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venerdì, Novembre 22, 2024

Un po’ di anni fa ad Hebron – Palestina

Luca Gentili ci propone una testimonianza di convivenza che è sempre d’attualità

Ho atteso un po’ prima di scrivere questa storia, ho tanti amici da entrambe le parti sia ebrei che palestinesi e non volevo urtare tutte le differenti sensibilità.

Anni fa ho avuto la fortuna di lavorare in Palestina, sono stato lì più volte, soggiornando per alcune settimane a più riprese.

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Lavoravo per l’UNESCO al piano di recupero di Bethleem.

Pur occupandomi da anni di sistemi informativi a supporto della pianificazione urbanistica, in quel luogo per me era tutto nuovo, con i colleghi dovevamo reinventarci, tecniche e metodiche di lavoro.

La cosa fantastica era lavorare con i giovani architetti palestinesi, mettevano una gran passione nel lavoro e ci spingevano a dare il meglio di noi.

Un giorno decidemmo di visitare Hebron la città di Abramo, l’autista ci comunica che non può accompagnarci: è una zona a noi vietata. Trattiamo, insistiamo gli diciamo che lo facciamo a nostro rischio e pericolo, alla fine lo convinciamo a portarci nel luogo più prossimo al perimetro delle vecchie mura da dove poi poter proseguire a piedi.

Lasciamo la nostra jeep bianca con le insegne UN e proseguiamo verso il centro più antico dell’abitato.

Vi potrete chiedere perché. Perché facemmo una cosa a noi vietata?

Il motivo era capire de visu il restauro di Hebron, l’antico centro fu oggetto di un grande piano di recupero edilizio e sociale con la re-immissione di oltre seimila palestinesi, che avevano abbandonato il centro a causa della guerra.

Volevamo vedere e toccare con mano le tecniche di recupero usate in questi luoghi. Pertanto, con due amici architetti, l’archeologa e il responsabile UNESCO ci incamminammo per le microbiche vie.

Hebron è una città particolare nata nel quarto secolo prima di Cristo, è un immenso sedimento di storia. Mai violata, probabilmente per la conformazione dell’abitato, formato da case ridossate le une alle altre, divise solo da piccolissime vie cha spesso assumono la forma di un tunnel che si immerge al di sotto dell’edificato; storicamente conservata come la nostra Siena.

Percorriamo le strade deserte dell’antichissimo centro, non è una contraddizione di quanto affermato precedentemente, parlando di ripopolamento, ma la causa di eventi successivi.

La città era una zona arancione, pertanto secondo gli accordi internazionali, post-guerra del ’67, avrebbe dovuto essere strettamente sotto controllo palestinese, ma come in tutte le storie c’è sempre un ma; nel 1979 un manipolo di donne, capeggiate dalla moglie di un rabbino fondamentalista occupa un vecchio ospedale nel centro antico della città, il governo israeliano successivamente sostiene questa azione. La motivazione dei fondamentalisti religiosi per l’occupazione è recuperare un luogo sacro all’ebraismo.

Questo è il luogo dove Abramo condusse gli ebrei e dove in una grotta chiamata Tomba dei Patriarchi la bibliografia colloca le spoglie di Abramo, Isacco e Giacobbe.

Per onore di cronaca, Abramo è profeta caro anche alla cultura religiosa musulmana per cui nel luogo, vicine l’una all’altra, esistono una sinagoga ed una moschea.

Su queste terre per anni hanno vissuto pacificamente mussulmani ed ebrei.

Israele per proteggere l’inaspettato “insediamento”, immediatamente costruisce un presidio militare con settemila soldati al suo interno. Questa sommariamente è la storia-origine delle tensioni.

A seguire alcuni anni dopo, nel 1994, un membro della Lega della difesa ebraica entra nella moschea e uccide venti mussulmani raccolti in preghiera; gli scontri che seguono l’accaduto vengono sedati dai militari israeliani e conteranno alla fine 60 morti, di cui 55 palestinesi e 5 israeliani, tra cui l’attentatore linciato dalla folla.

A tali fatti di sangue segue una spartizione della città: 20 per cento sotto il controllo israeliano e il resto sotto il controllo palestinese. Ma torniamo alla mia esperienza.

Mi incammino in queste vie risanate da un sapiente restauro, cammino su una arenaria chiara che lastrica il selciato, bozze dello stesso materiale rivestono i palazzi.

Rallento il passo, faccio andare avanti gli amici per avere la visuale libera e poter scattare una foto.

Ancora non abbiamo raggiunto la zona sotto il controllo israeliano che, girato l’angolo, mi imbatto in un soldato con la stella di David, io con la mia reflex pronto allo scatto, lui con il fucile alzato nella mia direzione, un brivido mi percorre la schiena, penso “no… non, non mi sta minacciando è sicuramente impaurito da questo imprevisto incontro”.

Parte il click dell’otturatore, fortuna vuole sia quello della reflex.

Ci fermano, ci chiedono i documenti e una volta capito che siamo studiosi europei inizia un surreale dialogo tra Giovanni, responsabile UNESCO e l’ufficiale che guida il piccolo gruppo di soldati.

L’uomo ci dice “non potete stare qui andate immediatamente via è pericoloso”.

Non so cosa passò in quel momento per la testa di Giovanni che immediatamente rispose “no siete voi che non potete stare qui!”

Non ricordo molto altro, un lungo silenzio un incomprensibile borbottio e io che mi allontano in direzione del posto di blocco che delimita l’area sotto controllo israeliano.

Questa piccola storia non vuole riaffermare torti o ragioni dell’una o dell’altra parte ma spero faccia capire come storie di reciproco rispetto, costruite in decine di anni vengano spesso distrutte da episodi e che è la tolleranza, non la forza, l’arma più potente per costruire una pacifica convivenza.

Se qualcuno è arrivato fino a questo punto della storia e ha piacere di conoscere come è finita la giornata, questo è quello che è successo.

Siamo andati avanti e dopo un po’ di cammino abbiamo passato il tornello che blocca l’area di accesso alla grande area della Sinagoga, superati i metal detector, i sacchetti di sabbia da cui spuntava la canna di una grande mitragliatrice, passati sotto gli occhi vigili di un giovane soldato, siamo finalmente giunti nell’area sacra alle due religioni.

All’interno donne, uomini, bambini, con le insegne dell’ebraismo più tradizionale camminavano, pregavano e sostavano in crocchi nell’area verde vicino alla sinagoga, come se una bolla senza storia o tempo li ricoprisse.

Sono uscito in silenzio dopo aver visitato il luogo, la testa avvolta in mille pensieri.

Con il sole basso, ho riattraversato la città, ripercorso i vicoli che ora apparivano quasi bui, osservato le saracinesche dei negozi saldate con la fiamma ossidrica, intorno nessun segno di vita, fino a raggiungere lo spiazzo fuori dalle mura, dove un aquilone fatto con due canne incrociate e una sacco di plastica nera a fare da vela mi ha riportato il sorriso, ho sperato dentro di me che la perseveranza del bimbo che lo conduceva nel vento, abbia la forza col tempo di risanare le profonde ferite di questi popoli.

Era l’anno 2007

Luca Gentili

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