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venerdì, Aprile 26, 2024

Chi vuole bene a Cuba, si auguri la ripresa del dialogo

Non è facile parlare della situazione a Cuba. E non solo per i nostri ricordi giovanili: Che Guevara, Fidel Castro, una rivoluzione all’inizio diversa da quella sovietica e dagli ingessati regimi dell’Est europeo.

È difficile perché bisogna evitare due estremi: non vedere il peso negativo che hanno avuto sanzioni unilaterali imposte contro l’isola e contro la decisione delle Nazioni Unite dagli Usa; non spiegare tutto con le sanzioni.

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Che queste ultime abbiano condizionato pesantemente le scelte a Cuba è indubbio. Di solito chi lo nega sono gli stessi che si chiudono occhi, orecchi e bocca di fronte a regimi autoritari come ad esempio l’Egitto, la Birmania,  l’Arabia Saudita.

Le sanzioni statunitensi non hanno solo determinato la penuria di generi alimentari, le difficoltà economiche di oggi: in passato la politica aggressiva degli Stati Uniti, nel mondo dominato dalle due superpotenze, ha costretto Cuba per ricevere gli aiuti ad appiattirsi sull’Unione Sovietica, perdendo progressivamente quelle caratteristiche di originalità e autonomia che rendevano “diversa” quell’esperienza.

Così si sono registrate contraddizioni evidenti: i traguardi più avanzati raggiunti non solo in America Latina ma rispetto alle nazioni in via di sviluppo in campi decisivi come l’istruzione e la salute. È l’unico Paese al mondo che ha realizzato un vaccino pubblico e ha cercato di metterlo a disposizione di tutti.

Indimenticabile è l’arrivo in Italia, durante la prima ondata di Covid, di un gruppo di medici e infermieri per recarci un aiuto. Al tempo stesso il Partito comunista cubano ha basato la tenuta degli ordinamenti nati dalla rivoluzione su un controllo delle libertà individuali, su scarse aperture e reali restrizioni dell’iniziativa privata in settori nei quali le finalità sociali e l’interesse collettivo non sono messi a rischio. Come nella piccola e media impresa in agricoltura e nell’industria, nella ristorazione e nel turismo. Né in passato ha evitato di inviare sue formazioni militari in aree del mondo dove si pensava di “esportare e sostenere” processi rivoluzionari.

Oggi, con il permanere a livello globale dell’epidemia sanitaria e il blocco del turismo, la situazione economica e sociale è diventata pesantissima. Le manifestazioni dei giorni scorsi e la loro repressione sono un segnale di scollamento non sottovalutabile.

Le repressioni sono da condannare, non da giustificare. Senza passare sotto silenzio politico – come ho sottolineato – le responsabilità di chi ha costretto Cuba a imboccare una strada di condizionamento delle iniziali spinte libertarie di una rivoluzione diversa da quella sovietica o cinese, non si può dimenticare un approdo irrinunciabile: non può esserci società più giusta e fondata sull’uguaglianza senza libertà e democrazia.

Il bene di un popolo non si realizza con le imposizioni autoritarie, ma con la partecipazione e il consenso. La democrazia è un valore universale. Si è più forti anche di fronte ad aggressioni dirette e armate o indirette ed economiche se si ha il sostegno consapevole della maggioranza di un popolo.

Allora chi vuole bene a Cuba e vuole aiutarla deve augurarsi che riprenda un dialogo tra governo e popolo, che in questo dialogo si individuino le priorità, si ricerchino le soluzioni.

Occorre che si riapra, nelle gravi difficoltà dell’oggi, quel percorso di rinnovamento, libertà, democrazia e responsabilità che animò le speranze della lotta a Cuba.

Le Nazioni Unite impongano la fine di sanzioni illegittime: Italia e Unione Europea si propongano di essere protagoniste di un’azione che fondi ovunque il rispetto dell’autonomia dei popoli e costruisca relazioni internazionali orientate da giustizia e legalità.

Solo così la difesa dei diritti umani, delle libertà e della democrazia, saranno credibili e non appariranno propagandistiche perché legate a interessi non dei popoli, ma a logiche di potenza.

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