Post del 6 giugno
Contro la proposta di un salario orario minimo (si ragiona su 9 euro netti) da garantire a tutte le lavoratrici e i lavoratori non coperti da un contratto nazionale c’è chi erige le barricate. In prima fila la lunga serie di soggetti (politici, imprenditoriali, accademici e opinionisti) sempre più indignati verso quel reddito di cittadinanza che avrebbe riempito i divani di migliaia di tinelli (almeno dove un tinello esiste) svuotando cucine, alberghi, ristoranti, campeggi, villaggi turistici e pizzerie dove questi fannulloni di cerca lavoro hanno la pretesa di chiedere in anticipo le regole d’ingaggio (orari, retribuzione, giorno di riposo, eventuali straordinari…..”Sapesse Contessa all’industria di Aldo…”, ma questa è citazione per gli anziani). Nel frattempo la Spagna del primo ministro Sanchez e della ministra del lavoro, Yolanda Diaz, ha licenziato una riforma di pura saggezza che, invertendo i fattori, prevede che il lavoro temporaneo costi più di un contratto stabile. Morale: la percentuale delle assunzioni a tempo indeterminato è cresciuta come non mai negli anni recenti con 700mila nuovi contratti stabili in un mese. Ora, l’attacco al reddito di cittadinanza muove da una premessa sbagliata: che chi rifiuta di lavorare per dieci o dodici ore al giorno pagato 5 euro l’ora sia un mangiapane a tradimento e si goda la vita alle spalle dello Stato. La realtà è che se la legge (coi relativi controlli) garantisse una paga minima di 9 euro netti l’ora anche la dinamica del mercato del lavoro sarebbe destinata a cambiare (e in meglio). Per dirla tutta, quel “famigerato” reddito di cittadinanza ha per un verso preservato dal precipizio nella povertà un buon numero di famiglie, per l’altro ha portato alla luce la giungla di offese alla dignità di alcuni milioni di persone sottoposte in precedenza al ricatto odioso di un trattamento lavorativo e salariale più prossimo allo sfruttamento peggiore che a una civiltà del lavoro. A me non pare un ragionamento così ostico da capire.
Un abbraccio