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venerdì, Giugno 6, 2025

Ma qual è la parte giusta della Storia?

Altri due libri su comunismo e fascismo riaccendono la voglia di fare luce sugli anni bui

Due libri di recente presentati a Siena mi consegnano una certezza: la storia è una conquista dell’intelletto, soprattutto quando la si vuole costruita su fatti oggettivi.

Penso all’amico Claudio Caprara, la cui esistenza – formazione e sentimenti – è legata dalla nascita alla Imola comunista: “Fischiava il vento. Una storia sentimentale del comunismo italiano” (Bompiani, 2025, 240pp, euro 17,10). Penso all’ancor più prossimo esempio dell’altrettanto amico Andrea Bianchi Sugarelli che, realizzata l’Opera magna, si è accorto di quant’altro – tantissimo – possa esser descritto e raccontato: “Siena s’è Dest(r)a. Dall’isolamento del dopoguerra al governo del terzo millennio” (Passaggio al Bosco, 2025, 705pp, euro 26,60).

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La dovizia di nomi, citazioni e collegamenti originali stanno facendo sì, per entrambi, che anche la seconda ristampa sia vicina al “sold out”. L’uno più dell’altro ha fatto uso di documentazioni desecretate: verbali, dossier, documenti ministeriali, atti dunque non collettivamente pubblicati e il cui accesso è ancora vincolato a forme autorizzative. Sono giornalisti che, convinti di poter raccontare una storia che li appassionava, si sono piegati alle regole dell’archivistica e hanno proposto delle sintesi. Chi fa cose del genere, a mio parere, si merita aiuti sostanziosi dalla collettività. Anche perché sopperiscono al “non fare” delle istituzioni, specialmente gli atenei, che non si sono presi con determinazione e pubblicità il carico di assegnare ricerche coordinate a quei laureandi e ricercatori che potrebbero farle.

Pronto a convincermi del contrario, ma al momento non me la spiego un’Università che non vuole sapere.

L’unica eccezione che conosciamo è Luca Santangelo, ricercatore che predilige la traditio orale dai sopravvissuti. Lui però arriva da lontano, dall’Università di Roma Tre, per raccogliere sul territorio senese le tracce dei comunisti di casa nostra e i fatti che ne hanno determinato l’esistenza.

Ho una famiglia che negli anni di anteguerra e dopoguerra ha vissuto esistenze complicate. Mio nonno paterno, Remigio, fu nel fascismo dall’inizio con incarichi e una devozione per Balbo. Abbattuto e ucciso da un proiettile “amico” il gerarca di riferimento, mio nonno, già entrato in collisione coi fasci, seguì l’Armir come capitano medico fino a Dnepropetrovsk; tempo dopo, nella precipitosa ritirata, impose al suo reparto di nascondere tre profughi ebrei, salvandoli dai rastrellamenti. Uno di essi, Haber, medico polacco, si sostituì a lui qualche tempo nella gestione medica della clinica di famiglia, a Siena. Lo fece per una parte di quei due anni di carcerazione a cui un processo condannò il nonno. Un altro di loro, il piccolo Franceschino, fu reso legalmente parte della famiglia e fu tra i primi italiani a ritornare in Unione Sovietica quando la Fiat aprì a Togliattigrad. La resilienza della mia compianta zia – sua figlia Donata – stava per render possibile la inclusione di Remigio tra i Giusti delle Nazioni.

Mia nonna materna, Nicole, visse giorni pericolosi. Lei era un maquis, dormiva con la rivoltella carica sotto il guanciale e ci sono scritti su di lei a Les Invalides, nel museo della Resistenza francese. Nella grande casa, a una quarantina di chilometri dalle spiagge del D-Day, crebbe tre figlie che in quegli anni entravano nell’adolescenza; in quella grande casa il piano “nobile” era stato requisito dalla Wehrmacht e in soffitta c’erano nascosti aviatori inglesi.

La sorella di questa nonna, Francette – divenuta poi giornalista di Liberation, quotidiano molto a sinistra -, vide deportare il marito appena sposato nei campi di lavoro tedeschi, da cui non torno mai più. Il fratello di entrambe, Jean, giovane ufficiale della “Marine” fu parte della rivolta a Bordeaux contro De Gaulle e per vent’anni fu costretto all’esilio, comandante sul fiume Congo, con intervalli ad Assisi e Siena per questioni di fede e visite familiari.

I nipoti di mia nonna paterna – Gianfranco e CarlAndrea -, divennero l’uno partigiano, con opere oggi intitolate a lui e l’altro repubblichino; la moglie di quello partigiano, Luzie, impedì una fucilazione ritorsiva dei tedeschi in ritirata in un borgo delle Crete, ma non esiste documentazione certa probante, salvo una video-intervista che potrebbe ancora avere la gentile Silvia Folchi.

Mio padre, Fabio, consigliere comunale di maggioranza (e poi assessore) nell’unica elezione in cui il Pci abbia rinunciato a Siena al proprio simbolo, ebbe per un limitato periodo di tempo la responsabilità di conservare e proteggere il segretissimo archivio dei comunisti senesi, stante le favorevoli condizioni di tempo e spazio.

Capirete con il poco che vi ho detto che io non ho certezze su quale fosse la “parte giusta” per i miei familiari e antenati. E in un certo senso mi sento orgoglioso del fatto che non ne avessero, ma la scegliessero di volta in volta in base a convincimenti personali, giusti o sbagliati che fossero, per i quali hanno sempre sopportato le conseguenze.

Ero partito con l’idea di raccontarvi di una sera tra amici e di testimonianze su cose di un altro secolo, ma mi rendo conto che lo dovrò fare un’altra volta, perché qui, la chiusa doverosa, è l’appello a cercare, esplorare e riflettere su questa storia contemporanea così difficile da farci raccontare e/o accertare, ma anche così ricca di piccoli eroismi umani.

Non lasciamo che essa venga semplificata, accordata e modellata da chi detiene il potere del momento.

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