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giovedì, Maggio 15, 2025

Monte dei Paschi: il peso della politica sulla fine della banca di Siena

Pierluigi Piccini interviene nel dibattito proposto da SienaPost e ricostruisce un progetto territoriale partendo dalla radice della crisi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo le considerazioni di Pierluigi Piccini, già sindaco di Siena e già dirigente del Gruppo Mps, sulla questione della fine della banca di Siena, tema da noi avviato su questo sito. Ringraziamo l’autore per essersi espresso su ciò che noi definiamo la ferita ancora aperta di Siena

La crisi del Monte dei Paschi di Siena (MPS) non è solo una questione bancaria. È la storia di una città che ha perso un punto di riferimento centrale nella sua vita economica, culturale e civile. Per secoli, la banca ha sostenuto il Palio, l’Università, il mondo delle imprese, le istituzioni cittadine. Quando il Monte è entrato in crisi, con lui si è incrinato un intero sistema.

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Ma per capire cosa è successo davvero, bisogna tornare alla fine degli anni ’90. In quel periodo, mentre a Roma si cercava di costruire una “piazza finanziaria centrale” intorno a personaggi come Geronzi e Fazio, a Siena si tentava un’altra strada. L’idea era quella di creare una piazza finanziaria dell’Italia centrale, che unisse Toscana, Umbria, Marche e parte dell’Emilia Romagna. Un progetto ambizioso, ma concreto, per usare le risorse finanziarie, le università e le competenze del territorio a sostegno della piccola e media impresa e dello sviluppo locale.

Questa visione si tradusse in una strategia chiamata “polo aggregante”: una crescita della banca attraverso acquisizioni selettive, sostenibili e coerenti con le sue dimensioni. A sostenere questa linea fu anche Luigi Spaventa, economista di grande rilievo, che fu presidente del Monte dei Paschi tra il 1997 e il 1998. Per Spaventa, il Monte doveva crescere, ma senza perdere il legame con la sua storia e il suo territorio.

Quel progetto fu ostacolato: a livello nazionale, da chi voleva concentrare il potere finanziario a Roma; a livello locale, da settori della cooperazione e dell’imprenditoria che non ne compresero la portata. Ancora oggi, qualcuno cerca di ridurre quella contrapposizione a un conflitto personale, ma fu uno scontro politico e strategico tra modelli opposti di sviluppo.

La sinistra, allora egemone nel Centro Italia, non colse l’occasione di costruire un’alternativa autonoma e territoriale. Preferì la gestione dell’esistente, rinunciando a immaginare un progetto a lungo termine. Questa scelta, nel tempo, ha portato a un progressivo allontanamento dai territori e alla perdita di consenso.

Poi arrivò il 2007. In quel momento, il Monte abbandonò definitivamente la linea del polo aggregante. I vertici della banca decisero di acquistare Banca Antonveneta, pagandola un prezzo altissimo, in un’operazione priva di garanzie, fatta alla vigilia della crisi finanziaria globale. Antonveneta era appena passata da ABN AMRO a Santander, e in poche settimane fu rivenduta a MPS con un enorme guadagno per la banca spagnola.

Quella scelta fu imposta dall’alto e accettata senza discussione a Siena. La Fondazione, che all’epoca controllava il 51% del capitale della banca, non esercitò il suo potere di controllo. La politica locale, in particolare il neonato Partito Democratico, rimase in silenzio. Il sindacato difese l’autonomia della banca, ma non riuscì a opporsi. Il sistema senese, un tempo compatto e autorevole, non fu in grado di dire no.

Da quel momento, la crisi si fece strada. MPS fu usata per riequilibrare poteri bancari a livello nazionale ed europeo, ma non per rispondere ai bisogni della città e del suo territorio. E quando la banca è entrata in difficoltà, Siena ha perso non solo un pilastro economico, ma un pezzo della propria identità.

Oggi si torna a parlare di Monte dei Paschi. Il governo vuole trovare una nuova sistemazione per la banca, ma non si tratta solo di numeri e bilanci. È in gioco una questione politica e di potere. Tornano vecchie ambizioni, come quella di costruire una nuova “piazza finanziaria romana”, con protagonisti diversi. Tra questi c’è anche Francesco Gaetano Caltagirone, imprenditore molto presente nel mondo della finanza e delle assicurazioni. Il sostegno del governo alla banca senese si inserisce anche in questo quadro.

Siena, ancora una volta, rischia di restare ai margini. Ma non è troppo tardi. Serve tornare a pensare in grande, con coraggio e visione. Serve ricostruire una finanza che torni a essere al servizio del territorio, dell’impresa, del lavoro, della cultura.

Una banca non è solo numeri e bilanci. È un pezzo di futuro. E se quel futuro si perde, a perderci è un’intera comunità.

Pierluigi Piccini

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