Berlinguer, Pasolini, Giussani: grandi pensatori di futuro

Ogni anno comporta nuove ricorrenze. Anni, tanti o pochi, che ci separano dalla scomparsa di grandi personaggi che con le loro opere, la loro attività, il loro impegno politico, sociale, religioso e culturale hanno lasciato un segno importante nella storia del nostro Paese.

Vogliamo oggi – e anche nel resto dell’anno – parlare del centenario della nascita (1922-2022) di tre uomini che hanno vissuto i grandi eventi del ‘900 da veri protagonisti. E’ difficile stabilire tra loro un filo conduttore, una linea di collegamento diretta, così come è molto difficile l’approfondimento dei vari aspetti delle loro personalità, delle loro esperienze, della loro produzione: è proprio quello che SienaPost si propone di fare avviando una specifica riflessione e ospitando contributi, lettere e interventi.

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Enrico Berlinguer

Enrico Berlinguer, scomparso nel 1984, è un politico che, fin da giovane, reagì all’imperante fascismo diventando comunista. Lottando per la libertà si avvicinò e si unì a quella gioventù che costituiva la prima linea nella lotta per la liberazione del Paese: Eugenio Curiel, Piero Gobetti e molti altri. Nell’immediato dopoguerra guidò il Fronte della Gioventù e poi giovanissimo, come affermò Giancarlo Pajetta con una delle sue ironiche e sarcastiche battute diventata famosa, si iscrisse al Comitato Centrale del Partito Comunista Italiano e del quale, nel 1972, ne divenne Segretario.

Berlinguer sarà protagonista di un vero e proprio salto di qualità nel percorso di rinnovamento e di caratterizzazione del Pci come partito riformista, democratico e come partito laico. A lui si devono alcune delle svolte più significative e impegnative nel percorso dei comunisti italiani: il compromesso storico, l’intesa e la collaborazione tra le tre grandi componenti culturali ideali e politiche della società italiana: la comunista, la cattolica e la laica socialista. A lui si deve l’idea di un partito né teista, né ateista, né antiateista, un rapporto profondo con la classe operaia, i lavoratori e le masse popolari, una rimeditazione sulla crisi delle società capitalistiche avanzate, sulla necessità di cambiare radicalmente i modelli di vita, di produzione e di redistribuzione sociale e la visione europeista, entro la quale il Pci si collocò in maniera irrevocabile proprio con la sua segreteria. Più timido, anche se portato al punto quasi di rottura, fu il rapporto con la tradizione comunista dei Paesi dell’Est e con l’Unione Sovietica, a cui mancò lo strappo finale che avrebbe anticipato una ricollocazione nella tradizione socialista del Pci, prima del collasso totale di quelle società e di quell’esperienza storica.

Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini – scomparso nel 1975 – fu grande intellettuale, uomo versatile, poeta, letterato e regista cinematografico. Cominciò le sue esperienze proprio in politica e nel Pci. Incappò in quelle rigidità nelle quali il partito si era rifugiato dopo la sconfitta elettorale del 1948. L’allineamento all’Unione Sovietica unito ad un concentrato di tradizioni e modelli culturali arretrati che pervadevano la base degli iscritti e degli elettori, costituirono la linea difensiva del Pci nella guerra fredda di allora e nella rigida contrapposizione delle due dottrine ideologiche e dei due campi in cui si divise l’occidente dall’est. Furono queste le barriere entro le quali si praticava una rigida e ferma ortodossia che non consentiva di considerare ed accettare le diversità sessuali e la libertà di scelta. In tale situazione il Pci di allora non esitò ad espellere Pier Paolo Pasolini con il marchio indelebile di indegnità morale. Dopo le campagne condotte personalmente da Togliatti, contro le deleterie influenze del sartrismo, del gildismo e della così definita degenerazione borghese, Pasolini perdette il posto, non solo nel Pci ma anche come insegnante.

Pier Paolo Pasolini

Cominciò così una fase molto difficile della sua vita, simile a quella che aveva vissuto qualche anno prima per la morte di Guido, il suo fratello minore: partigiano nella divisione Osoppo fu ucciso dal fuoco dei partigiani di Tito, tra cui si trovavano molti comunisti italiani come lui. Il grande intellettuale, come l’Araba Fenice, seppe però risorgere e nel giro di pochi anni si affermò come poeta, come letterato, come attore e poi come regista. Pasolini nelle sue varie attività professionali fece riflettere e discutere: dai libri, agli articoli, ai suoi film, dall’Accattone sino al Teorema. Introverso e provocatore, vedeva la società che si stava liquefacendo nel mercimonio commerciale, nell’arrivismo sfrenato, guidata dalla terribile e perversa legge del massimo profitto. Al capitalismo, all’alta cultura, alla società liberale e borghese imputava le cause dell’annullamento dei valori di umanità, del mancato benessere per tutti, della mancata formazione critica dei lavoratori e delle masse popolari. E’ il Pasolini impegnato in una denuncia forte contro quella democrazia borghese che stava distruggendo e smantellando la cultura, che con una inclinazione senza precedenti verso l’edonismo esasperato stava portando a quella che lui chiamava mutazione antropologica. Su questo versante, siamo negli anni 70, la riflessione pasoliniana sulla società e sugli individui ha molte convergenze con quella che Enrico Berlinguer andava maturando e introducendo nella cultura e nel dibattito del Pci.

Anche la morte dei due personaggi non ha mancato di creare scalpore e un’ondata di commozione. Berlinguer su un palco, mentre conclude il suo comizio che porta fino in fondo con il celebre appello finale ai militanti ed agli iscritti ad andare casa per casa, a parlare con la gente, a conquistare voti per il Pci, prima di entrare in un coma irreversibile. Pier Paolo Pasolini all’Idroscalo di Lido di Ostia, in una notte rimasta ancora avvolta nel buio e nel mistero e dopo che era stato oggetto di una feroce campagna di odio da parte di organizzazioni fasciste. Coerenza estrema, dunque, con la propria vicenda storica e di vita anche nell’atto finale dell’esistenza,.

Don Luigi Giussani

Altra vicenda ed esperienza è quella di Don Luigi Giussani, scomparso nel 2005: quella del verbo di Dio che si è fatto carne, della bellezza che si è fatta carne, della bontà che si è fatta carne, della verità che si è fatta carne; quella della riscoperta dei veri valori della Chiesa e della cristianità; del tentativo di riconnettere la gente comune, i giovani in particolare alla semplicità e alla forza del messaggio cattolico e ad una fede che deve esaltare la razionalità per corrispondere alle esigenze del cuore di ogni uomo. Giussani si muove tra una Dc che coartata dal potere aveva finito per perdere di vista i veri e più schietti principi ed ispirazioni infilandosi nelle strade dell’occupazione del potere e un movimento di contestazione che invece, tra la fine degli anni 60 e gli anni 70, metteva in discussione proprio i valori, i modelli di vita della società costruita dopo la liberazione. Autore di numerosi scritti, di discorsi, di meditazioni, di impegni organizzativi anche se lui si è sempre rifiutato di riconoscersi come fondatore dell’Associazione Comunione e Liberazione. Giussani si muove in una direzione di integralismo confessionale rispetto a quella scelta da tantissimi altri uomini di fede e di studiosi cattolici che invece si pongono su un aperto terreno di contestazione e di alternativa alla Chiesa ufficiale e al suo potere terreno: lo faranno impegnandosi direttamente, prima con i doposcuola per i poveri e per i lavoratori, poi nella campagna del divorzio, dei diritti civili, nello sviluppo del concetto di laicità e di confronto e collaborazione tra cattolici e atei. Comunione e Liberazione per molti tratti e per l’agire concreto nella società costituisce l’avamposto di una concezione confessionale, che vede la religione ispiratrice e irradiatrice delle scelte politiche, civili e di vita comune, una strada per un ritorno negli antichi solchi del partito popolare italiano. L’esperienza dell’Associazione CL è fatta di vari passaggi, di evoluzioni, di un rapporto con la politica e con i vertici ecclesiali che è cambiato nel tempo, così come nel tempo è cambiata la politica, il suo rapporto con i cittadini, con le istituzioni.

Enrico Berlinguer (Archivio Mimmo e Dario Carnevale)

A mio parere, al di là della distanza abbastanza importante e alternativa tra le due esperienze- quella di Enrico Berlinguer e di Pier Paolo Pasolini – e quella di Luigi Giussani ci sono però alcuni aspetti alquanto similari: in primo luogo il tentativo di ritornare alle origini, di ritornare alla semplicità della vita e alla comunità; alla comunità di persone, di affetti, di sentimenti; di ritornare a quei fondamentali morali ed etici che stanno proprio alla base della stratificazione sociale e che solo lì si possono riscoprire. Nell’intellettuale c’è la necessità di una vita nuova rispetto alla cancrena del consumismo e di una produzione capitalistica che riduce tutto a merce di scambio travolgendo i genuini valori e rapporti sociali e culturali. Per il dirigente comunista è fondamentale, vitale e indispensabile nella costruzione di una società nuova, il rapporto con il popolo, con la classe lavoratrice, con gli operai, con i nuovi soggetti che esprimono tutta la loro carica di cambiamento: le donne, i giovani o le masse sterminate dei paesi che hanno vissuto lo sfruttamento coloniale, la rapina delle proprie risorse e una miseria cronica. Per l’intellettuale e uomo di chiesa c’è la ricerca della verità, un ritorno al Cristo che solo nella comunità può ritrovarsi e reinventarsi: nell’impegno dei giovani stanno le basi per riportare le società ad essere regolate a immagine e somiglianza del messaggio cristiano.

Don Luigi Giussani

Tutt’altra cosa è Il Vangelo Secondo Matteo, il film di Pasolini che cerca di riscoprire l’attualità rivoluzionaria della Buona Novella. Il Novecento si è chiuso, ma molte questioni che lo hanno segnato profondamente non hanno trovato una sintesi e, proprio per questo, alcuni interrogativi non risolti si sono proiettati nel nuovo secolo. Il nuovo secolo, quello della rivoluzione tecnologica più dirompente mai conosciuta e dai contorni molto condizionanti e sconvolgenti per il pensiero e per le attività umane, si ritrova proprio a convivere con molte eredità irrisolte del passato secolo.

Pier Paolo Pasolini

Mi provo ad indicarne qualcuna: sicuramente quella dei modelli di sviluppo che, per il tipo di prodizione economica e di intermediazione finanziaria che è assurta ad un ruolo dominante, non hanno prodotto una società migliore. Oggi pochi ricchi si dividono risorse ancora più rilevanti e un numero sempre più alto di persone vive sotto il livello di povertà, mentre un’altra componente è schiacciata vicino al confine: una spesa medica imprevista, un evento straordinario, una disgrazia, la perdita del lavoro può scaraventarla e farla precipitare al di sotto. Quello che era visibile già nel vecchio secolo si è dunque acuito e ingigantito. Quel tipo di modello ha portato ad offendere l’ambiente in maniera così spregiudicata da mettere in discussioni le ragioni stesse della vita umana e a penalizzare drammaticamente le nuove e le future generazioni. La libertà e le libertà soggettive sono tutt’altro che affermate in maniera definitiva; molti paesi e molti Stati globali vivono con regimi oppressivi e autoritari; le tentazioni confessionali si sono riaffacciate in maniera preoccupante e pericolosa. Nonostante il superamento delle cortine di ferro e della divisione del mondo, oggi ci sono guerre e conflitti locali assolutamente incontrollati, con dinamiche che nemmeno i grandi conglomerati statali riescono più a gestire ed indirizzare: gli apprendisti stregoni hanno creato mostri che si muovono autonomamente!

Milioni di persone vivono nella povertà e giornalmente hanno il problema di procurarsi un cibo di sussistenza o l’acqua potabile. Poi, le grandi epidemie che non sono sotto controllo ma sono riesplose su un livello planetario e non solo e soltanto flagello di milioni di persone, ma anche condizionatrici della vita e degli stili di vita delle persone, anche di quelle dei paesi più ricchi che comunque, in ultima istanza, hanno i mezzi per gestirle in maniera migliore. A tutto ciò potremmo aggiungere la mondializzazione, la capacita di costruire un mondo integrato e giusto e solidale, un nuovo ordine economico e sociale che abbracci per davvero tutti i popoli. Era questa una componente importante del pensiero di Berlinguer, era questo l’impeto che portò il movimento giussaniano e ad affrontare la sfida dell’opera missionaria, della carità e della misericordia. E’ questo uno dei principali messaggi del Papa Francesco oggi ed era questo anche l’anelito che animava il lavoro di Pier Paolo Pasolini: chi non ricorda quei due frati del film Uccellacci e uccellini che, pur avendo evangelizzato gli uccelli, non riuscirono però a raggiungere il loro obiettivo più importante, che era quello di porre fine anche alle loro rivalità?

Enrico Berlinguer

Questi tre grandi personaggi ci consegnano quindi nodi e questioni, che sono state l’assillo della loro vita e lo sprone delle proprie azioni e che, però, ancora non hanno trovato una sintesi ed una soluzione soddisfacente e definitiva. Così come il rapporto tra l’essere religioso e l’essere laico ancora brancola in una situazione instabile, senza essere approdato a quella collaborazione, fattiva opera comune e concreta reciprocità a cui si sarebbe dovuti arrivare già da molto tempo. Ed oggi, del resto, si affianca a questo interrogativo anche quello, non secondario né di minore impatto, del rapporto tra religioni e subito dopo tra laicità e religioni che richiederebbero di essere tutti superati in un pensiero più moderno e attuale.

Don Luigi Giussani

Infine c’è l’idea di futuro che i tre personaggi del 900 avevano in mente, forse diversi futuri rispetto alle loro identità e alle loro elaborazioni, ma comunque futuri. Un approfondimento delle tre esperienze può quindi essere un utile contributo per recuperare un’idea di futuro e di un futuro migliore rispetto ai punti di approdo dell’esperienze storiche umane concretizzatesi fino a qui. Ed è proprio il futuro, invece, che è venuto a mancare nell’attuale secolo pervaso da paure, ricerca di confini salvifici, di isolamenti o di rifiuto totale di solidarietà e cooperazione. Tutto ciò richiede un grande impegno, un ritorno alle comunità e una trasformazione di modelli di produzione, di vita e di scambi sociali che, per ricordare Marx, non potranno che produrre nuovi spettri che si aggireranno nel mondo e che faranno di questa nostra epoca un’epoca di trasformazione e di rivoluzione. E come sempre dipenderà dalle strade che verranno prese, dai consensi che guadagnerà un’opzione rispetto ad un’altra: se sarà, cioè, una traiettoria progressista e di innovazione o se sarà una rivoluzione come quella del Conte di Lampedusa: che cambia tutto ma per non cambiare niente… Oppure, ancora peggio, se ci si avvierà sul binario morto per attendere l’arrivo dell’intero genere umano.

(tutte le foto pubblicate sono state prese da immagini pubbliche di Fb)

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