Già il nostro Direttore nell’intervista a Gianni Cuperlo aveva annunciato la sua collaborazione con il sienapost.it.
Da oggi apriamo una sua rubrica che ospiterà i pensieri (una selezione scelta dalla redazione) che Cuperlo consegna alla sua pagina facebook. Oltre ad articoli che ci invierà.
Grazie Gianni.
La redazione
Post del 16 settembre
Oggi (con la consueta raccomandazione) mi va di condividere qui sopra una chiacchiera fatta col direttore (Duccio Rugani, che ringrazio) di Sienapost, un blog-portale-giornale di libera informazione. La cosa è nata per opera del mio vecchio amico e compagno Ivano Zeppi. Ivano fu mandato (all’epoca così si faceva) a svolgere l’improbo compito di tesoriere della Federazione Giovanile del Pci (anch’io ne facevo parte). Arrivò a Roma, prese possesso della scrivania (col relativo disastro economico) e agì con perfetto stile da tesoriere: scelte oculate, nessuno spreco, nessunissima parola. Lui aveva una abilità assoluta nel comunicare in forma non verbale e a chi sollecitava una spesa (di ordine politico, si capisce) replicava con la potenza dello sguardo accompagnato da un lieve accenno di sorriso a significare “scordatelo!”. Se non avete mai incrociato un tesoriere comunista e avete curiosità per la scienza della comunicazione non-verbale iscrivetevi pure a uno di quei corsi a pagamento dove ve la spiegano. Noi siamo stati educati da giovani a quell’arte superiore del “negar tacendo”. Bon, adesso la chiacchierata.
Post 21 settembre
“Sono andato a prendere mio figlio Marco a scuola e lui l’ha capito subito che c’era qualcosa di diverso, non c’è stato bisogno che aprissi bocca. Mi è corso incontro, mi ha abbracciato forte e mi ha detto: “Babbo, che bello vederti sorridere di nuovo”. Ed è lì che ho capito quanto la mia famiglia possa aver sofferto con me in questi lunghi mesi con la spada di Damocle della perdita del lavoro sulla testa”.
Luigi Oliverio ha 48 anni, lavora in Gkn come addetto al controllo numerico da quando ne aveva poco più di 20. Oggi la sua intervista su Repubblica è il modo migliore per iniziare la giornata.
Un abbraccio
PS. Il candidato della destra al Campidoglio, Enrico Michetti, ha disertato anche l’ultimo confronto (ieri sera) con i suoi tre competitori (la sindaca uscente, Virginia Raggi, Carlo Calenda per “Azione” e Roberto Gualtieri per il centrosinistra). Trovo la tecnica scelta assai intrigante: lasciare che gli altri corrano sino a sfiancarsi (come i maratoneti che partono fortissimo e a metà corsa arrancano) mentre lui, Michetti, inizierà la sua vera campagna elettorale solo dopo il ponte di Ognissanti a inizio novembre. Un furbo, altro che no. Però qualcuno si premuri di avvisarlo che a quel punto i romani avranno già votato.
Post 20 settembre n.1
Tragedia (o commedia?) in tre atti.
Primo atto
Un pugile professionista sale sul ring per il titolo italiano di categoria, ha il corpo per quasi la metà coperto da tatuaggi che inneggiano a Hitler e al nazismo. Gong. Inizia il match.
Secondo atto
Il pugile professionista finisce progressivamente suonato dal suo avversario, un cittadino italiano di origine marocchina che vive ad Asti, in Piemonte. Gong. Fine del match.
Terzo atto
Il nuovo campione, sceso dal ring, commenta: “C’è stato più gusto a vincere”.
Sipario!
Post 20 settembre n.2
Il tribunale del lavoro di Firenze ha bloccato i licenziamenti alla Gkn di Campi Bisenzio, azienda che opera nella componentistica dell’automotive e oggi controllata dalla multinazionale britannica Melrose.
La motivazione è che la società ha violato l’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori mettendo in atto comportamenti antisindacali. “Azienda in malafede” ha scritto il giudice. L’azienda ha ritirato i licenziamenti (comunicati via mail) e annunciato un ricorso che mi auguro perda.
Una volta c’era un giudice a Berlino. Stasera c’è un giudice a Firenze. Il che non dovrebbe bastare alla politica e alla sinistra perché se siamo giunti a questo genere di “violenze” è anche per avere abbassato la soglia di diritti e tutele di chi lavora e di chi un lavoro lo insegue.
Comunque il pensiero è per quei lavoratori e per le loro famiglie. La loro battaglia è tutt’altro che finita, ma forse l’ultimo giorno d’estate lo ricorderanno come il migliore di questi mesi.
Post 18 settembre
Voi mi direte, ma fatti gli affari tuoi o anche “Ofelè fa el so mestè” (pasticciere, nel senso di ognuno, faccia il suo mestiere) e avreste non una, ma mille ragioni per dirmelo, quindi fissiamo la premessa qui.
Però nel segno di una libertà di giudizio e parere che dovrebbe sempre spettare a chiunque fruisca di un servizio, soprattutto se pubblico, mi arrogo il diritto di condividere con voi un banalissimo pensiero.
Bon, io penso che la stagione dei talk politici (quei programmi che progressivamente hanno occupato una buona parte dei palinsesti di reti pubbliche e private, dalla primissima mattina a sera inoltrata), dicevo quel modello di racconto della politica (e degli eventi che la cronaca riserva in relazione alla politica) abbia esaurito la sua spinta propulsiva. Un po’ come la Rivoluzione d’Ottobre e le società che ne sortirono.
Credo non sia solamente una questione di occupazione dello spazio, anche se (l’ho appena detto) la quantità dell’offerta, per quanto riconducibile a diverse affinità politico-culturali dei conduttori e delle conduttrici un certo tasso d’inflazione immagino lo generi.
Personalmente quel pluralismo, che si estende anche al linguaggio e alle modalità espressive, a me pare una risorsa in più. Se seguo un pezzo del programma di Mario Giordano so a cosa vado incontro, anche sotto il profilo della spettacolarizzazione del racconto. Molto diverso il taglio di una puntata di Corrado Formigli o di Giovanni Floris o di Bianca Berlinguer.
Parliamo di professionisti con anni di esperienze alle spalle, persone che sanno impaginare un programma, destreggiarsi tra gli ospiti e coglierne punti di forza o di fragilità.
No, il punto non è per forza in chi conduce. Direi che sta piuttosto in chi partecipa con un tratto di ritualità (e ripetitività) che il tempo ha trasformato in una vera categoria professionale di “ospiti e opinionisti da talk”.
Qui potreste dirmi “senti da che pulpito” nel senso che anche a me è capitato e forse capiterà di andarci e avreste ragione. Posso aggiungere che non succede con grande frequenza, ma onestamente vi debbo dire che ciò non è tanto l’esito di una mia scelta frutto di discrezione, piuttosto è il risultato degli scarsi inviti che ricevo (Vabbè, un altro mattone a vantaggio di Lercio!).
Comunque il punto non è il singolo caso, quello mio o di un altro.
Il punto è proprio che dopo anni e anni di questo “rito” televisivo e salottiero dove può capitarti di incrociare lo stesso volto, la stessa voce, in due o tre contenitori a poche ore di distanza (o persino in contemporanea, giuro che mi è accaduto di vederlo) è più che comprensibile che subentri in chi sta a casa un senso – come dire? – di saturazione.
Non per forza di ostilità o antipatia, ma una reazione più normale del tipo, “ma, caro amico (o amica) ti ho sentito ieri e pure ieri l’altro e ieri l’altro ancora dirmi cosa pensi del green pass, del super green pass, del super mega super green pass, ecco oggi quando ti ritrovo per la quarta o quinta volta a ripetermi lo stesso concetto, sai che c’è? Ma anche no” e così uno cambia canale o spegne e legge un libro.
Allora, in sintesi.
Io sarei per una sana rivoluzione del linguaggio e della creatività.
Mi piacerebbe che chi la televisione l’ha inventata e la sa fare (e ce ne sono) desse dopo molti anni libero sfogo alla fantasia e immaginasse un modo completamente nuovo e originale di portare, raccontare, rappresentare, la politica in quegli studi (o fuori da essi).
Che si smettesse col rito del salotto sempre uguale, con gli stessi ospiti senza un guizzo (mi offro personalmente di segnalare dieci giovani straordinari che potrebbero portare un contenuto mai sentito su materie di interesse sociale per milioni di persone!).
Insomma, mi piacerebbe che con un guizzo imprevisto e improvviso domani, lunedì o martedì, in tanti accendessimo la tivù e i volti amici dei conduttori (poi ognuno avrà le sue preferenze) ci entrassero in casa dicendo quella battuta dei Monty Python “E ora qualcosa di completamente diverso”.
Sapete che penso?
Che il primo o la prima che avesse la voglia e l’inventiva per farlo finirebbe nel guinness dei primati col record seguente: “A ottobre 2021 riuscì per la prima volta al mondo in una standing ovation dai salotti di casa”.
Post del 17 settembre
Siccome non vogliamo farci mancare nulla ha fatto capolino anche una polemica sul green pass per entrare alla Camera e al Senato. Giorni fa diversi parlamentari di schieramenti diversi avevano sostenuto che non lo si poteva imporre per l’ingresso nelle Aule poiché nel farlo si sarebbe calpestato un principio costituzionale che garantisce deputati e senatori nell’esercizio pieno del proprio mandato di rappresentanti del popolo. A dirla tutta, non mi pareva una motivazione vincente dal momento che la Costituzione introduce anche precisi diritti per i lavoratori mentre, a oggi, si prevede per chi non sia munito del pass una sospensione dal lavoro (pure non essendo ancora in presenza dell’obbligo di vaccino). Adesso pare di capire che lo scoglio sia stato superato e che il green pass verrà richiesto anche agli eletti in Parlamento. Ecco, bene così, ma se ci risparmiassimo argomenti a tutto vantaggio di quanti spiegano che esistono cittadini di serie A e B (concetto da respingere) forse faremmo un’opera pia.
Per chi frequentasse quei luoghi oggi pomeriggio alle 17.30 presenteremo a Prato (Chiostro del Duomo) il bellissimo saggio di Vannino Chiti “Il destino di un’idea e il futuro della sinistra” centrato su natura ed evoluzione del rapporto tra il Pci (non solo, per la verità) e l’universo cattolico. Oltre all’autore ci saranno un saluto di S.E Mons. Giovanni Nerbini, Vescovo di Prato e gli interventi di Ilaria Bugetti, la Presidente della Commissione Lavoro e Sviluppo del Consiglio Regione Toscana e Antonio Mazzeo, Presidente del Consiglio Regione Toscana. A moderare il giornalista Piero Ceccatelli. Come vedete tutte persone importanti, ma hanno chiamato anche me (ditelo agli amici di “Lercio”!).