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martedì, Dicembre 3, 2024

Portiamo la Sanità ai pazienti e non viceversa

Francesco Fondelli è un collega giornalista che da un quarto di secolo è impegnato nella difesa dei piccoli ospedali. Dal 1995 fa parte del Comitato per il Serristori, associazione che si batte per la difesa dell’Ospedale di Figline. In questo ambito è stato anche candidato alle ultime amministrative della lista civica “Salvare il Serristori”. Alla luce di questa sua esperienza nel campo delle problematiche legate alla sanità locale, lo abbiamo intervistato.

Lei ha detto recentemente che l’assessore Bezzini dovrebbe programmare la sanità toscana ascoltando ingegneri e fisici, invece che i medici e manager. È una provocazione, vero?

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“Provocazione per modo di dire. In realtà è un’affermazione che ha una sua logica. È intuitivo che medici e manager guardano all’immediato: per un medico l’importante è salvare ora un paziente, poi si vedrà. E per un manager di un’Ausl, l’importante è far quadrare a fine anno il bilancio dell’azienda sanitaria. Ma chi fa programmazione a lungo termine, come un assessore alla sanità, deve avere uno sguardo più lungo. Bisogna sapere cosa riserva il futuro, prima di spendere milioni per fare un nuovo ospedale, oppure prima di chiudere un vecchio presidio ospedaliero”.

E che c’entrano i fisici con la sanità locale?

“Guardi, oggi il sistema di cura del paziente vive una sorta di rivoluzione copernicana. Copernico capì che al centro del nostro sistema c’è il Sole e non la Terra, come invece si credeva fino al 1500. Nell’attuale sistema sanitario si crede ancora che debba toccare al povero paziente spostarsi laddove può trovare medici competenti e specialisti. Se parlate con un esperto di sicurezza nei sistemi ospedalieri vi riempirà di numeri e di statistiche: insomma un chirurgo è affidabile solo se, annualmente, supera un certo numero di interventi. Questa è la logica che ha portato all’accentramento dei pazienti nei mega ospedali, distruggendo così la sanità territoriale. Una logica che ha prodotto la scomparsa dei piccoli ospedali, qui nel Valdarno come in fondo anche nel Senese”.

Mi pare un fenomeno inevitabile, non le pare?

“Finora. Però lei dimentica la rivoluzione copernicana in atto. Se mi è concesso il paragone: mettere al centro del sistema sanitario l’esperienza di un medico o di un chirurgo, è come mettere la Terra al centro del sistema solare. Da ora in poi sarà la medicina a raggiungere il paziente, non viceversa. E il sapere e l’esperienza nell’ambiente medico non sarà più patrimonio esclusivo di questo o di quel luminare”.

Non capisco…

“Allora le cito un articolo pubblicato dal Sole 24 Ore all’inizio di giugno, laddove si ricorda che ora… “per imparare a formulare una diagnosi medica sono tradizionalmente necessari anni. Anche per i professionisti, la formulazione di una diagnosi è spesso un processo lungo e complesso. Per di più, in molte aree la domanda di queste competenze supera l’offerta, mettendo sotto pressione il sistema sanitario. Tuttavia, laddove è possibile digitalizzare le informazioni diagnostiche, le macchine possono contribuire ad alleviarne l’onere. Il vantaggio di un algoritmo è che può trarre conclusioni dai dati in una frazione di secondo. Inoltre, a differenza di un esperto in carne e ossa, le competenze di “machine learning” possono teoricamente essere riprodotte all’infinito”.

Cosa significa, che un algoritmo sostituirà un medico?

“No, significa che da ora in poi il sapere e l’esperienza del fare, in medicina e in chirurgia, sarà sempre più affidato alle macchine e non alla singola persona”.

Ma questo vuol dire che ci vorranno ancor più dei centri specializzati.

“E invece no. La tecnologia va dall’alto verso il basso. Si ricordi cosa è successo con i computer. All’inizio si pensava che fossero un lusso per pochi. Gli amministratori delle società commerciali, si affidavano ai famosi centri di calcolo… Roba da preistoria. Oggi ogni azienda ha un sistema informatico personalizzato e a costi accessibili. Questo succederà presto anche per gli ospedali”.

Presto? Lei forse sogna: per l’Italia 4.0 ci vorrà un po’…

“L’accusa di essere un sognatore è esattamente quello che le risponderebbero i medici e manager, che ovviamente guardano all’oggi. Ecco perché l’assessore Bezzini dovrebbe parlare con ingegneri e fisici quantistici prima di programmare la sanità, da qui a qualche anno. Soprattutto prima di decidere la chiusura dei piccoli ospedali”.

Anche qui, qualche parola in più non guasta per capire…

“Allora le racconto un fatto recente: tre mesi fa il chirurgo Ling Zhipei ha eseguito un intervento su un paziente ricoverato al PLA General Hospital di Pechino, manovrando gli strumenti da una clinica situata sull’isola di Hanian, precisamente nella città di Sanya, distante 3.000 Km dalla capitale cinese. Tutto questo è stato possibile grazie alla collaborazione con il colosso della telefonia mobile Huawei, che ha fornito la copertura per la rete 5G utilizzata dal dottor Zhipei per lo scambio della grande mole di dati utili per la riuscita dell’intervento”.

Scusi, ma per fare questo in Italia ci vorrebbe una rete 5 g capillare e superefficiente

“No, lei sbaglia. Ancora una volta si guarda al passato e non al futuro che è dietro l’angolo. La rete “5G” che sta per nascere in Italia è già vecchia concettualmente. Ecco perché le dicevo prima che l’assessore Bezzini dovrebbe parlare con un fisico quantistico prima di chiudere un piccolo ospedale”.

In che senso?

“Ormai l’idea di un tempo di trasmissione, pur brevissimo, tra un computer ed un altro, collocati a migliaia di chilometri di distanza, è già un’idea superata. Sfruttando le leggi bizzarre della fisica e della meccanica quantistica ‘il tempo’ è annullato. Ciò vale a dire che l’ipotetico dottor Ling Zhipei, in un futuro prossimo non avrà bisogno di una rete potente per “scambiare i dati” tra il suo computer e il robot per superare i pur minimi tempi di latenza. Perché grazie al collegamento di tipo quantistico sarà come se il dottor Ling Zhipei, o chi per lui, fosse lì a digitare direttamente il suo robot-chirurgo”.

Un computer quantistico? Sta parlando di macchinari giganteschi.

“Guardi che il futuro è oggi: all’Università di Innsbruck hanno già trovato il modo di “restringere” i computer quantistici. Ora il loro prototipo sta all’interno di due classici armadietti rack da 19”, tipo quelli che ospitano i server in un ufficio qualsiasi. Un bel passo avanti, considerato che i computer quantistici sperimentali dell’Università di Innsbruck avevano occupato finora dai 30 a i 50 metri quadrati”.

Sì, va bene i collegamenti quantistici per operare a distanza, va bene i robot che ormai operano a centinaia negli ospedali italiani. Ma alla fine, alla base ci vorrà sempre un chirurgo esperto. Non crede?

“Intanto, tutto ciò che abbiamo detto finora significa che, da ora in poi, non ci sarà più bisogno di spostare un paziente di centinaia e centinaia di chilometri per trovare il chirurgo o un medico esperto. Per cui, anche il piccolo ospedale di montagna potrà usufruire della stessa capacità di intervento pari a quella di un centro di eccellenza, seppur a distanza”.

“E poi, in merito alla cosiddetta ‘indispensabilità’ dell’esperienza accumulata da un bravo chirurgo, mi lasci fare una battuta: ormai siamo nell’era della robotica “iCub” che è caratterizzata dalla capacità di apprendimento delle stesse macchine, grazie all’utilizzo delle reti neuronali. Insomma: i robot chirurghi di un futuro prossimo impareranno dai propri errori, come fanno gli studenti di medicina quando escono dall’Università. Con una differenza: I robot chirurghi potranno trasmettere ad un altro macchinario, anche appena sfornato, l’esperienza accumulata in anni e anni di attività in sala operatoria. Insomma, addio gavetta. Poi i robot chirurghi non dimenticano, hanno più di due bracci, la loro mano non trema. E la sera prima dell’intervento non bevono e non litigano con la suocera”.

(nella foto Francesco Fondelli)

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