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mercoledì, Maggio 1, 2024

Sovicille, quel che conta c’era

Passeggiata di immagini davanti e dietro il presepe vivente di domenica scorsa

Mi fa un po’ effetto, pubblicare la mia passeggiata fotografica di domenica a Sovicille dopo che Valda Bozzi, fotografa, appassionata, consigliere della Pro Loco, ha già messo online le proprie. Tutto bellissimo. Ha rubato un pizzico di anima a ogni personaggio del presepe vivente di Sovicille. Valda non credo di conoscerla di persona, ma la intercettai sui miei scritti quando volli raccontare di un ex compagno di scuola – Stefano Bartalini, senese, prematuramente scomparso – che aveva innalzato a propria mission il censimento di tutte le pievi romaniche della Toscana. Nei dintorni di Sovicille ce ne sono davvero tante e Valda era tra coloro che per primi riconobbero il valore storico e artistico della sua opera che viene continuata da semplici volontari dopo la sua scomparsa.

Comunque, il presepe vivente mi ha dato l’occasione di guardare per due ore a Sovicille con occhi diversi da quelli di chi ci viene per fare la spesa da Enrico, comprare il giornale da Serafina e suo marito o andare in farmacia. Già la farmacia, qui bisogna menzionare la dottoressa Gianna che preferisce i panni della panaia a quelli di galenica nel presepe e che ci viene indicata come una delle menti più attive del progetto.

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Brava, bravi tutti. Nei mestieri e gli attrezzi riprodotti, nei costumi, c’è cultura e studio, non banalità. E c’è anche compartecipazione ad un progetto perché ciascuna famiglia ha cucito i propri indumenti e comunque l’insieme risulta omogeneo. Ci porta davvero nella Giudea di Erode che univa la tradizione idumea a quella locale; in altre parole c’è più peso etnico dei cananei che oggi chiameremmo comunemente arabi/palestinesi anziché dei fregi e della simbologia dei conquistatori romani che si impadronirono di quei territori quando Gesù aveva più o meno sei anni. E c’è anche orgoglio collettivo nel senso che qualche “sfondone” storico o religioso, se espresso, ci è stato subito corretto.

Questo il merito di quanto è stato fatto a Sovicille, un fatto in parte controbilanciato dall’umore non buono di taluni figuranti per niente contenti del rinvio al 14 gennaio. Una settimana prima il rinvio per maltempo, domenica scorsa l’effettuazione – per i motivi che ci ha spiegato il sindaco Gugliotti – in cui qualcuno non abbastanza fermo per dire “non posso”, ha esternato bambinescamente.

Torniamo a Sovicille. Io ho cullato a lungo l’impressione di un paese inclito ma che si esalta nelle giornate uggiose. Poca gente a giro, la parte vecchia avulsa da quella nuova, umidità, odori di macerazioni e decomposizioni secolari, muri che hanno visto ma non a tutti raccontano. Una odonomastica che ha ancora una via Stretta, un’altra Curva, un vicolo Largo, e poi Case basse, Tinai e Fonti; nessun orpello a corrompere la semplicità. Sono come sono, mi vuoi… non mi vuoi… Suavis Locus Ille, ma solo a certe condizioni.

Stavolta mi ha colpito il senso del voler partecipare. Delle stratificazioni di impegno. Dell’esserci senza farsi vedere. Se si raggiunge la Tinaia – il centro espositivo di Sovicille – sono numerosi i bei presepi esposti, ma poi ne troviamo uno creato tra l’inferriata e il battente di una casa, uno su uno sportelletto nel mezzo di strada, un altro in un abbaino, un altro che occupa un intero balcone. Tutti si sono voluti sentire partecipi.

Ed inoltre ci sono gli esempi originari di “arte introdotta” del Siena International Photo Awards. Volti e figure quanto mai espressive, tanto che la bambina con il palloncino che ti aspetta all’ingresso in piazza, se sovrappensiero, la prenderesti per mano per farti accompagnare.

Sui due crinali di viale Mazzini, forse volutamente, ci sono le manifestazioni del bene e del male. Cominciamo a destra. Prima c’è il lebbrosario, la malattia, l’abbandono, poi, schiusi i battenti che furono del Vecchio Maniero, si entra nella reggia di Erode dove tutti gli eccessi, i lussi e gli sfoggi sono cercati.

A sinistra invece c’è un ampio mercato con i tanti banchetti dove si esercitano le attività che si presumeva compiute al tempo. Ma anche tanto comuni nei ricordi degli attuali viventi che hanno superato i settanta: troviamo una signora di Monticiano che insegna la cardatura alle per niente permalose sovicilline in costume. Ma anche l’affilatura, il vasaio, il mastro carpentiere, il tintore, cioè mestieri le cui manualità e strumentazioni sono rimaste quasi inalterate in duemila anni, ora cancellate dall’ultimo cinquantennio.

Quando il mercato si biforca una parte conduce ai saggi del tempio, un’altra alla Sacra Famiglia, anzi una delle due Sacre famiglie, entrambi vere, che si danno il cambio accanto a bue e asinello. Vediamo solo la prima e restiamo inebetiti e affascinati dalla trasfigurazione operata e da quell’aura di serenità che quella madre con bambino diffonde.

Mi sono divertito quindi e trovo che quando il pastorale sindaco mi ha parlato di creazione di comunità c’è andato molto vicino. L’ultima parola, e ti pareva?, ce la mette la mia amica Francesca. Gli confesso che forse all’evento di Sovicille servirebbe un mastro di cerimonia, un controllore, un comandante… per tener tutto a posto. E lei mi risponde “non ti far prendere dalle smanie di giudicare, finalmente a Sovicille s’è fatto qualcosa insieme e questo è quel che conta”.

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