Metti un’estate in Svezia. Con il Covid e tanti usi cambiati

Sono tornato in Svezia dopo diversi anni di assenza. Fa sempre piacere rivedere luoghi che hanno caratterizzato parte della tua vita, ricordare il primo viaggio nel 1997 e poi i tanti altri ancora: di solito periodi di vacanze di 15 giorni tra Luglio e Agosto.

Il paesaggio non è davvero cambiato, così come non sono cambiate molte abitudini degli svedesi: la cura per la famiglia e i bambini, la correttezza estrema con la quale guidano l’auto, la calma e posatezza della loro vita apparentemente senza stress.

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Così come non sono cambiate le modalità di osservanza delle regole, delle norme, delle leggi, del sentirsi popolo e nazione. La bandiera nazionale è sempre issata su quasi tutte le case e la popolazione, a parte quattro o cinque grandi città, si distribuisce in piccoli nuclei abitati disseminati nelle varie parti di territorio, con tanto spazio tra una casa e l’altra.

Nei boschi si continuano a vedere cerbiatti, volpi e la natura a prima vista sembra incontaminata e rigogliosa, avvolta ancora in un’aura magica. Non mi pare siano cambiate nemmeno le abitudini peggiori: ad esempio quella dell’uso smodato di alcolici. Il Venerdì le file ai negozi specializzati, gli unici dove si possono comprare vini e liquori vari, sono impressionanti, così come notevoli sono gli acquisti di alcolici fatti sui traghetti al rientro giornaliero dalle vicine isole finlandesi.

Si beve in intimità e non si socializza. Non esistono circoli ricreativi né bar all’italiana. Nei bar del Nord si sta seduti a bere voluminose tazze di caffè, a gustare i dolciumi locali oppure, davanti alla gelateria, in una lunghissima ma ordinata fila.

Gli svedesi amano bere rinchiusi nelle loro case, nella propria abitazione. Eppure, continuando la gita a Stoccolma, a Uppsala, a Malmo e in qualche città più piccola come Nortalje, noto delle differenze.

Gli amici svedesi confermano che il Paese negli ultimi tempi è cambiato: dall’invasione delle imprese Burger King, Mac Donald e assimilati alla perduta memoria delle proprie tradizioni che ne avevano fatto un’icona e un modello di riferimento; ammaliato e corrotto da un consumismo esasperato.

Il paragone lo faccio nelle piccole stradine del porto canale Nortalje, una cittadina di circa 17mila abitanti a breve distanza dal mar Baltico: i ristoranti tipici con la cucina svedese sono stati radicalmente sostituiti dai più consumistici burger ed anche i negozietti tipici, che pure tentano di resistere, stanno drasticamente riducendosi a favore di marchi standardizzati.

Gli svedesi mangiano svedese a casa ma fuori si sono uniformati alle mode americaneggianti. I miei amici svedesi mi dicono che sono molto preoccupati perché ormai anche al Nord gli effetti dei cambiamenti climatici sono evidenti: le temperature tendono a stabilizzarsi su valori molto più alti delle medie e anche durante l’inverno il clima è meno rigido, i laghi e i fiumi non si ghiacciano più.

Il messaggio di Greta non deve essere sottovalutato e silenziato ma deve spingere tutti a una mobilitazione e a cambiare radicalmente i modi di vita, di lavoro, di produzione: a cambiare la nostra storia adesso, se vogliamo che possa continuare per i nostri figli e per i nostri nipoti.

Passando dalla Germania alla Svezia si vede subito la differenza di strategie, di atteggiamenti e di comportamenti nella lotta al Covid. In Germania, pure con la morsa delle restrizioni allentata, le mascherine vengono indossate obbligatoriamente nei locali e nei luoghi chiusi ed anche all’esterno si continua a trovare molta gente, soprattutto persone anziane, con la protezione attivata.

In Svezia il panorama cambia completamente: le mascherine non sono obbligatorie ed in effetti non le porta nessuno salvo alcuni rarissimi esemplari, come una razza in via d’estinzione!

E’ ancora presto per fare un bilancio tra le due differenti strategie e per stabilire quale abbia reso meglio e porti un consuntivo attivo. Protezioni e lockdown o immunità di gregge?

Nell’inverno scorso in Svezia in risposta ad una crescente critica da parte della popolazione per il numero altissimo di morti, soprattutto tra persone anziane e nelle residenze e ad una progressione notevole dei contagiati – a cui non è stato insensibile nemmeno il re Carlo XVI Gustavo che ha chiesto pubblicamente modifiche – si è corsi ai ripari mettendo alcuni limiti e introducendo qualche restrizione. Tuttavia niente a che vedere con quelle che abbiamo conosciuto noi in Italia tra l’inizio del 2020 e il giugno 2021.

In Svezia la strategia non sembra aver funzionato granché nel settore economico, visto gli andamenti assai poco entusiasmanti. Vari indicatori pandemici collocano la Svezia molto indietro rispetto agli altri paesi scandinavi: Finlandia, Norvegia, Danimarca.

L’impostazione data dal Capo dell’Agenzia Sanitaria, l’infettivologo Tegnell, ha avuto come risultato un tasso di mortalità altissimo: quasi il 90% dei decessi in persone con più di 69 anni, l’assenza o il grave ritardo temporale di misure protettive, anche di terapie di degenza e di ossigeno e un atteggiamento passivo dei medici che durante tutto il 2020 hanno continuato a prescrivere cocktail di morfina e cure palliative.

In questa situazione hanno inciso sicuramente il lavoro, le condizioni di sfruttamento e di povertà degli immigrati: molti di essi lavorano infatti nel settore dell’assistenza e non avendo una situazione economica decente hanno dovuto spostarsi sui mezzi pubblici, senza le mascherine protettive. Di questo molti svedesi non amano parlarne: anziché recitare un mea culpa è sicuramente più facile additare gli immigrati come responsabili di tutte le sventure.

Il 7 Luglio, al mio ingresso in Svezia, il bilancio del virus era di 1.092.083 contagiati con 14.639 morti. A fine giugno del 2020 i dati erano alquanto diversi: 65.137 contagiati con 5.310 morti. In questi ultimi giorni dal 24 di luglio invece non sono stati rilevati nuovi casi e ad oggi 27 Luglio il bilancio aggiornato è di 1.096.779 contagiati con 14.651 morti.

Rispetto a molti altri paesi europei il numero molto basso della popolazione svedese, concentrata per lo più in poche grandi città e l’altra sparsa in piccoli nuclei abitativi, in centri più paesi che città, ha costituito un vantaggio di partenza importante, assieme alla forte e tradizionale autodisciplina, tipica delle popolazioni nordiche.

Il Covid rappresenta in Svezia, proprio per i dati sopra riportati, una primaria emergenza che però, presa assieme ad altre altrettanto complesse e nebulose, forse non pare la più rilevante.

Basta solo pensare al destino molto incerto della gloriosa tradizione di buon governo dei socialdemocratici svedesi e alla notevole crescita della destra Sverige Democraterna. I populisti – una fotocopia standard di altri paesi compresi i nostri Salvini e Meloni – stanno cavalcando alcuni problemi: quello degli immigrati cresciuti in maniera impressionante negli ultimi anni, che hanno fatto della Svezia il Paese con il massimo numero di esuli e migranti pro abitante dell’Unione Europea; dell’ordine pubblico rispetto alla crescita di criminalità organizzata; di un welfare che sia meno costoso e sia riservato ai veri svedesi.

Le difficoltà nel risolvere la crisi del precedente esecutivo e formare un nuovo governo evitando il voto anticipato sono state evidenti. La crisi si è per ora risolta attraverso il ricorso ad una maggioranza arlecchina di socialdemocratici, destra centrista, socialisti e ambientalisti: una situazione emblematica dei tanti interrogativi che assieme al Covid pesano oggi sugli svedesi e rendono, come non mai, incerto e turbolento il loro futuro.

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