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giovedì, Dicembre 12, 2024

Congresso Pd, manca ancora qualche pezzo del puzzle

Sulla riorganizzazione dei Circoli sale la polemica. Meglio un’assemblea del Partito. Autoconvocata?

In casa Pd le acque continuano ad essere agitate. Questa volta “la responsabilità” ricade interamente sul Commissario. Galeotta, si può dire è stata la sua lettera in cui, a distanza di pochi giorni dai congressi (e in alcuni casi a date decise), ha definito la riorganizzazione dei circoli territoriali.

Una riorganizzazione mai affrontata fino ad oggi proprio perché assai complicata. La precedente organizzazione, messa in discussione dai fatti, nasceva però con un criterio: della corrispondenza ai quartieri e della sovrapposizione alle sezioni elettorali.

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Quella proposta dal Commissario ha pura logica dimensionale e diparte dall’esistenza di una sede fisica. Dunque dalla contingenza. Non da una visione progettuale.

Inoltre, in diversi ci intravedono una pura logica politica – mantenere o spezzettare – gli orientamenti degli iscritti rispetto alle loro scelte di rappresentanza.

Nel Pd le radici della rappresentanza dei propri gruppi dirigenti comunali nascono nel voto diretto degli iscritti ma suddiviso in candidature da presentare nei circoli. Così, segretario a parte, che viene proposto in tutti i circoli, il resto dei componenti l’assemblea comunale, avviene circoli per circolo, ognuno la propria. Con un meccanismo di proposta che parte comunque dai candidati a segretario.

Quello del Pd è un impianto competitivo. Per funzionare ha bisogno del confronto elettorale, sul modello americano. Può piacere o no ma è così. Ad esempio non piace ai neo iscritti che per partecipare devono subito scegliere per chi stare.

Qui stanno le radici delle ragioni divisive? Probabile.

Per questo a ben vedere tutti i ragionamenti all’unità finiscono in pratica nel vuoto.
Tant’è che qui, nel Pd la commissione elettorale ha una funzione di garanzia e imparzialità.
Chi pensa al meccanismo di altri mondi associativi con Commissioni che indirizzano e propongono… non è questo il caso.

Ma torniamo al Pd. Da tempo tutti ritenevano che la struttura organizzata non fosse funzionale. Iscritti che diminuivano e con esse diminuivano anche le quote associative e la possibilità di mantenere le dotazioni strutturali del passato: sedi e strumenti di comunicazione, soprattutto.

Ma le decisioni presupponevano una discussione aperta. Resa difficile se non impossibile proprio da quell’elemento politico richiamato: a quale componente avrebbe portato vantaggio?

Quando è arrivato il commissario, i più hanno pensato bene di affidare a lui il compito. Con l’idea che le cose difficili è meglio se si affidano a un colpo di mano calato dall’alto. Poco importava che comunque in diversi avvertissero delle problematicità del tema.

Il fatto che poi oltre alle evidenziazione dei problemi venisse messa in dubbio l’autorità del commissario su tali materie, poi ha fatto gridare alla lesa maestà! E al grido di no ai veti! No ai difensori dell’ortodossia! Al bando gli imbalsamatori. Lo scontro è divenuto tra conservatori e rivoluzionari.

Tutti si sono ritratti e hanno atteso. Ora che è stata partorita non una riforma ma un topolino inapplicabile, l’operato del commissario risulta indigesto e indigeribile.

Fatto sta che quando poteva essere messo in discussione non è stato fatto dai più e chi diceva ragioniamo è stato redarguito e messo all’angolo; e ora per bloccarlo dovrebbero essere innescati i meccanismi dei ricorsi che di fatto renderebbero impossibile il congresso.
Le persone più aperte e intelligenti stanno pensando, per capire come convivere con la decisione commissariale, aprire un processo nei termini di sperimentazione, soprattutto nei circoli risultati da un accorpamento.

Ma non è facile, per separati in casa, quali sono i dirigenti Pd. Non abituati al confronto, figuriamoci alla sintesi. Il dialogo riescono a farlo praticamente solo attraverso whatsapp il che è tutto un dire.

Una bella gatta da pelare quella che gli ha lasciato il commissario. Su questo tema peraltro, la candidata Salluce – quella accreditata di vittoria certa – non ha esperienza alcuna; mentre l’altro candidato – Vigni – ha molta più esperienza tanto che nell’immaginario collettivo la sua prudenza è stata letta come ostruzionismo.

I fatti si sono incaricati di dargli ragione, ma come al solito la ragione è dei fessi. Peccato, stanno davvero perdendo l’occasione di fare del Congresso una occasione per riappacificarsi tra di loro e quindi con la città.

Tanto che l’altra sera a un’iniziativa di Vigni qualcuno ha proposto che a questo punto sarebbe meglio che invece di 8 congressi i 620 iscritti venissero invitati ad uno soltanto, effettivamente cittadino. Affinché, e li tutti insieme, i democratici della città possano discutere e votare. Non a rate e separati come le regole oggi gli assegnano. Un’idea provocatoria e impossibile. Ma forse non più di tanto.

In fondo in democrazia, in qualunque associazione, l’assemblea degli associati è sovrana. Se qualcuno pensasse a un’autoconvocazione?!

Tra l’altro le beghe in casa Pd non sono finite. La piattaforma con cui si comunica con gli iscritti ha avuto dei problemi, ora superati, ma una parte degli iscritti cui non sono arrivate comunicazioni importanti come la riorganizzazione, appunto, si sono indispettiti.

E ancora la Commissione congresso non ha ricevuto dal Commissario – che si era anche in questo caso assunto i poteri di surroga dell’assemblea comunale (cosa che qualcuno mette appunto in discussione che i poteri commissariali possano arrivare a tanto) – il numero dei componenti dell’assemblea comunale suddiviso per i “pesi” dei vari circoli.

Quisquilie? Non proprio. Per fare un congresso occorrono: luoghi, date, convocazioni e decisioni da assumere con proposte definite e scritte su cui sia possibile espletare un voto.

Incastri. In assenza dei quali qualunque il puzzle congresso resterà appeso nel tempo. E comunque, sia Vigni ma anche Fabbrini nei loro rispettivi documenti programmatici avevano affrontato il tema della riforma del partito in maniera molto più ampia.

Peccato che in casa Pd oltre a non parlarsi, neppure si leggono le posizioni ufficiali. Lo facessero avrebbero fatto mezzo cammino. Mai disperare hanno ancora tempo per farlo. Basterebbe cominciassero a farlo almeno le minoranze… e forse anche i vincenti si alzerebbero da dove sono adagiati…

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