Così il viceministro Girlanda risolse con i “Forconi”, oggi tuttavia la questione è squisitamente legata a un’idea comune d’Europa
Forse controcorrente. Il mondo della stampa ci dice che questi trattori che arrancano verso i nodi metropolitani europei sono simpatici. Piacciono. Quasi un annuncio di carnevale anticipato, teglie di briosce offerte a militi e gendarmi, “presciutto” e fiaschi, rivendicazioni sommesse. Quelle più forti fatte contro la politica. Ma non quella dei parlamenti nazionali ma quella di Bruxelles. Forse un inno al qualunquismo.
Siamo consapevoli delle difficoltà del comparto che in Italia impiega più di un milione di lavoratori, cui vanno aggiunti i liberi imprenditori, su 12,8 milioni di ettari coltivati. Il Centro studi di Coldiretti già a fine 2021 parlava di costi di produzione che si sono elevati oltre il 70%. Sappiamo che il terziario si prende beffe del primario addossando al nudo prodotto multipli di rincaro per sostenere la filiera. Sappiamo che questo non può continuare e che, chi coltiva propri terreni, va aiutato. Però…
Chi oggi viene preso ostaggio dai trattori, chi è danneggiato insomma, è l’utente finale. Lo stesso – sempre dati Coldiretti – che paga il costo di filiera per intero e che a giugno scorso aveva visto salire la frutta del 7,8% e la verdura del 17,4%. Ma, evidentemente, queste lievitazioni non hanno beneficiato i produttori.
Onorevole Rocco Girlanda, grazie della sua disponibilità. Lei è stato parlamentare per il Popolo delle Libertà, supervisore politico delle amministrative senesi nel 2011 e oggi è superconsulente. Ci indirizziamo tuttavia a lei come ex membro del governo Letta. In qualità di Sottosegretario fu il responsabile governativo per l’interlocuzione dei ribelli “forconi”… In cosa la protesta attuale somiglia e/o si differenzia da quella che ha vissuto da protagonista?
La protesta dei forconi vedeva al suo interno connotazioni politiche più marcatamente nazionali, più che con un respiro europeo, con un intento indirizzato anche alla possibile formazione di una forza politica. Di sicuro fu una spinta volta a dare voce ad un sentimento di antipolitica e di ribellione in un momento storico ancora fresco delle politiche di austerity imposte dall’Europa al governo Monti e all’Italia. Tuttavia aveva rivendicazioni più ampie e meno precise del moto di protesta attuale, che si sviluppa – non a caso – a poche settimane dalle elezioni europee. L’attenzione del Governo di allora fu massima anche perché la protesta dei forconi era indirizzata ad uno sciopero selvaggio dell’autotrasporto nel periodo natalizio veniva stimato nella perdita di un punto di Pil. Con senso di grande responsabilità da entrambe le parti riuscimmo, con il dialogo, ad evitarlo.
Non sappiamo la sua collocazione politica attuale, anche perché, cessando le proprie cariche ha riconquistato il diritto alla privacy. Pensiamo tuttavia che le sue preferenze siano per quella governabilità che oggi è minacciata. Ma un mondo così ampio come quello agricolo, rappresentato da decine di sigle associative e di parlamentari, perché si sente così scarsamente rappresentato e si abbandona a iniziative così estreme?
Tutti i Paesi dell’Ue, come noto, hanno ceduto parte della propria sovranità in tema di agricoltura alle istituzioni europee e un settore così grande e centrale per la politica comunitaria presenta naturalmente molte sfaccettature, sigle, associazioni ed esponenti – locali e nazionali – di riferimento; sarebbe impensabile mettere tutti d’accordo. Le iniziative estreme fanno parte della necessità di fare notizia, finire sui social e sui media, soprattutto nell’attuale era della comunicazione istantanea. Di contro, la politica non può e non deve pensare che basti rimandare sempre tutto a un tavolo di concertazione, anche se poi bisogna finire sempre lì per fare discussioni serie e studiare riforme o soluzioni sostenibili che comunque, per definizione, non possono servire per accontentare tutti.
La politica agricola varata dall’Ue è frutto di sei anni di studi, cui hanno contribuito attivamente anche i nostri parlamentari. Gli stessi manifestanti la contestano per aspetti diversi. E’ sbagliato che le norme europee siano varate pensando all’Europa come un unico stato e poi giudicate/contestate in base alle rendite di posizione e ai nazionalismi?
Sicuramente questo è uno dei cortocircuiti che l’Europa presenta e non solo in questo ambito. Realtà diverse per storia, economia, modelli culturali, di pensiero e di produzione devono trovare posto e spazio in un puzzle comune. Di certo, guardando all’Italia, lascia molto da pensare la graduale riduzione dei fitofarmaci, la serie di fondi e investimenti sull’agricoltura di qualità, sul biologico e sulle normative stringenti per le produzioni di qualità a fronte poi dell’arrendevolezza mostrata in queste ore da Von der Leyen.
Sappiamo che lei è santantoniaro, tuttavia, emulo del suo patrono Sant’Ubaldo che allontanò le armate dell’imperatore dalle porte di Gubbio, con quali argomenti si metterebbe davanti a quelle di Roma per allontanare i trattori?
Partirei da un presupposto: gli agricoltori e i loro trattori hanno profonde ragioni nelle loro recriminazioni e nelle loro proteste. Ovvio che quando si arriva a questi livelli di esasperazione i toni si alzano e arrivano gli scontri, per fortuna fino ad oggi senza grossi incidenti. La prima cosa da fare è aprire il dialogo. Per i “forconi” durammo tre giorni in mezzo a un campo con tanto di tende, maialino arrosto e Digos a mia protezione. Quindi lasciando da parte i vari santi credo che ogni paese possa prendere impegni diretti a sostegno degli agricoltori e successivamente farsi portatore di tali istanze con grande autorevolezza sul tavolo europeo. Non è accettabile che la filiera dell’agricoltura venda i propri prodotti sottocosto. Come non è accettabile utilizzare fondi europei per colture “senza senso” che vengono cestinate anzichè raccolte per la solita storia della quota del momento.
Lei è stato anche segretario del Cipe. Trattandosi presumibilmente di un problema di scollamento tra economia reale ed economia percepita, come si potrebbe operare a sostegno degli agricoltori senza concessioni che riaprirebbero il crescere dell’inflazione?
Partirei da un concetto essenziale. Il problema è europeo e non solo italiano. Quindi, mi spiace doverlo sostenere, conta l’autorevolezza che ogni paese ha all’interno di questo emisfero molto franco-tedesco. E’ il problema storico della nostra appartenenza all’unione. Prova ne è la questione immigrazione dove, sostanzialmente, siamo sempre stati lasciati soli. Spero le prossime elezioni europee possano segnare il cambio di passo di cui l’Europa e noi per primi abbiamo bisogno.
Domanda d’obbligo. C’è qualcosa che non le abbiamo chiesto, ma che integrerebbe il suo punto di vista con l’approssimarsi delle elezioni europee?
L’Europa va fortemente riformata. Tutti siamo entrati con la convinzione recondita che avremmo creato un clone degli Stati Uniti D’America. Invece siamo divisi su tutto. Dalla difesa del territorio alla politica sociale. Dall’ essere filo americani o filo cinesi. Esistono paesi palesemente progressisti ed altri estremamente conservatori. E non è proprio come uno stato democratico o repubblicano negli USA. Già la vicenda Salis è emblematica. La autonomia propria di ogni stato non ci consente di derogare sui basilari diritti umani, indipendentemente da quello che ognuno di noi ha da dire o pensare sulla protesta di Ilaria, anni luce distante dal mio modo di essere e pensare il mondo.. Altrimenti a cosa sarebbero servite tutte le guerre fatte nel vecchio mondo? Un ultima cosa. Credo fortemente che un periodo storico come quello che stiamo vivendo ci autorizzi a rallentare qualcosa. Tutti i progetti per migliorare il nostro mondo, tra cui gli indubbi interventi nel settore agricolo, possono essere posticipati di qualche anno. Non possiamo far finta che la pandemia covid e la guerra in Ucraina non siano ancora presenti nella nostra economia. L’economia è quello di cui abbiamo più bisogno in questo momento. Questa è la sfida della prossima Europa.