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martedì, Dicembre 10, 2024

Un approccio alla Sanità da riformare

Simone Bezzini, assessore della Toscana per le Politiche della Salute, ci ha fatto l’onore di una doppia intervista: una come politico, l’altra come amministratore. Le sue affermazioni sono state sempre pacate e all’insegna di percorsi costruttivi. Sul vaccino sottolinea l’importanza di farlo e che 60 mila toscani potrebbero ottenere l’immunizzazione a breve, sulla Sanità in prospettiva sottolinea come La Regione non si sia fermata per il Covid e abbia un piano che intende portare avanti con il Recovery Fund. Dentro questo processo Bezzini ha più volte anticipato la sua intenzione di avere un confronto a ogni livello con gli operatori della Salute per mutare la Sanità con le proposte e il consenso di chi sarà chiamato a gestirla. Il Presidente Giani è concorde, giacché deve onorare la sua promessa di Stati Generali della salute.

In attesa che questo avvenga vogliamo dare qualche spunto e approfondire ciò che per noi va nel senso di quello che la Regione ha anticipato di voler fare.

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Dapprima, un suggerimento: smettere di parlare di “Sanità Toscana” come se fosse un modello. Dal modello all’ideologia il passo è breve… Modello e ideologia generano politiche che tendono ad ingessarsi, a divenire dirigistiche su cui immolare professionalità, motivazione individuale e qualità.

La qualità della Sanità si misura sulla sua efficacia nelle cure, soprattutto nelle terapie di prevenzione. Sulla capacità di aggiornarsi di continuo, anche evitando che gli sprechi impegnino risorse strategiche. Sulla fiducia che ispira a utenza e personale.

Parliamo quindi di Sanità in Toscana. Una sanità funzionale collegata ad un luogo dove si continua a percepire la qualità di vita, si vive bene, a lungo, serenamente. Dove si prendono carico del tuo problema professionisti motivati, legati alla comunità di riferimento e gratificati dal proprio ruolo in essa. E non dalla appartenenza ad una ideologia.

Il concetto generale di sanità pubblica è sacrosanto: un bene comune molto prezioso, ma è un “ecosistema” fragile , soffre dei rischi della inefficienza della “cosa pubblica” e necessita di riforme efficaci e pragmatiche per mantenersi in vita.

Nessun privato, in sanità, è in grado di competere con il pubblico in termini di qualità e quantità di mezzi impiegati nella cura. Sono gli sprechi e i particolarismi interni al sistema che rischiano di rompere il giocattolo. Viceversa, sono i sistemi efficienti che garantiscono il Bene Comune.

Le caratteristiche del territorio dell’Area sud della Toscana impongono ancor più una vicinanza del servizio sanitario in vaste aree scarsamente popolate, ma non per questo meno bisognose di servizi.

Quello esistente è di per se un sistema costoso. Reso più costoso da una contraddizione di tanti presidi e poca vicinanza dei servizi. La percezione che un presidio ospedaliero anche minimo sia equivalenza di sicurezza se è vero per gli accessi di urgenza e per la recrudescenza di malattie croniche, per approfondimenti diagnostici, non è vero invece per interventi elettivi, per la specialistica operativa per le quali invece bisogna muoversi per recuperare il gap verso altre sanità.

La dispersione territoriale poi, nel Sud della Toscana si somma a una popolazione più anziana, nettamente meno abbiente di altre aree e con servizi più distanti. La crescita delle malattie croniche minaccia di appesantire ancora di più questo disagio specialmente se questi soggetti fragili non vengono presi in carico ed “accuditi” quando la malattia è solo potenziale.

Il tradizionale approccio nell’assistenza alle malattie croniche è quello dell’attesa. Attesa di un evento acuto di cui può essere costellata la storia clinica di un paziente “cronico”. Allora il sistema sanitario si mobilita: il paziente “sta male”, è in presenza di uno scompenso o di una complicazione più o meno grave. Ma questa attesa è costosa per il sistema e pericolosa per i pazienti.

Ci sarebbe bisogno di anticipare le possibili complicanze della malattie croniche attraverso un lavoro di cure primarie. E’ necessario mettere insieme sistemi di sanità rurale e sistemi avanzati di cure primarie. La sanità che va a casa del paziente e si rende conto… prima che maturino eventi gravi e costosi. Un lavoro di ricognizione che non è più rinviabile. Sviluppando magari sistemi pubblico-privati. Naturalmente a patto di una forte sorveglianza da parte della committenza.

Aiutare i pazienti a gestire la propria condizione, a mantenere più a lungo possibile un buono stato di salute, a sentirsi sani nonostante la malattia. E’ un approccio di presa in carico programmata, in relazione ai bisogni della persona.

Per ottenere questi risultati è necessario un profondo cambiamento (riforma? Stati generali?) negli assetti organizzativi e nei contenuti assistenziali del servizio sanitario regionale. Bisogna partire dal rafforzamento e dal miglioramento delle cure primarie.

Occorre un nuovo modo di organizzare il lavoro dei professionisti: riuniti in team multidisciplinari composti da medici di famiglia, specialisti, infermieri, fisioterapisti, operatori sociali. Con una nuova modalità di rapporto tra territorio e ospedale, con il coinvolgimento dei pazienti nei processi di cura, con la partecipazione delle comunità nelle scelte della salute.

L’organizzazione multidisciplinare è di fondamentale importanza e deve essere la regola, perché la gestione delle malattie croniche è un’operazione complessa, anche nelle fasi iniziali della malattia.

In questo senso potrebbe avere un significato scomporre nuovamente le Asl a patto che si facciano organizzazioni capillari di servizi e di unità terapeutiche diagnostiche e di supporto alla persona.

Allora, ha senso parlare anche di presidi di cura che di fatto non sono ospedali ma luoghi di cura gestiti come estensione delle cure primarie e da cui gli operatori – non soltanto medici – conducono operazioni di sorveglianza , aiutati da sistemi point of care, telemedicina e diagnostica. Con la possibilità di rapidi trasferimenti d’urgenza/emergenza per centralizzazioni dei pazienti.

Fine della sanità ambulatoriale ma sanita “ ambulante”! Non va il cittadino a cercare risposte ma sono le risposte che cercano il cittadino.

Ne vogliamo parlare?

(Nella foto Simone Bezzini con il direttore generale dell’Asl Sud Est Antonio d’Urso)

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