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lunedì, Ottobre 14, 2024

La sfida è che sull’energia prevalga il buon senso

Se esiste un modo per coinvolgermi, è quello di toccarmi nel vivo, mettendo opinioni a confronto. Voi di SienaPost mi avete un po’ intrigato chiedendomi un’opinione su un testo raccolto su Fb.

https://www.facebook.com/uminopoli/posts/10226457828581678

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L’autore è Umberto Minopoli, presidente dell’Associazione italiana Nucleare che, rivolto ai sindacati, manifesta perplessità sull’impatto che avrà sul manifatturiero italiano la linea europea in merito alle emissioni.

Non ho mai incrociato quest’intelligente autore, ma la sua qualifica rende chiaramente comprensibile le sue finalità riguardo la fonte d’energia che predilige. Che aggiungere? La mia visione non si esprime in poche righe e il tema, molto complesso, necessiterebbe un serio approfondimento e un’ampia discussione con numeri alla mano.

Io credo nel “buon senso” e nelle informazioni oggettive e non manipolate. Approccio che, purtroppo, sia in Europa che in Italia, non si sta seguendo a causa delle solite contrapposizioni ideologiche tra gruppi politici e gruppi di imprese che fanno i loro interessi, a discapito dei liberi cittadini che “non sanno” o “non vogliono sapere”.

Il famoso detto “not in my back yard (NIMBY)” è il leitmotiv della discussione: nessuno vuole ciminiere “sputafumo” da combustione rifiuti, né tantomeno centrali nucleari, vicino a casa. Ed è comprensibile.

Basta comunque uscire dall’Europa “politica” e andare in Svizzera – uno dei paesi che riflette maggiore benessere e salute ambientale al mondo -, per rendersi conto che ci sono sia quelle (le ciminiere sputafumo, nel bel mezzo di grandi centri abitati peraltro, come Basilea e Zurigo) che le altre (le centrali nucleari…). E solo questo piccolo esempio suggerisce che con le dovute innovazioni tecnologiche e le precauzioni del caso, anche soluzioni del genere non precludono un’ottima qualità di vita e salute degli ecosistemi.

Ma bisognerebbe che fosse aperto un serio dibattito tecnico e apolitico sulla questione. Ed è lì che l’Europa, da un lato, e l’Italia dall’altro, falliscono, ed è dove forze economiche e finanziarie ben più potenti si incuneano e ne approfittano.

Per fare un esempio di come finora, in Italia, si è vissuto un po’ troppo alla giornata e in maniera opportunistica… Con la scusa di tutelare non si sa cosa di paesaggistico nel Bel Paese – e ancor peggio sostenendo che il rinnovabile da solo non sia in grado di coprire il fabbisogno energetico del Paese, che è vero solo in parte -, in realtà si è voluto tutelare ben altro, ovvero gli interessi delle compagnie petrolifere, promuovendo la ricerca di nuovi giacimenti nel Mediterraneo e la messa in opera di grandi infrastrutture e gasdotti, disincentivando di fatto lo sviluppo e il commercio di fonti e tecnologie basate sul rinnovabile.

Con quali risultati? La Germania, ad esempio, che ha la metà del nostro sole, produce il doppio della nostra energia elettrica da fotovoltaico. Producendosi peraltro pannelli di alta qualità in casa propria…

Come ogni cosa che riguarda l’ambiente, si perde sempre di vista la visione sistemica e olistica del problema e si tende alla specializzazione, sistematizzazione e omologazione delle cause e degli effetti.

Negli ultimi due decenni, in particolare, l’Europa si è distinta nel mondo per le sue politiche avanguardiste nell’area della sostenibilità ambientale. Ma lo ha fatto in maniera disorganizzata, disomogenea e senza valorizzare le diversità ambientali e socioeconomiche di ogni stato membro: quando puntando sul solo (seppur importantissimo) tema dell’acqua, quando sulla sola agricoltura, quando sulla sola biodiversità etc.

In realtà tutto è collegato a tutto… E c’è un unico grande motore che muove questo tutto in ogni settore dell’economia e della conservazione della natura, che è l’energia… E lì siamo ancora ben lontani dal raggiungere un consenso.

In tema di energia dovrebbe esserci maggiore libertà e autonomia decisionale, anche e soprattutto alla scala locale. Esiste troppa diversità tra gli stati membri, sia in termini politici che geografici, di disponibilità di capitale naturale, sociale e umano. E questa va intesa non come un limite, bensì come una grande ricchezza, purché sia valorizzata e incentivata nella maniera opportuna.

Se un paese come l’Italia ha soprattutto sole, un po’ di vento ed un po’ di onde e tanto calore geotermico, potrebbe e dovrebbe dare priorità a queste risorse e andare nella direzione di fare il massimo per sfruttarle, ricevendo i necessari (e dovuti!) semafori verdi dall’Europa e dagli altri stati membri, infischiandosene di quelli che sono i poteri economici forti delle grandi compagnie del petrolio e del nucleare.

E in realtà l’Europa non sembra negare che si possa fare un cambiamento di gestione in questo senso… ma c’è un MA grande come una casa: gli investimenti pubblici da fare per portarci verso un tale livello di transizione energetica nei trasporti e nei consumi industriali – ancor prima che in quelli domestici e del terziario – “sarebbero” troppo elevati (o forse andrebbero troppo nella direzione di decentralizzare il potere economico nella produzione di energia…).

Questo porterebbe l’Italia a scontrarsi prima o poi col “cappio al collo” del pareggio di bilancio, che proprio l’Europa ci impone. Il Green Deal e il suo associato in campo PNRR, sebbene passino come uno strumento economicamente sostenibile per permettere questo cambio di paradigma in tema energetico, in realtà sono specchietti per le allodole.

L’Italia sarà comunque chiamata a rispettare le regole d’ingaggio e a restituire gran parte del finanziamento che riceverà (se lo riceverà)… E allora: non converrebbe fare da soli?

Mi sentirei di esser meno severo di Minopoli e di dar ragione al segretario Cgil Maurizio Landini in questo senso, creando però le basi epistemologiche e tecniche per un VERO dibattito: dovrebbero sedersi allo stesso tavolo scienziati ed esperti di vari settori – economia, ambiente/ecologia, industria, scienze sociali, pianificazione territoriale -, ben pagati dallo Stato con soldi pubblici per un periodo di 6-12 mesi, aventi dichiaratamente alcuna conflittualità d’interesse e soprattutto lo stesso identico potere decisionale, capaci di discutere su evidenze scientifiche – e non su chiacchiere e fonti di parte – e di fornire dati accurati, con lo scopo di pubblicare poi analisi predittive a breve, medio e lungo termine dei costi e dei benefici della transizione energetica, che siano solide e incontrovertibili, e che siano rese pubbliche e fruibili a tutti.

Solo con questa documentazione alla mano sarebbe possibile fare scelte adeguate, democratiche e apolitiche, tali da garantire un vero sviluppo sostenibile per noi e per le prossime generazioni. Potrebbe addirittura essere il caso di farci un referendum sopra!

Che bel mondo ideale sarebbe… Non vedo però come il ministro Roberto Cingolani e company, che hanno mani e piedi cementificati nel potere economico della grande industria (del nucleare, del Big Data, dei materiali e del petrolio), possano scendere a un patto di questo tipo e lasciare che sia “il buon senso” a dettare legge…

(Nella foto, il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani)

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