmente previsto in spazi alla Mostra d’oltremare. Si imponeva una scelta, ma questa poteva esser presa solo a Napoli”.

E così…

“Lì ci trasferimmo rapidamente con Paganelli. Il nostro riferimento sul posto, oltre al gruppo dirigente della Fgci rappresentato da Gianfranco Nappi e Andrea Cozzolino, era Pastore, l’amministratore della Federazione Pci. Pastore, a cui fui presentato da Pollini, rappresento un punto di riferimento prezioso. Ci mise a disposizione due suoi giovani collaboratori. Uno in particolare, Pippo, divenne la mia ombra, ospitandomi persino nella casa dei suoi, proprio di fronte a Villa Comunale dove decidemmo – tramontata l’idea di Oltremare – di svolgere la festa. In pochi giorni infatti decidemmo lo spostamento dell’evento dentro la città, con un allestimento leggero ma un programma politicamente, culturalmente e anche dal punto di vista degli eventi assolutamente di rilievo e tuttavia sostenibile e compatibile con le sponsorizzazioni e i contributi che stavamo raccogliendo. Napoli in quei giorni era in festa. Ovunque si inneggiava a Maradona… La nostra festa entrò in sintonia con la città. E l’Africa entro in sintonia con Napoli”.

Certo, Maradona. Quell’anno vinse ancora la Juventus (Napoli superato anche dal rush finale della Roma), ma la stagione successiva fu lui ad accompagnare il “ciuccio” al primo scudetto della sua storia. A voi come andò quella festa africana”

“Riuscimmo ad ospitare nei campeggi qualche centinaio di giovani “volontari” che venivano da tutta Italia. Ma furono solo l’avanguardia di tutti quelli che vennero per vivere la festa. A turno i volontari lavoravano negli stand della festa (bar, ristorante, ristori) e riempivano le iniziative politiche, culturali e, soprattutto gli spettacoli che ebbero un successo formidabile. Si, la festa fu un successo da tutti i punti di vista. Anche dal punto di vista della capacità di realizzazione. E accrebbe la credibilità del gruppo dirigente nazionale intorno a Folena. E fece emergere nuove energie giovanili a Napoli, in Campania e in altre parti del Meridione”.

L’organo ufficiale – L’Unità – la definì “un successo non del tutto previsto”, dove in diecimila ebbero consapevolezza di un nuovo razzismo nord-sud del mondo. Ma quei mesi partorirono anche due altri fatti: uno troppo evidente e un altro nient’affatto evidente: il nucleare sovietico che non era infallibile e l’Italia che entrò nel delirio di internet…

“Restavano comunque anni difficili. Dove si stavano incubando – ma lo avremmo capito un po’ dopo – le scelte che furono compiute di lì a qualche anno. Certo è che il Partito che Natta stava per lasciare a Occhetto aveva bisogno di sentire il sostegno e il contatto dei giovani. E la Fgci di Folena rispose appieno e con tutte le sue forze. In questo fu aiutata e spinta dal sostegno di diverse Federazioni del Pci che misero attenzione ai gruppi dirigenti giovani, alle loro iniziative e dettero sostegno alle iniziative delle strutture nazionali della Fgci consentendo lo svolgimento di assemblee, conferenze e seminari. In particolare si distinsero Modena e Bologna. Ma anche Reggio Emilia, Pisa, Siena e Perugia, in vario modo seppero dare una mano. Al momento delle elezioni politiche ed europee il rapporto con il Partito era divenuto talmente intenso che in diversi collegi furono candidati ed eletti Folena ed altri dirigenti”.

Dunque un periodo della tua vita che ricordi con favore?

“Sì, perché prima di tutto era un lavoro tra i giovani, a volte giovanissimi. Che capivi che sarebbero diventati in molti casi la nuova classe dirigente. E poi, essere uomo dell’amministrazione centrale, quando mi spostavo per lavoro, mi consentiva in alcuni territori, di avere un trattamento di relativo favore. A Bologna e a Modena in particolare, ma capitò anche a Reggio Emilia, spesso non andavo in albergo, ma venivo ospitato nelle foresterie delle Federazioni e, siccome avevo già conquistato qualche chilo –  e passavo per buongustaio -,spesso mi portavano a conoscere alcuni ristoranti locali. Il mio lavoro consisteva sostanzialmente nell’ottimizzare le risorse finanziarie disponibili, consentendo ai programmi di lavoro delle varie strutture – che quasi sempre consistevano in convegni, assemblee, riunioni, seminari – di individuare la location meno costosa. Insomma, con l’ufficio di segreteria, ero il punto di raccolta di tutte le esigenze. Una particolarità del lavoro consisteva nell’assicurare “all’apparato”, ai dirigenti, le risorse non solo per i compensi ma anche per l’attività. Rimborsi viaggi e trasporti era la voce principale. Su quella fu necessaria una vera e propria stretta: aerei in pochissimi casi, e solo previa autorizzazione; treno con soli biglietti di seconda classe”.

Tutti contenti, immaginiamo…

“Per niente. Il giro di vite finanziario procurò qualche malumore ma consentì il prosieguo degli spostamenti e anche permise, soprattutto per i figgicciotti dei territori del Mezzogiorno, di usufruire di un minimo di rimborso spese nelle loro trasferte, soprattutto romane, consentendo la partecipazione alle nazionali”.

Casa dov’era a quei tempi?

“La famiglia era rimasta a Siena. Io facevo il pendolare. A Roma abitavo in un appartamento messomi a disposizione dal Partito in via Pavia che dividevo con un altro compagno. Nel fine settimana cercavo di tornare a casa. Non sempre era possibile. In alcune occasioni Letizia mi raggiunse a Roma portando anche Andrea. Avevo a disposizione una camera che poteva ospitare anche un lettino per bambini. A Roma, Di solito ero il primo ad arrivare in via Aracoeli, verso le 8. Di lì mi spostavo al terzo piano di Botteghe Oscure – i palazzi erano collegati da un passaggio al primo piano – dove erano gli uffici dell’amministrazione. Dieci minuti, a volte mezz’ora di colloquio con Pollini; a volte semplici scambi di idee, altre suggerimenti e informazioni per come fosse meglio rapportarsi nei territori, su chi poter contare”.

Toglici una curiosità, tu avevi il compito di inculcare un po’ di coscienza capitalista a dei giovani intellettuali marxisti?

“No, niente mercato. Semplicemente far comprendere che tutto aveva un costo, che tutte le idee prima o poi “passavano alla cassa”. Che in una organizzazione il punto non era “saper rivendicare la propria priorità” ma saper mettere a frutto la forza collettiva per risparmiare risorse che non erano infinite. Non era un lavoro facile. Del resto la scelta di politica organizzativa di una Fgci non più con i dipartimenti ma con centri di iniziativa tematici autonomi aveva esploso i centri di costo e di spesa. La sintesi non era facile. Naturalmente, l’autorevolezza di Folena e la sua adesione al programma di fare il massimo di iniziativa con il minimo di risorse e radicare le iniziative laddove avrebbero trovato territori disposti a sostenerlo, furono decisive per ottenere alcuni successi. Mi tornano in mente il seminario degli studenti a Zocca o la conferenza di organizzazione a Modena…”

Com’era Folena come capo?

“Di Folena bisognava percepire la grandezza e ingegnarsi a facilitargli la strada. Folena percorreva l’Italia in lungo e in largo, di continuo. Partecipava alle riunioni del Partito, Comitato centrale e Direzione. I suoi interventi erano sempre molto apprezzati. Scriveva con inchiostro stilografico gli appunti in foglietti minuti, ricavati dividendo a metà il formato A4, che poi la fedelissima segretaria dattiloscriveva e trasformava in un testo per gli usi necessari. Pietro era instancabile. Sempre presente, attento, pronto ad usare le parole giuste per tenere insieme un gruppo di giovani, ragazze e ragazzi, nel periodo topico della formazione. Un gruppo dirigente che cresceva e si avvicendava rapidamente”.

Sapresti farci qualche nome dell’epoca?

“Paganelli, Stacchini, Airaudo, Quillo, Anatrini, Vendola, De Giovannangeli, Lavia, Benettollo, Chiodo, Amabile, Fedeli, Caprara, Lanzotti, Benassai, Vecchi, Loddo, Angelini, Pezzopane, Rondolino, Mezzetti, Airaudo, Capranica e tutti gli altri di cui al momento non mi riesce ricordare”.

Siamo al giro di boa, un’altra Festa nel frattempo sta arrivando…

“Già. Con il Festival di Ravenna, dedicato all’America Latina, che si tenne a Ravenna nell’estate del 1987 la mia seconda esperienza in Fgci terminò. Non prima però di vedere l’arrivo nel gruppo dirigente nazionale di Gianni Cuperlo che avrebbe sostituito Folena”.

L’ultimo segretario, quello senza successori, quell’anno nominato da Folena capo degli universitari e qualche mese dopo divenuto segretario nazionale…

“Eh sì, mi pare proprio che con Ravenna parte la sua esperienza lavorativa nel gruppo dirigente nazionale. Allora ventiseienne, lineamenti e cultura mitteleuropea – che non ha mai perso – si trovò catapultato nel Comitato organizzativo della festa, a lavori avviati. Ma non ricordo che abbia avuto difficoltà ad inserirsi nel clima cameratesco dell’allegra brigata che la sera si rifocillava con pizza bianca, pesce e vino nella trattoria-pensione, fronte mare di Casalborsetti, assegnataci dal partito di Ravenna. Tempo dopo, Gianni ha sostenuto che il suo incarico alla festa fosse quello di addetto alle pulizie… Un modo ironico per segnalare il suo forte spirito di servizio e la dedizione al dovere nei confronti della propria comunità. Io nel frattempo rientravo a Siena… per non rimanerci. La mia nuova destinazione era il Comitato Regionale del Pci toscano. Segretario Vannino Chiti. Firenze, via Alamanni. All’ufficio di segreteria, propaganda e informazione. Era il 1° dicembre 1987, il muro di Berlino non era ancora crollato, ci sarebbero voluti poco meno di due anni per arrivare al 9/11/89, quando il crollo mi avrebbe ritrovato fisicamente a Roma. E al Bottegone…”

(2 – continua – Puntata precedente)

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