Maria Pia Corbelli, donna e giornalista, ha creato il Premio Celli-Gigli e il Terra di Siena International Film Festival
In uno store del centro verso l’ora di chiusura c’è gente che corre. In genere uomini, impiegati e funzionari che devono riportare a casa il pane che comincia a scarseggiare, atterriti dalla possibile domanda: “Il ciambellone è finito! Che le do?” Ancora più incasinati sono coloro che devono trovare lo zenzero fresco o il kefir.
E mentre i dipendenti, in anticipo, rassettano i banconi e mettono secchio e mocio a portata di mano, facciamo un incontro. Una bella signora che procede con distacco guardando agli scaffali come se fosse alla ricerca di un sapore o un’emozione, anziché un prodotto.
Era qualche giorno che pensavo a lei dopo aver conosciuto un giovane aspirante giornalista di Catania che recensisce sul suo facebook il cinema che conosce. E mi fa strano incontrarla. Maria Pia Corbelli, alla vigilia della Festa della Donna. Le chiediamo di rendersi disponibile per un’intervista e quello che segue ne è il risultato.
Trovo bello l’articolo su di lei scritto da La Nazione a proposito delle sue molte identità. Non mi addentro, però. Mi limito a dire che la femminilità la circonda…
Mapi, grazie. In questi giorni celebriamo la festa delle donne: possiamo affermare con certezza che non c’è uomo che sia riuscito a impedirti di esprimerti?
“In effetti ci sono stati molti uomini che hanno cercato di impedirmi di esprimermi ma io non ho mai mollato, non mi sono fatta intimorire e anche a costo di grandissime difficoltà, sono riuscita sempre ad andare avanti per la mia strada”.
Ti senti un modello da imitare per le più giovani e quale suggestione offriresti a una ragazza nel momento che diventa donna?
“Sì, ho sempre cercato di trasmettere alle mie stagiste o collaboratrici gli insegnamenti dei miei maestri che mi dicevano sempre di puntare su tre punti fondamentali nel giornalismo: informare, intrattenere ed educare. Una vera palestra di etica professionale”.
Giornalista, fiera erede del settimanale Il Campo di Siena (poi Voce del Campo), rilevato da un galantuomo di altra epoca come Mario Celli del quale Mapi ne perpetua la memoria con un premio giornalistico. Non particolarmente attenti alla vita culturale della città, pensavamo che il Premio fosse stato travolto dai tempi e dall’assenza di risorse, ma la realtà non è questa.
Oggi il premio, oltre il lupaiolo – fu anche priore tra il ’66 e il ’69 – celebra un tartuchino dal nome ancora altisonante: Silvio Gigli. Per di più è stato interamente passato sotto l’egida regionale e quindi praticamente è stato reso finanziariamente imperituro. Lo scorso anno a ricevere il premio sono stati il giornalista e scrittore Marino Bartoletti, il conduttore televisivo Carlo Conti, l’artista Drusilla Foer, la giornalista Cristina Manetti, prima donna capo di gabinetto alla Regione Toscana, Giovanna Pancheri di Sky Tg24 e l’attrice e conduttrice televisiva Francesca Reggiani.
Non è da tutti, complimenti Maria Pia. Qual è il tuo pensiero sul presente ed il futuro del premio giornalistico che hai creato?
“Il premio negli anni ha cambiato formula, infatti da tre anni il premio, inizialmente intitolato a Mario Celli, fondatore del settimanale “Il Campo”, è stato unito al nome di Silvio Gigli, suo amico fraterno fino alla fine. Il futuro è quello di farlo crescere e farlo conoscere, non solo a Siena, ma a livello nazionale e internazionale con nomi di alto profilo che si sono distinti nel campo della tv e della carta stampata”.
L’attualità stringente ci porta a chiederti dell’Officina Pasolini, sfrattata da un palazzo romano per esser ricostruita in quello di fronte. Qual è il tuo pensiero? E’ un grave attentato all’arte che merita una solidarietà diffusa oppure uno dei tanti casus belli che scaturiscono dalla politica romana di questi giorni?
“È un grave atto, ma purtroppo ce ne sono altri di questi esempi su trasferimenti o addirittura chiusure di spazi culturali. Anche se ormai è una parola in disuso e tutti ci ridono, con la cultura non si mangia”.
Siena tua città elettiva sta sfogliando una metaforica margherita. Cadute le vestigia di un’opulenza perduta tenta di scegliere al meglio le direttrici di sviluppo che le restano. Al cinema al momento non sembrano pensarci. Qual è il pensiero della fondatrice del Siena Film Festival, un tipo di sodalizio che in altri territori offre risultati ragguardevoli?
“Quando nel 1996 fondai il Terra di Siena Film Festival che poi nel 2011 è diventato ufficialmente internazionale e riconosciuto dalla Commissione Europea per l’alto livello artistico, mi sono battuta con le istituzioni locali affinché diventasse un punto di riferimento della Toscana. Una vetrina culturale ma anche di business dato il grande numero di partecipanti che, nel corso di quasi trent’anni, hanno calcato le pietre senesi. Il colmo è proprio che il Festival è più riconosciuto e apprezzato fuori che non in città”.
Ai nostri amministratori, senza distinzione di colore, vorrei chiedere responsabilità; assumersi cioè i propri carichi per il bene della città. Finora la collettività li ha condizionati ed i segni distintivi più importanti e simbolici sono stati preclusi a chi ne ha fatto richiesta. Che senso ha respingere per anni Mel Gibson e poi aprirsi a Six Underground di Netflix o allo stesso Quantum of Solace? Ma a questo cinema, Siena interessa solo, chiaramente nella fiction, come set di distruzione e vandalismo in un museo vivente?
“Purtroppo le amministrazioni, che si sono succedute a Siena, hanno dimostrato di avere vedute diverse. Mi ricordo di un sindaco che quando gli proposi una retrospettiva su Sergio Leone, appoggiò l’idea mettendo a disposizione la Sala del Manto e la Sala San Pio del Complesso Museale Santa Maria della Scala, e arrivarono attori da tutto il Mondo tra cui lo stesso Eli Wallach che interpretò “Il Brutto” ne Il Buono, il Brutto e il Cattivo”.
Presumiamo che… in un momento in cui Il Film Festival è stato fatto trasferire dal Pendola all’Alessandro VII e non si sa quando potrà recuperare la location storica… In un momento in cui la città è stata molto distratta da eventi politici e sociali, siano dei segnali quelli che ti riguardano… Se non sbaglio lo scorso anno il Terra di Siena Film Festival è stato presentato dalle comode poltrone del Lido di Venezia e tu hai fatto anche un salto a Cannes per ritirare un riconoscimento per la tua dedizione al cinema. E chi più di te, Mapi?
“Il Terra di Siena International Film Festival da alcuni anni è ufficialmente invitato all’Italian Pavilion sia alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia, sia al Festival di Cannes dove viene proiettato un promo su Siena e conseguentemente la consegna del Seguso Awards, il premio più importante del Festival, ad una star internazionale. Quest’anno è stata una sorpresa che io sia stata premiata dal Direttore Fremaux del Festival di Cannes, per il mio impegno nel cinema”.
Archibugi e Verdone. Artisti cui molto dobbiamo, ma chi sono i giovani veramente promettenti che chiedono al Terra di Siena Film Festival di essere spinti verso la posterità? Chi altri ti fa voglia di citare?
“Francesca Archibugi ha ricevuto tra l’altro il Premio Celli nella Sala delle Lupe del Palazzo Pubblico e Carlo Verdone è stato Direttore Artistico del Festival per cinque anni. Oggi ci sono dei giovani molto promettenti e l’obiettivo del Terra di Siena International Film Festival è proprio quello di scoprire i giovani emergenti e lanciarli, come è successo nei casi di Paola Cortellesi, Samuele Rossi, Alessandro Aronadio, Anna Pepe, Luisa Porrino e Giada Colagrande che proprio a Siena conobbe il grande attore Willem Dafoe che poi è diventato suo marito”.
Prossimi quindici anni. Cosa possono fare il cinema per Siena e Siena per il cinema? E Mapi cosa può volere dai suoi concittadini?
“Vorrei che i cittadini ritornassero ad amare la Sala, perché il cinema dà le emozioni soltanto in sala. Il cinema è necessario, a Siena più che mai, perché educa e fa cultura, insegna ai giovani e Siena è una città con due importanti Università dove, ricordiamoci, ci sono state due cattedre di cinema che sono entrate a far parte della storia: una condotta all’Università degli Studi di Siena dall’indimenticabile Lino Micciché, e l’altra all’Università degli Stranieri da Sergio Micheli, che è sempre stato portato d’esempio e citato per il suo impegno dai Fratelli Taviani”.