Per “Insoliti viaggiatori”: una recensione non convenzionale… a una storia raccontataci da Pier Felice Finocchi
Qualche giorno fa ho incontrato l’amico Pier Felice Finocchi: eravamo entrambi in Umbria con una combriccola di motociclisti. L’ho salutato da lontano e, sorridendo, gli ho quasi urlato: “Quando mi regali un’altra splendida storia per la mia rubrica?”. Con mia grande sorpresa, mi ha subito dato il suo nuovo libro, Strade d’Oriente, dicendomi: “Scegli una storia, prendi quella che più ti piace”.
Ammetto di essermi sentito un po’ in imbarazzo di fronte alla sua generosità, forse anche per la spontaneità con cui gli ho fatto la richiesta. In fondo, scrivere un libro – per quanto si ami farlo – è fatica e sudore.
Lui dice di non essere uno scrittore, ma è indubbiamente un fine narratore: basta leggere le sue parole per immergersi in ogni racconto. Strade d’Oriente è un libro di storie vissute, che sa trasportarti lontano, quasi a farti sentire i profumi e la durezza delle strade percorse in terre remote.
I racconti sono filtrati attraverso il tempo che addolcisce i ricordi: pare quasi di percepire ancora la polvere sulle strade, senza che questa veli il colore di memorie sempre così vive e piene di meraviglia.

Il libro contiene 23 racconti di terre “lontane” (come si diceva un tempo): Pakistan, Siria, Uzbekistan, Russia, Mongolia, Tagikistan, Iran, Belucistan, Georgia, Armenia e molte altre. Sono le strade di una vita, punteggiate da quei luoghi che danno sapori speciali ai viaggi, come i lokantası turchi o i vivaci bazar.
Un ultimo cenno, ma non meno importante, va alle foto: io, che amo e mi diletto a fotografare, mi sono letteralmente perso in quelle immagini.
Ho pensato a lungo a come onorare la generosità di Pier Felice. Alla fine, ho deciso di condividere con voi soltanto una parte del racconto che mi ha regalato, sperando di invogliarvi a comprare il libro per scoprire il resto. Se volete conoscere di più su questo autore, potete rileggere l’intervista che gli feci tempo fa: vive qui vicino a noi, nel cuore della Toscana.
Un assaggio dal capitolo “Karachi”
Ero già stato circa quindici anni prima in Pakistan, al nord. Entrato dall’Afghanistan attraverso il Khyber Pass, ero approdato di conseguenza a Peshawar che, già allora e figuriamoci prima, sapeva principalmente di Area Tribale, pur avendo tutte le caratteristiche di una città pakistana passata attraverso la dominazione inglese. Mi ero poi diretto verso Islamabad, un neo diverso sul viso di questa fresca e giovane nazione, che viveva autonomamente solo da circa mezzo secolo. Poi, da li a Lahore, nella classicità.

Ma Karachi era un’altra cosa. Era un groviglio di quartieri in festa perenne, agghindati di fiori e profumati da incensi… un susseguirsi di negozietti, bottegucce ciascuna specializzata in qualcosa, bugigattoli dove trasuda il tramandarsi un’arte anche minima come preparare la sera le foglie del betel… angoli che offrono un rifugio alla vita, alla quotidianità, che alimentano sogni lontani, dove anche i rumori si trasformano in suoni… ovunque uno sciamare di persone che appaiono come personaggi… odori, profumi, zaffate di sporco… lunghe vie dove i televisori diligentemente accatastati urlano ciascuno una storia diversa ad un volume inverosimile e passeggiando ci si immerge in un labirinto sonoro con effetti che ricordano Stockhausen… e a questo si sovrappongono poderosi interventi di canti religiosi, urla di bambini, richieste di mendicanti, litanie di storpi, richiami per attirare clienti di commercianti o di quelli che battono la città spingendo incessantemente banchetti a ruote colmi di ogni cosa… arterie confinanti con vicoli, dove ogni tipologia di merce arranca per sopraffare la precedente… intere strade dove giacciono in mostra perpetua plastiche sotto forma di secchi, ciabatte, catini, utensili di ogni genere, borse, maniglie e quant’altro si possa immaginare… Hotel con una quantità di stelle e pareti dipinte a smalto, che promettono sogni ancestrali, con inservienti vestiti così eccessivamente alla maniera locale da risultare finti… carrelli nomadi di frutta di una delizia rara… bellissime vie centrali, con negozi di antiquariato di ogni genere a prezzi esagerati… l’immensa lavanderia all’aperto dove, come bandiere di innumerevoli galassie, svolazzano al vento migliaia di abiti di ogni foggia e colore.
La demolizione delle navi mercantili o da crociera è un vero affare in Pakistan. Ma non per tutti: decine e decine di uomini vestiti di un solo telo, come formiche alle quali nulla sfugge, entrano negli immensi scafi metallici, a volte con un’attrezzatura ridicola e spesso senza, e ne escono con oggetti che da lì a poco arricchiranno tutti tranne loro.

Il Vento, che pacatamente dal porto raggiunge il centro della città, scavalcando abitazioni sempre più alte, dona un leggero ed elegante movimento agli innumerevoli negozi che espongono teli lunghissimi di stoffe multicolori, un movimento ad una vita a volte estremamente statica. Spesso la brezza dal mare, attraversando i magazzini di spezie mescola il sale al cardamomo, il pescato alla noce moscata. Il tutto nel suo volare verso la città si arricchisce di legnami da costruzione, oli di frittura, collane di fiori, olezzi di vicoli mal odoranti, incensi… questo insieme forma un’immensa colonna olfattiva del luogo che, una volta inalata, come un vapore d’oppio, la si rivorrà ancora senza sapere il perché, ma con l’impulso di voler rivivere quella emozione. (… Il racconto prosegue).
Ecco, con questo spero di avervi incuriosito!
Come vedete, Pier Felice ha uno stile dettagliato e immersivo, capace di farci sentire realmente su quelle strade d’Oriente. Se volete leggere il resto del capitolo e scoprire le altre 22 storie che compongono il libro, non vi resta che procurarvi Strade d’Oriente edizioni Effigi e lasciarvi trasportare dai suoi profumi, dai colori e dalle emozioni di terre così affascinanti. Buona lettura!