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mercoledì, Dicembre 4, 2024

Di fronte la prospettiva transumana scelgo la madre col bambino

Si definisce milanese, anima vagante, femminista, madre, giornalista, scrittrice. Sicuramente Marina Terragni è una donna forte; nelle convinzioni e nella certezza di proseguire un cammino.

Grazie Marina, per essersi resa disponibile. Le proponiamo di partire da Siena perché a Siena dove ha partecipato a un’iniziativa dell’Osservatorio di Bioetica – sul tema “L’ideologia Gender ed i pericoli dei diritti delle donne e dei bambini” – si è registrato un episodio che sembra caratterizzato da intolleranza o ignoranza. Qualche ora prima dell’inizio del convegno, senza che nessuno avesse chiara cognizione dei contenuti poi dibattuti, nove associazioni del territorio hanno stigmatizzato il patrocinio dato dal Comune, bollando l’evento come un’iniziativa di incitamento all’odio – https://www.ilcittadinoonline.it/lettere/a-siena-non-ce-spazio-per-la-cultura-dellodio/ -. Questo fatto l’ha spinta a prendere immediati contatti con Giulia Mazzarelli, portavoce delle donne democratiche della provincia di Siena, una delle firmatarie del comunicato.

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Il chiarimento c’è stato e possiamo ritenerlo soddisfacente?

“Assolutamente no. Di fronte a un’accusa di questo genere – di seminare odio -, se il Ddl Zan fosse legge, sarei perseguibile. Il giorno successivo all’evento ho scritto a Archivio Udi – che non ha nulla a che vedere con Udi nazionale – e ho rimediato solo una risposta molto sgarbata e il rifiuto di confronto. Ho parlato anche con Giulia Mazzarelli, responsabile Donne PD di Siena. Le ho detto che le conseguenze di un’accusa così pesante sarebbero state o una querela per diffamazione o un pubblico confronto di chiarimento, soluzione quest’ultima che preferisco sempre. Mi sono resa disponibile a un dibattito su tutti i temi e con qualunque ospite. Non è bastato. Ha cincischiato, ha solo riconosciuto che parlare di odio era stato eccessivo. “Non decido da sola”, mi ha detto. E alla fine anche lei si è sottratta al dibattito pubblico. Sono rimasta sbigottita. Un incarico politico non te lo ordina il medico; chi riveste questa responsabilità sa bene che la politica è l’arte di cercare la mediazione, confrontarsi comunque e sempre su tutte le posizioni. Soprattutto per chi si richiama agli insegnamenti di Enrico Berlinguer”.

Il Convegno dell’Osservatorio di Bioetica al Santa Maria della Scala di Siena

Leggiamo a contorno di una sua intervista – https://www.huffingtonpost.it/entry/marina-terragni-ce-il-desiderio-di-cancellare-le-donne-il-loro-corpo-la-loro-differenza_it_61597774e4b075408bd81c66/ – che l’identità di genere è un concetto che sta separando il mondo delle femministe. A Lei il concetto non piace – https://www.la7.it/omnibus/video/ddl-zan-marina-terragni-eliminerei-lespressione-identita-di-genere-non-mi-piacciono-i-corsi-04-05-2021-379076 – e ha sostenuto di cancellarlo dal testo del Ddl Zan.

Come mai si sta verificando questa contrapposizione tra la lotta per i diritti delle donne e quella per i diritti LGBTQ? Quale potrebbe essere la chiave per uscire da questa situazione di conflitto?

“L’identità di genere non si sa che cosa sia. E’ un concetto indeterminato che non può trovare spazio in una norma penale. Come si fa a evitare di commettere un reato contro la supposta identità di genere se l’identità di genere non viene definita in modo chiaro e leggibile da chiunque? Le leggi penali non possono riguardare oggetti indeterminati. In mancanza di una definizione univoca, il concetto di identità di genere significa solo che il corpo biologico è ridotto alla totale insignificanza e che chiunque si può definire uomo o donna a prescindere dal sesso di nascita. Non si tratta dell’ordinaria transizione, regolata dalla legge 164/82 e successive sentenze, ma della possibilità di una totale autodeterminazione. Detenere nelle carceri femminili del Canada, della California o del New Jersey uomini che si identificano come donne – anche autori di abusi sessuali – contro il parere delle donne recluse e anche delle guardie carcerarie, è un fatto indicibilmente violento contro le donne, con effetti devastanti, dalle aggressioni sessuali fino ad alcuni casi di gravidanza. Persone con il corpo maschile intatto che si identificano come donne e che possono accedere a spazi femminili, perfino alle case-rifugio, o usufruire di opportunità lavorative e politiche senza aver concluso un percorso di transizione: possibile che su questo le donne del PD non abbiano nulla da dire? Per non parlare dell’ormonizzazione di bambine e bambini, pressati da una propaganda ossessionante a “decidere” liberamente di che sesso sono. Gli ormoni in età puberale hanno effetti irreversibili: osteoporosi, sterilità, danni d’organo. Ragazze ormonizzate che hanno ripensamenti e cessano la transizione – detransitioner – avranno barba e un timbro maschile per sempre. Questi casi si stanno moltiplicando in modo esponenziale, anche se i Paesi pionieri di questi trattamenti – UK, Grande Nord, Australia, alcuni stati USA – hanno stoppato queste “terapie” (che in Italia sono ancora consentite): nemmeno su questo, che comincia a essere definito uno scandalo medico paragonabile alla lobotomia, le donne PD hanno niente da dire? Possibile? Può essere che riconoscere l’identità di genere sia una buona cosa, ma serve un amplissimo dibattito pubblico che coinvolga la cittadinanza sul “self id” e l’autocertificazione. In UK c’è stato, è durato anni, e alla fine il self-id non è passato”.

“Attualmente – continua – le regole per la transizione in Italia sono definite dalla Legge 164/1982 che prevede un rigoroso iter che, se completato, comporta una rettifica dei dati anagrafici. Dopo vent’anni questa legge forse potrebbe essere migliorata, ma… ne vogliamo parlare? Cambiare l’antropologia non è cosa da poco. Non si può riformare senza un dibattito. Come dicevo, in Gran Bretagna si è chiesto a lungo la riforma del Gender Recognition Act, una legge simile alla nostra. Alla fine la riforma non è passata, si sono solo un po’ abbreviati i tempi del percorso, si sono ridotti i costi, ma al self-id si è detto no: il Times ha quantificato nel 94% degli interpellati il dissenso all’autocertificazione di genere: tutti fascisti, odiatori e bigotti? Anche le molte persone trans che si sono espresse contro il self-id? Il filosofo Ivan Illich nel suo “Gender. Per una critica storica dell’uguaglianza” – testo di cui consiglio la lettura a tutti – ha parlato della libera identità di genere come “il più grande cambiamento” nella storia umana. Vogliamo farlo passare in modo surrettizio, senza discuterne? Le donne PD hanno in mente questo?”

A Lei che è una persona di chiara fama nel movimento femminista chiediamo di capire come mai si verifica proprio a Sinistra la maggior intransigenza su una questione che meriterebbe maggiore riflessione e azioni di sensibilizzazione diffusa sulla popolazione. Combattere la latente omofobia non può essere in antitesi con l’antropologia e le ricadute sulla famiglia, no?

“Non parlo di famiglia, non è il mio linguaggio e non ci voglio entrare. Parlo delle radici dell’umano. Quando nasce un bambino si dovrebbe dire che il suo sesso è “attribuito alla nascita”. In tutti i Paesi occidentali i progressisti e liberal sostengono queste posizioni, e le destre ne approfittano. Qualche giorno fa, negli Usa, il Congresso ha approvato una mozione proposta dai Repubblicani dove si dicono ovvietà tipo che solo le donne possono partorire o allattare, verità che oggi non si possono più affermare. Mi pare che la Sinistra, specialmente in Italia, abbia abbandonato il terreno dei diritti e della giustizia sociale per riempire l’orizzonte rimasto vuoto con diritti a costo zero. Letta -che proviene dalla tradizione democristiana -per ragioni elettoralistiche ha ripresentato il Ddl Zan con il testo immutato, pur sapendo bene che non verrà approvato prima della fine della legislatura. E che se la prossima legislatura sarà a trazione di centrodestra, non ci sarà mai una legge contro l’omotransfobia. Così si mandano inutilmente allo sbaraglio persone Lgbtq che non meritano di essere illuse”.

Paolo Delprato, vicepresidente dell’Osservatorio, nel suo intervento al convegno di Bioetica

L’Osservatorio di Bioetica senese, un gruppo di professionisti che da alcuni anni porta avanti un confronto pubblico sui temi fondamentali della vita umana, ultimamente sta denunciando veri e propri casi di discriminazione ed emarginazione sociale e professionale di soggetti che si sono espressi criticamente sull’ideologia gender. La sua esperienza le consente di definire se questa è una drammatizzazione o una realtà?

“E’ una realtà. Soprattutto nelle università. E’ toccato anche a me: allo IUAV di Venezia dove tenevo un corso per un master, mi hanno chiesto di ritirarmi a quindici giorni dall’inizio dopo che avevano scoperto mie dichiarazioni “gender critical”. Mi sono rifiutata di rescindere il contratto e il corso è andato benissimo. Pensiamo a Kathleen Stock costretta a scappare dall’Università del Sussex per aver difeso le proprie opinioni, o a una recente inchiesta di Micromega – https://www.micromega.net/contro-intimidazioni-morali-universita/ – sull’appello di ricercatori delle università tedesche a cui si impediva di fare riferimento al sesso biologico. I casi ormai non si contano più”.

Passiamo all’attualità milanese. Il Consiglio comunale ha approvato una mozione per favorire l’autodichiarazione di genere, il self-id: ora la giunta deve fare il suo corso. E tuttavia, sui suoi social, ha definito questo atto una sorta di populismo in quanto non ci sono strumenti legali per concretare il deliberato consiliare. Ci spiega pro e contro della questione?

“Non credo che un Comune possa bypassare una legge nazionale che prevede un percorso con perizie e sentenze e, solo alla fine, un riconoscimento del cambio all’anagrafe. In più, le questioni relative all’anagrafe sono di ordine pubblico e di competenza nazionale. Credo che quella mozione serva a piantare una bandierina nelle settimane del Pride. Anche qui, con un certo cinismo: non si possono illudere le persone che soffrono di disforia di genere che da domani basterà andare all’anagrafe o all’ufficio elettorale per dichiarare un altro sesso. Non si può fare, e non credo che la giunta milanese si infilerà in questo ginepraio”.

Siamo uno strano Paese. Spesso teso a impegnarsi in contese su aspetti marginali quali l’immigrazione quando il problema sono i fondamentali del lavoro. Tornare a discutere di ideologia gender non distrae un po’ troppo da battaglie più aggreganti che riguardano la violenza sulle donne o le loro giuste opportunità nel mondo del lavoro e nella gestione della maternità?

“Certo che è così. Per capire le gender theories ribadisco l’invito alla lettura del saggio di Illich, scritto quarant’anni fa con grandi capacità profetiche. La realtà è che sull’onda del paradigma della libertà di stabilire il sesso, il cittadino non è reso più libero, ma è spinto a dimenticare i propri problemi sostanziali, la povertà, l’inflazione, il caro bollette, gli stipendi bloccati, il degrado delle periferie in cui vive. Diventa un precario assoluto che il mercato può manovrare a proprio piacimento. In questa evoluzione del capitalismo neoliberista nemmeno il tuo corpo ti identifica, e “cambiare sesso” diventa paradigma di libertà”.

Per chiudere ci dà una sua definizione dell’essere femminista e del perché continua a sottoporsi personalmente e talvolta isolatamente a confronti così aspri per le questioni femminili?

“Non esiste una “questione femminile”, come si diceva nel 900, ma una questione maschile, un eccesso di maschile nel mondo. Ed ecco il mondo che vediamo: le guerre, lo sfruttamento dell’ambiente, la pandemia che si scatena per squilibri dell’ecosistema. Questo è il mondo del maschio che non riconosce la propria differenza ma si definisce assoluto. Eppure in tutte le nostre case, diciamo in quasi tutte, c’è stato sempre il ritratto di una ragazza con in braccio il suo bambino, la relazione che ha fondato il mondo. L’individuo assoluto armato di diritti usurpa il posto della relazione, di cui quella donna e ogni donna è testimone, che accetta di dare gratuitamente la vita a un’altra creatura e di inserirla nel mondo (parlo del simbolico che riguarda tutte le donne, anche quelle che scelgono di non diventare madri). Questo è il centro della comunità umana, la relazione tra la madre e la creatura. Oggi dobbiamo scegliere tra la prospettiva transumana e una civiltà a radice femminile, costruita sui valori espressi dalla relazione della madre col bambino. E’ un’ottima ragione per continuare questa battaglia”.

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