Cominciamo così. Nonostante il professor Eugenio Neri rappresenti una delle equipe più funzionali e di eccellenza del Policlinico universitario Le Scotte, lo vediamo come un uomo che vorrebbe lavorare con l’apparato ma ne rimane intellettualmente e costantemente all’esterno. Non rinuncia al suo spirito intellettualmente critico.
Una frase. “Credere in qualcosa non è sufficiente. Per ottenere dei cambiamenti, bisogna essere disposti a prendere posizione per difendere ciò in cui si crede”. E’ di Edward Snowden, uomo duramente perseguito; nell’ottobre 2015 definito “informatore e difensore internazionale dei diritti umani” dal Parlamento Europeo e dal 2016 presidente della Freedom of the Press Foundation, un’organizzazione con sede a San Francisco il cui scopo è proteggere i giornalisti dallo hacking e dalla sorveglianza del governo.
Come commentiamo quanto sopra, Eugenio?
“Giunge a proposito! Pochi giorni fa cadeva una ricorrenza estremamente significativa. Ormai sono pochi a dargli vero valore: quelli con buona memoria e quelli che ne sono stati partecipi… Quindici anni fa si compiva, con la morte del signor AB in una sala angiografica, costruita male e mai collaudata, il primo atto di una vicenda che mi ha segnato profondamente. Uno scambio – in fase di costruzione – di tubi di gas che alimentavano l’apparecchio di ventilazione, il malfunzionamento di un connettore, una serie di errori umani divenuti irreparabili… La verità emerse molti giorni dopo, quando portai all’attenzione della magistratura l’elemento fondamentale, ovvero lo scambio dei tubi (scoperto dallo stesso tecnico della ditta costruttrice chiamato per una verifica) e voluto far passare sotto silenzio”.
Lei difese quindi la cosa in cui più credeva: il semplice cittadino deve avere tutela dalle Istituzioni, qualunque cosa succeda…
“Le ore e i giorni che seguirono sono vivi nella memoria mia e di chi visse quella storia. Il fatto che poi è stato stabilito inequivocabilmente nel processo, fu che l’impianto venne ripristinato di nascosto, riportando i tubi in posizione corretta durante la notte successiva alla scoperta . La direzione dell’ospedale aveva disposto un “sequestro interno“ in attesa di “verifiche tecniche“ – che sarebbero avvenute l’indomani – poi chiaramente risultate in un “è tutto a posto!” dichiarato dall’allora DG con un sorrisetto sardonico – che mai dimenticherò- che faceva intuire tante cose”.
Brutto trovarsi in una situazione in cui si dicono cose che, seppur vere , gli altri smentiscono…
“Di fronte alla mia volontà di andare fino in fondo e denunciare i miei dubbi sulla troppo facile soluzione dell’incidente, credo di aver vissuto i momenti più angoscianti della mia intera esistenza. Ci furono anche intimidazioni personali. Il problema “istituzionale“ era che stava emergendo una verità scomoda. Non era scandaloso il fatto che fosse stata costruita una vera e propria camera a gas: la cosa non doveva trapelare anche a costo di coprire tutto. La verità processuale dimostrerà in seguito che il tecnico che la notte rimise a posto i tubi ricevette, proprio da un dipendente pubblico, le chiavi del locale sequestrato. E pochi giorni dopo l’inizio dell’inchiesta successe un fatto gravissimo: a Castellaneta di Taranto otto pazienti di una terapia intensiva morirono per uno scambio di tubi dei gas… La ditta costruttrice era la stessa di Siena (https://www.certifico.com/categorie/22-news/news-generali/8430-castellaneta-otto-morti-in-ospedale-per-scambio-di-tubi)”.
Siamo in grado oggi di stabilire verità storiche?
“Ringrazio la Provvidenza di avermi dato il coraggio di denunciare: altrimenti mi sarei rimorso la coscienza per tutta la vita. Questa storiaccia raccontata a grandi linee mi ha fatto capire molte cose. Intanto che ci sono persone coraggiose che hanno parlato e detto quanto hanno visto nonostante chiari e minacciosi messaggi “istituzionali”. Il problema era aver portato alla luce i fatti, non i fatti stessi”.
Perché le due inchieste non si sono mai unite? Perché in Puglia, la Regione e l’Azienda si sono presentate come parte civile e a Siena no? Perché l’azienda non ha da subito denunciato… Forse questo avrebbe facilitato il sequestro e la verifica di tutti gli impianti della ditta evitando le morti di Castellaneta?
“Si, perché? E possiamo anche aggiungere altro… Perché dì fronte a fatti tanto gravi , grazie alle chiavi (recapitate da un dipendente) della sala sotto sequestro, tutto è stato rimesso a posto , la notte precedente alle verifiche? Che interesse potevano avere in comune una Azienda pubblica e una ditta disgraziata? Perché il Direttore generale non è andato lui in Procura? Francamente non so rispondere. Purtroppo vedo che la prescrizione ha spento tutto, che i protagonisti negativi – quelli pubblici – hanno fatto carriera e raggiunto i vertici istituzionali e la diffidenza nei confronti della trasparenza è sempre fortissima”.
Questi 15 anni hanno cambiato qualcosa?
“L’idea di sistemi sanitari “ideologici“ contrapposti, con le varie ondate epidemiche si è spenta: nessun sistema si è dimostrato migliore. Forse questo renderà tutto più normale. Non c’è stato uno scatto verso una riforma vera del sistema sanitario nazionale, che stabilisca dei criteri univoci: il regionalismo sanitario è stato un errore costosissimo che si continua a percorrere. Una riforma nazionale del sistema sanitario pubblico verso modalità e standard uniformi – da Aosta a Lampedusa – era l’unica cosa importante da fare, soprattutto nel dopo covid. Come medico, come sanitario, credo ci voglia qualcosa di forte, politicamente significativo ed eccezionalmente coraggioso per ridare fiducia a tutti i livelli a chi lavora in sanità”.
Il prossimo 25 marzo, la nostra testata ha creato un evento: l’assessore regionale per il diritto alla salute Simone Bezzini sarà a Siena per esser intervistato dai giornalisti Pino Di Blasio e Cristiana Mastacchi davanti a una platea di operatori – Hotel Four Points Sheraton, ore 17:15 – su ospedale e territorio con chiara propensione a fare parallelismi tra presente e futuro. Lei ci prenderà parte?
“Apprezzo Simone Bezzini come uomo. Riconosco anche che, chiamato a gestire da subito uno dei fenomeni più gravi, impattanti e complessi, abbia mantenuto ferma la volontà di caratterizzare il suo incarico come riformatore e in questo senso di avere rapporti di scambio a tutti i livelli con chi lavora per la Sanità. Al di là della mia presenza, posso dire ora che così com’è il sistema collasserà, soprattutto se continua a venire gestito senza la partecipazione di chi è sul campo. Il bene comune più prezioso, ovvero il SSN non può andare avanti: c’è un esaurimento generalizzato, sono tutti in “riserva“, c’è una fuga costante o verso la pensione o verso il privato. È ora di rivedere il ruolo del medico burocrate: aver assimilato la nostra categoria alla dirigenza è follia totale… Con obblighi e mansioni che un medico non dovrebbe nemmeno avvicinare”.
Quindi il suo consiglio qual è?
“E’ evidente che mancano oggi degli strumenti di partecipazione. Ognuno di noi… – dall’OSS al primario – ha ben presente e chiaro, nella sua struttura, nel suo ambito lavorativo, cosa non funziona, cosa è migliorabile, cosa è necessario, e sa anche quali sono le cose che si potrebbero fare per migliorare efficienza e servizi da subito. Non esiste però nessuno strumento previsto per favorire questa partecipazione: l’ascolto darebbe molto di più alle Autorità regionali… la compartecipazione darebbe di più. Tutti gli operatori sanitari hanno la maturità e l’intelligenza sufficienti per partecipare a un progetto di riforma, anziché di continuare a subirlo”.