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sabato, Agosto 9, 2025

MPS e Mediobanca: una fusione, molte domande

A partire dall’analisi di Pierluigi Piccini, riflettiamo su un’operazione che, dietro i buoni risultati semestrali solleva interrogativi sulla visione industriale

Nel suo recente commento pubblicato online, Pierluigi Piccini parte da un dato: i numeri di MPS al primo semestre 2025 sono solidi. L’utile netto trimestrale supera i 470 milioni di euro, il semestre si chiude con quasi 900 milioni, la qualità del credito continua a migliorare, con il CET1 ratio che vola al 19,6% cresce la robustezza patrimoniale. Eppure, Piccini non si ferma ai numeri. Anzi, li guarda come si guarda la superficie dell’acqua: per capire cosa si muove sotto.

Il margine di interesse cala, e non poco. I costi del personale aumentano. Una parte significativa dell’utile è ancora legata a componenti straordinarie. Piccini pone così la prima, fondamentale domanda: questa redditività è davvero sostenibile nel tempo? E, se non lo è, che tipo di banca è oggi MPS? Una banca risanata ma ancora dipendente da fattori esterni, o una macchina pronta a guidare strategie autonome nel medio periodo?

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Nel pieno di queste riflessioni arriva l’annuncio che cambia tutto: MPS lancia un’offerta pubblica di scambio su Mediobanca. È un passaggio che sembra segnare una svolta, ma che, come osserva lo stesso Piccini, apre più interrogativi che certezze. Siamo davanti a una mossa strategica, fondata su sinergie industriali e visione di lungo termine, o piuttosto a una reazione dettata dall’urgenza di posizionarsi nel risiko bancario italiano prima che lo facciano altri?

Le differenze tra i due istituti sono evidenti. Mediobanca è un attore sofisticato, focalizzato sulla gestione patrimoniale e sulla consulenza finanziaria per le imprese; MPS, invece, ha una lunga storia legata al credito per le famiglie e le piccole imprese. Cosa nasce da questa fusione? Una nuova identità o un’ibridazione fragile? Chi guiderà davvero il nuovo soggetto? E, soprattutto, chi deciderà per conto di chi?

Perché – e qui il commento di Piccini è particolarmente netto – non si può dimenticare che MPS è ancora a controllo pubblico. Una banca formalmente statale, che propone una fusione di tale portata, non può agire senza una discussione pubblica, senza trasparenza, senza legittimazione politica. Una simile operazione non è solo un affare finanziario: è una scelta che riguarda l’architettura del sistema bancario nazionale, il ruolo dello Stato, e il rapporto tra economia e democrazia.

E poi ci sono i territori. Siena, città legate a MPS, ha già pagato un prezzo altissimo negli anni della crisi: in termini occupazionali, economici, simbolici. Che ruolo avrà ora, in questa nuova fase? Chi ascolta oggi quelle comunità che ha tenuto in piedi la banca mentre tutto crollava? Chi la rappresenta in questo passaggio che potrebbe anche segnare un’uscita definitiva da ogni riferimento locale?

Le domande, a ben vedere, sono molte più delle risposte. Ma è proprio questo il punto che Piccini solleva, e che merita di essere ripreso: il rischio non è tanto fare una scelta sbagliata, quanto fare una scelta opaca, non partecipata, tecnocratica. Il pericolo non è solo quello di una fusione mal riuscita, ma di un rilancio cieco, guidato da logiche emergenziali e non da un progetto condiviso.

I numeri, da soli, non bastano. La vera sfida è costruire una banca strategica, non solo solida; una banca capace di parlare ai mercati, ma anche ai cittadini; una banca che abbia un futuro sostenibile, e non solo un presente brillante. La fusione con Mediobanca può essere un’opportunità, certo. Ma, come ci ricorda Piccini, solo se sorretta da una visione chiara, democratica, industrialmente coerente.

Altrimenti, resterà un’operazione imponente nella forma, ma fragile nella sostanza. E il rilancio di MPS rischierà di risolversi in un altro atto mancato nella lunga storia del rapporto tra finanza e Paese.

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