Niclo Vitelli propone un nuovo libro per il suo centenario. E’ alla portata di tutti in attesa che le istituzioni facciano sul serio per tutelare l’opera del compositore
Niclo Vitelli è un uomo che non lascia indifferenti. Ha fatto tanto, moltissimo, per la sua gente. Incrollabile nella sua fede di comunista, rivoluzionario nelle sue convinzioni sociopolitiche, inconsumabile amante dell’opera di Giacomo Puccini cui talvolta dà metaforicamente vita e lo fa “rivoltare nella tomba” al solo pensiero di quel che combina la posterità. Ed ha un gruppo di amici ed estimatori che vogliono da lui verità che possono spesso rivelarsi scomode. Si fece conoscere da noi per un viaggio in Svezia: al di là del Covid come stava attraversando questa particolarissima nazione la ripartenza. Lo adorammo un giorno per un bellissimo ricordo che celebrava i protagonisti ancora viventi della lotta partigiana sulle Apuane. Lui tornò spesso a parlarci della sua amata terra – la Versilia – per la quale vorrebbe il riunirsi di tutti e sette i comuni e un miglior sfruttamento e protezione delle risorse naturali delle quali ci propose una visione completa quando il turismo fu pronto a tornare in Versilia. Ed ancora, rispose “Pronto!” quando il nostro desiderio di contribuire al centenario del baritono senese Ettore Bastianini ci portò all’esigenza di scriverne a ragion veduta. Poi, forse non l’abbiamo assecondato in una sua battaglia e lo abbiamo perso come autore. Ma quando ci siamo rivisti qualche tempo fa ad Allonsanfàn Firenze abbiamo subito compreso che stima e amicizia non sono arretrate. La pubblicazione odierna è per dirgli che gli vogliamo bene e abbiamo a cuore le sue opere. Forza Niclo, sei una forza.
Niclo ce l’hai presente che Puccini fu accusato di essere un filotedesco; e se questo è confutabile, comunque era un qualunquista. Come fa a trovare armonia il fatto che tu sia inconfutabilmente comunista e pro-partigiano con la coscienza sociale del tuo conterraneo compositore?
“Puccini non era un sostenitore della guerra, anzi era convinto della necessità di integrazione e convivenza tra popoli: nelle sue creazioni musicali e drammaturgiche la necessità d’integrazione è perseguita consapevolmente. Sul fatto che avesse simpatie germanofile, cosa che è vera fino ad un certo punto, l’opera monumentale di Mosco Carner aiuta a comprendere meglio i contesti e le vicende. L’utilizzo delle scale musicali pentatoniche orientali e la loro originale amalgama con quelle occidentali si ritrova proprio negli spartiti pucciniani. Se non altro per interessi di bottega Puccini era contro la guerra: si pensi ai successi delle sue rappresentazioni in Germania, in Austria in Ungheria, in Francia, in Inghilterra e a quanto il conflitto armato avrebbe potuto, come in effetti avvenne, interrompere questo incredibile e strepitoso successo e incidere sui redditi del compositore. Ma era sinceramente contro la guerra e contro le guerre”.
“Alla sua amica Sybil – riprende Niclo – scrisse così all’inizio del conflitto: “Almeno noi siamo senza guerra, è un discorso egoista, lo so, ma non posso fare a meno di farlo. La guerra è troppo orribile: qualunque risultato abbia, sia vittoria, sia disfatta, le vite umane sono sacrificate. Siamo in un mondo tremendo e non accenna ad avere una fine questo stato crudele di cose!” Parole che potremmo riprendere integralmente e adattare alla drammatica situazione internazionale odierna, con il conflitto alle porte dell’Europa tra l’Ucraina e la Russia e quelli in Medio Oriente”.
“Anche per le sue avventure amorose – continua Vitelli – la guerra fu grave danno ed una complicazione incredibile per Puccini: si pensi che a causa degli eventi europei si chiuse la storia tra lui e Josephine van de Stengel che si era trasferita in Svizzera dopo essersi separata dal marito. Durante uno dei tanti viaggi per raggiungere l’amante, Puccini fu fermato alla dogana sospettato di essere un collaborazionista e una spia. Il fatto che io sia stato comunista non può certo impedirmi di avere e di entrare in armonia con le creazioni artistiche di Puccini. Nel libro riporto un emblematico articolo scritto per l’Unità dall’allora giovane giornalista Leonida Repaci e pubblicato nel 1924 subito dopo la morte del compositore. Nell’articolo Repaci tratteggia le ragioni per le quali non ci si poteva liberare di Puccini con giudizi sommari e stroncatori e che invece si doveva cercare di capire il successo. Scrive Repaci nel suo articolo: “Puccini è soprattutto un creatore di caratteri musicali. Ove l’artista si è fatto prendere la mano dal colore ambientale e dal grosso gesto del pubblico attingendo qua e là senza discernimento di mezzi nell’imbastire l’opera con impetuosa sincerità. Dalle sofferenze e dagli spasimi emerge una musica non profonda, non complicata, non stracarica di particolari, di mezzi armonici, di acrobazie tecniche fine a se stessa, ma una musica dolce, semplice, trasparente ondeggiante tra sentimento e sentimentalismo, tra l’elegia e il dramma e vi spiegherete il fascino suscitato da Puccini nelle folle mondiali”. Fino agli anni 70, nonostante l’analisi e le valutazioni del Repaci, i critici musicali comunisti ebbero un atteggiamento di critica spietata che poi, successivamente e progressivamente si è cominciato a modificare, rivalutando, in tutta la sua portata, il lascito del compositore e il notevole contributo al rinnovamento del melodramma italiano, fino a riconoscerne l’incredibile modernità”.
“Giacomo Puccini, innamorato di tutto” è il tuo nuovo libro. Cosa c’hai da raccontarci più di quanto abbia fatto Mosco Carner?
“Il libro ha un precipuo obiettivo divulgativo ed è stato pensato dalla Cinquesensi Editore di Lucca per far conoscere Giacomo Puccini ad un pubblico più ampio, con particolare attenzione verso chi non frequenta i teatri lirici; a un pubblico di giovani che magari hanno sentito dire o letto da qualche parte che c’è stato un grande compositore, tal Puccini, ma non molto di più; a coloro che hanno solo sentito parlare genericamente dei suoi luoghi natali e di quelli scelti come ideali perché in grado di sollecitare e stimolare la fantasia e la creatività del suo genio. E’ un ritratto dell’uomo, delle sue innumerevoli passioni: proprio da lì deriva il titolo Giacomo Puccini Innamorato di tutto. Mi sono basato su quella grande biblioteca a lui dedicata selezionando e scegliendo quelle notizie, informazioni, aneddoti per costruire il ritratto dell’uomo, dell’artista, dei suoi luoghi, delle sue passioni, del suo complesso carattere, della sua umanità, delle opere e delle cantanti che sono state le prime in assoluto delle prime rappresentazioni delle sue creazioni. Il libro è arricchito da tre contributi: Il Sor Giacomo e la cucina della memoria di Daniela Mugnai, I bronzi-ritratto di Lucca e Torre del Lago di Leonardo Castellucci e uno mio sulla Cinefilia pucciniana. Anche la veste del libro, scelta dall’Editore in collaborazione con Emma Dal Falco, a cui si devono il progetto grafico e le illustrazioni, fa da contorno ad un racconto che vuole presentare la dinamicità e la modernità del Puccini”.
Dire Puccini in Versilia riteniamo abbia effetto totalizzante, dall’arte alla gastronomia. Soppesandolo in fatturato quanto secondo te è il valore di Puccini per l’indotto da Torre del Lago a Viareggio?
“Il territorio fino ad oggi, se non molto limitatamente e saltuariamente, non è riuscito a sfruttare adeguatamente questo prezioso patrimonio. Quando ha cercato o cerca di farlo è solo prevalentemente in periodi estivi e quasi esclusivamente per le rappresentazioni liriche. Anche il lavoro pregevole delle due Fondazioni – quella Simonetta Puccini di Torre del Lago e quella di Lucca- e del Centro studi di Lucca – è purtroppo rimasto assai isolato. Si continua a procedere come in ambienti stagni, senza collegamenti, senza interazioni, senza coordinamento tra loro e tra Istituzioni, associazioni, il mondo economico e delle imprese commerciali e turistiche. In una trentina di chilometri, dove si concentrano i principali luoghi pucciniani ci sono tre Fondazioni, includendovi quella Festival Pucciniano di Torre del Lago, un Teatro di tradizione, beni museali e artistici come la villa di Torre del Lago, quella di Viareggio, la casa natale dei Puccini a Lucca: ognuno persegue le proprie finalità senza che lo Stato, la Regione Toscana si propongano di attivare un serio coordinamento e un progetto internazionale per Giacomo Puccini”.
“Se negli Usa o in Germania o in Austria – continua – avessero avuto un Giacomo Puccini tra i propri musicisti connazionali si sarebbe assistito a qualche cosa di straordinario. Nell’anno del centenario, se tu giri per Viareggio, e siamo ad aprile, non c’è nessun richiamo, nessuna insegna visibile a giro; nessun Albergo, neppure tra i più blasonati, forse con la sola eccezione dell’Hotel Palace, ha deciso di impostare un programma per gli ospiti dedicato all’anniversario e a far conoscere e vivere i luoghi pucciniani alla stregua di una qualificata integrazione alle vacanze, come un modo più intenso, più allargato, più stimolante per arricchire la loro presenza vacanziera. E’ un problema aperto! Un brand Puccini sarebbe necessario, utile e fondamentale per il rilancio e la caratterizzazione turistica del nostro territorio e dell’intera Toscana, utilizzando tutti i mezzi che la tecnologia avanzata ci mette a disposizione al fine di stimolare flussi turistici e per qualificare ancora di pi le occasioni di quelli attuali. Ma non lo si fa, a parte l’eccezione di Lucca che da anni ha prodotto uno sforzo culturale ed organizzativo importante: mancando però un progetto internazionale e di sistema ovviamente anche questa eccezione ha un impatto sicuramente alquanto trascurabile in relazione a quello che potrebbe avere un grande progetto unitario di valenza internazionale”.
Dato che abbiamo tirato fuori la bilancia… Ha dato di più la Versilia a Puccini o ha preso di più?
“La bilancia pende tutta da una parte: quella di Giacomo Puccini. La Versilia ha utilizzato molto limitatamente e parzialmente Puccini e quello che ha preso, a parte qualche momento interessante e fecondo ma di brevissima durata, lo ha preso, per grazia ricevuta, senza alcun merito particolare, senza l’aggiunta di un pizzico di autonoma fantasia e inventiva. Ha utilizzato solo una piccolissima e minuscola dose di un’eredità immensa e di grande valore artistico che, purtroppo continua a rimanere colpevolmente ibernata”.
Senza rischiare la denuncia per favore. Ci motivi la tua tesi, spesso manifestata, che le istituzioni non portino a Puccini l’adeguato rispetto.
“Come dicevo avere un così importante patrimonio e non saperlo sfruttare da tutti i punti di vista mi pare un atto sacrilego o masochistico. E non si può pensare che siano le imprese senza una precisa guida o stimolo a impegnarsi autonomamente su questo terreno. Ci vuole un progetto e un investimento culturale, storico e artistico da parte delle Istituzioni che oggi purtroppo non c’è. Puccini non è prioritario se non a corrente alternata e sempre a bassa intensità! Che un locale storico che Puccini frequentava, dove sono nati amori e passioni, intense discussioni sui libretti, scambi di opinioni tra Puccini, pittori, scultori, poeti nell’anno delle celebrazioni pucciniane chieda una somma esorbitante per fare la presentazione del libro su Puccini – bada è del tutto legittima la richiesta su un astratto e puramente economico piano aziendale – è la dimostrazione che quando manca un progetto è il minimo che possa accadere ma è anche l’attuale stato dell’arte. Che la Regione non sia assolutamente avvertibile e che lo Stato si accontenti di dare 10 milioni alle istituzioni locali per le celebrazioni senza una precisa direzione e orientamento è un altro piccolo ma significativo fatto che ci dice dell’attuale generalizzata sottovalutazione. E senza che scatti questa consapevolezza tutto è lasciato alla buona volontà dei tanti soggetti che in qualche modo cercano di tutelare e promuovere la memoria e la conoscenza del compositore. Ti sembra normale che, unica zona nel mondo intero, in piena stagione alle 22 di un giorno di Luglio o d’Agosto tutti i locali (bar, ristoranti, locande) vicino al teatro di Torre del lago chiudano bottega abbandonando i turisti, gli appassionati che hanno assistito alla rappresentazione al buio e all’oscurità della tarda serata? Piccole cose ma pezzi di un desolante mosaico di assenze, sottovalutazioni e scarsa sensibilità”.
Quando, dove e come hai conosciuto l’opera di Puccini? Che cosa ti commuove ancora della sua arte?
“La mia prima conoscenza l’ho fatta quando, ad appena 8 anni, mio padre mi portò nell’estate del 1962 a sentire una storica Fanciulla del West con protagonisti Giuseppe Di Stefano e Antonietta Stella e Anselmo Consani. Purtroppo a parte gli spari dei minatori che mi facevano paura poi, lo confesso, mi addormentai prima che finisse il primo atto. Una conoscenza diversa la feci invece quando ero responsabile culturale della Federazione versiliese del Pci. Fui un modesto attore, dietro le quinte, del progetto che mise fine alle stagioni liriche per approdare ad un vero e proprio Festival Puccini. Allora la Regione fu protagonista assieme alla prima amministrazione comunale di sinistra dal dopoguerra che si era costituita a Viareggio dopo le elezioni del 1975. Si doveva passare da stagioni liriche che puntavano tutto su uno o due grandi artisti, soprani, o tenori o baritoni per spettacoli abborracciati, mal costruiti, molto ordinari, più per i melomani e per un pubblico di turisti occasionali che non sulla figura del compositore. La Regione convinse Sylvano Bussotti a fare prima il consulente e poi il direttore artistico della nascente nuova manifestazione di Festival. Come responsabile culturale del Partito e poi come Presidente del Comitato per il Festival Puccini fui attivo e detti il mio contributo anche per superare remore, perplessità e contrarietà che nel Pci Viareggino e non solo c’erano nei confronti della manifestazione di Torre del Lago”.
“La conoscenza diretta del maestro Bussotti – continua Niclo – fu per me, come per Puccini fu l’Aida di Pisa, un avvenimento che contribuì ad avvicinarmi in maniera nuova, non politica, ai lavori di Puccini. Soprattutto durante la direzione di Bussotti di scoprire un Puccini vero, i cui lavori di allestimento del programma passavano da un mese e mezzo di prove- dell’orchestra del coro e dei cantanti – alla costruzione dello spettacolo cercando di recuperare interamente tutte le impostazioni di Puccini, dalle tinte, alle sfumature, alle sottigliezze e ai colori della musica, alle interpretazioni e non solo vocali dei vari artisti, alla cura meticolosa, quasi ossessiva cura dei particolari, ivi comprese le luci. Di essere coinvolto direttamente nella costruzione di quel progetto di irradiamento del Festival che era l’obiettivo fondamentale del progetto. Quel Puccini così rappresentato, riprodotto fedelmente e nei suoi luoghi, vicino alla sua casa, sul suo lago aggiungevano all’ammirazione e al trasporto emotivo per la sua musica quella commozione che non si può raggiungere in nessun altro luogo. Ripenso a quella straordinaria Turandot del 1982 e 1983 che fu il punto più alto di quel progetto che poi s’interruppe proprio nel momento che aveva mostrato tutte le sue enormi potenzialità”.
Ma il mondo ha più bisogno di comunisti o di Puccini?
“Il comunismo come ideologia e come concretizzazione storica, così come lo abbiamo vissuto nel Novecento, è fallito e in nessun modo quel modello potrà ridiventare un riferimento per il futuro. L’esperienza dei comunisti italiani soprattutto con Enrico Berlinguer contribuì a far vivere nella realtà una forza d’ispirazione socialista, costruttiva, popolare e democratica che la successiva trasformazione ha poi in gran parte disperso. Nel mondo di oggi, come diceva Bobbio e come spesso su ben altro piano ci ricorda Papa Francesco, c’è un oggettivo, indispensabile necessario bisogno di una visione e di un progetto d’ispirazione socialista dove diritti sociali e civili possano costituire il perno di una società più giusta, umana e avanzata. Puccini è vivo più che mai, i suoi lavori non cessano di essere rappresentati ovunque con una impressionante frequenza ed è ancor oggi in grado di coinvolgere, appassionare e commuovere, tanto e in egual misura che nel passato. Allo stesso modo del socialismo, Puccini avrebbe bisogno però di essere rilanciato utilizzando linguaggi e tecnologie moderne e, soprattutto nei suoi luoghi, di costituire un punto di richiamo e di attrazione internazionale”.
Torniamo al libro. Chi avrebbe interesse o giovamento a leggerlo?
“Tutti! Non lo dico per me o per eccesso di presunzione. Perché conoscere un artista così importante mettendo in stretta correlazione le sue doti umane, il suo carattere, la sua vita, i suoi luoghi e le sue creazioni artistiche contribuisce ad avere una considerazione complessiva e d’insieme, senza eccedere ora su un aspetto ora su un altro separandoli tra loro. Può tornare utile per chi Puccini lo conosce solo per il nome o per aver sentito, magari canticchiata dal nonno o dalla nonna qualche sua aria d’opera o aver sbirciato qualche articolo sui giornali o sulla cronaca locale; soprattutto per coloro che vengono da altri Paesi per fare turismo da noi e possono ampliare le loro attese feriali con la visita ai luoghi d’eccellenza, per gli studenti delle scuole, magari per sollecitare il loro interesse e le loro richieste perché lo Stato consideri diversamente l’istruzione musicale fin dalle scuole elementari. Non è un libro per addetti ai lavori, non ha nessuna pretesa – né potrebbe averla visto che l’autore principale non è uno storico, né un musicista, né un critico musicale – di dire cose nuove: è un libro che si prefigge di far conoscere il compositore ad un pubblico di persone che non amano la lirica, che non vanno a teatro ma che hanno la curiosità e la voglia di scoprire chi era uno dei musicisti più importanti del nostro Paese e della nostra cultura, un artista ancor oggi più amato all’estero che non nel suo paese d’origine”.
Non è il primo libro che scrivi, parlaci degli altri… Ad esempio te sei stato il “mammasantissima” di uno dei club che ha proiettato nella notorietà tanti artisti toscani…
“Sì, il precedente libro uscito due anni fa s’intitolava Hop Frog Futuro anteriore ed era la storia e aspetti di vita sociale del piccolo locale sopra il teatro Politeama di Viareggio: teatro oggi chiuso, condannato al deperimento e, per altro, come una cartolina illustrata, sito nel bel mezzo del luogo più turistico e frequentato della città, la passeggiata a mare e l’imbocco della passeggiata sul molo. Quel locale, prima discoteca moderna, fu trasformato a metà anni 70 in un luogo dove giovani e allora alquanto sconosciuti artisti facevano le loro prime esperienze misurandosi con generi che avevano poco spazio nella cultura commerciale: il cabaret, la pantomima, le canzoni popolari e di protesta. I loro spettacoli erano in presa diretta, con il pubblico che dopo o a volte interrompendolo interveniva, faceva domande, manifestava critiche o gradimento. Grazie ad una intesa con l’Arci locale e regionale si snodò una programmazione nazionale a cui era legata la formazione di base che gli stessi artisti erano impegnati a implementare in città. Da lì passarono i Giancattivi, Roberto Benigni, Carlo Verdone, Marco Columbro, Alessandro Benvenuti, Lucia Poli, Nola Rae, Massimo Boldi per citarne solo alcuni…Anche quel libro fu edito dalla Cinquesensi di Lucca”.
“Scusaci, abbiamo fatto qualche slalom, quindi ti è concesso di darci tutte le risposte alle domande che non ti abbiamo fatto…
“Mi hai fatto una sorta di terzo grado e seguendo le istruzioni del mio avvocato – parla poco e in maniera molto laconica – so di aver già di molto debordato e forse mi sono pure compromesso. Posso concludere con l’invito a tutti i vostri lettori di acquistare il libro. Se mi fischieranno le orecchie sarò sicuro che il mio, il nostro lavoro, nel bene o nel male, è stato considerato!”