Ogni tanto si leggono commenti e opinioni sullo spopolamento del centro storico, che riguarderebbe sia l’insediamento residenziale sia quello artigianale e commerciale, attribuendo responsabilità, e quindi poteri alla/alle amministrazioni locali, quasi taumaturgici nei confronti delle logiche di mercato universali e che, nella nostra città assumono caratteristiche speciali per l’alto costo degli affitti dei locali commerciali.
La questione abitativa ha origini ormai remote e spesso abbiamo discettato delle profonde modifiche nella domanda di abitare che ha inciso, assieme ai prezzi, nello spostamento di molti residenti verso la periferia anche extra confini comunali, con evidente vantaggio per i comuni contermini e svantaggio in termini di servizi, traffico sosta e viabilità per il comune capoluogo.
Non credo che esistano ricette per invertire la tendenza, almeno non nel breve periodo. Continuo a ritenere che gli angusti confini del Comune di Siena siano un freno oggettivo alla possibilità di politiche urbanistiche razionali ed efficienti.
Non è la scoperta del secolo, inoltre, affermare che in una città a forte presenza universitaria, la rendita collegata al mercato dei posti letto renda molto più appetibile questa forma di affitto ad altri tipi di locazione. Insomma ci sono, in estrema sintesi, tutte le condizioni di mercato per rendere difficile anche una azione di incentivi e disincentivi volta ad invertire o quanto meno a mitigare tale tendenza.
Al di la del “bercio”, come si dice dalle nostre parti, dall’opposizione e dai chi si straccia vesti e capelli, non mi pare emergano proposte concrete ed attuabili. Sul versante commerciale, caratterizzato da affitti molto alti e da un oggettivo impoverimento qualitativo legato anche alle liberalizzazioni in tema di licenze che negli anni si sono succedute a livello legislativo centrale, credo che occorrerebbe una legge speciale per i centri storici delle città italiane – questa proposta potrebbe essere portata a livello nazionale e riguarderebbe tutte le città, non solo la nostra – che restituisse ai comuni, alle amministrazioni comunali, il potere di inserire nei piani urbanistici e commerciali, alcune limitazioni ancora più stringenti di quelle già presenti e approvate nel 2020, se non erro, e una serie di leve fiscali e finanziarie in grado di calmierare il mercato degli affitti; perché le attuali norme fiscali non sono sufficienti e comunque non vanno a vantaggio delle comunità locali.
Mi piacerebbe che qualcuno riprendesse il censimento delle botteghe storiche della città che fu fatto diversi anni or sono e lo confrontasse con quanto rimasto oggi, per toccare con mano come è cambiata la struttura commerciale e artigianale, quale il tasso di mortalità di quelle botteghe ed incrociare quei dati con quelli della Camera di Commercio Industria e Artigianato per vedere quanti e quali attività nell’arco di dieci anni sono nate e morte.
Come sarebbe utile capire se vi via stato un allentamento nelle norme che regolano le trasformazioni d’uso, ad esempio da abitativo a commerciale per capire se vi sia stato un aumento delle strutture ricettive leggere, quali B&B e simili.
Se non si passa da una analisi storica e dalle possibilità effettive che le leggi offrono, se non si inventano nuovi modelli di interazioni tra i vecchi piani commerciali e le norme urbanistiche, rimangono solo le argomentazioni ed enunciazioni della campagna elettorale, che comunque, segnalo sommessamente, è finita.
Sarebbe un buon modo di impegnare la Commissione Assetto del Territorio e rendere il lavoro di analisi utile e produttivo.
Gli uffici comunali hanno le carte e la memoria per produrre dati in tempi abbastanza brevi. Così come un tavolo di concertazione tra Amministrazione Comunale e Associazioni di Categoria del Commercio e dell’Artigianato, non sarebbe un brutto segnale, se non altro per spazzare via le ipotesi campate in aria, demagogiche e irrealizzabili.
Anche per capire come si potrebbero intrecciare (e lo si deve fare) previsioni urbanistiche e commerciali, per impedire la modifica profonda della città, che non è solo un problema quantitativo, ma soprattutto qualitativo.
Ad esempio ragionare sul tema del conferimento delle merci vedendo se è possibile una logistica almeno minimale come sperimentazione iniziale, o la revisione del contratto di servizio con Sei Toscana che presenta a mio avviso, non poche criticità sia nel centro storico che nelle periferie, potrebbe sembrare ininfluente, ma così non è.
In sintesi é evidente che oggi una azione di contrasto ai fenomeni che riguardano il centro storico ha bisogno di una lettura incrociata sia con i piani urbanistici che con altre materie, poiché la qualità del tessuto urbanistico e le esigenze di fare impresa, devono trovare una giusta sintesi realizzabile solo attraverso una concertazione con le associazioni di categoria.
Una discussione complessiva che tocchi questo tema è necessaria e deve coinvolgere oltre alla amministrazione e alle associazioni anche le organizzazioni sindacali, poiché non è possibile che tutto nella città avvenga nello stesso momento, dalla raccolta dei rifiuti, al conferimento delle merci, e ci vogliono disponibilità concrete che non stanno solo in capo al sindaco per riprogettare anche alcuni servizi in tema di orario.
Altrimenti il fatto che nella nostra città esista un centro commerciale naturale che è il Centro storico, diviene una favoletta priva di significato. Se è vero, è chiaro quindi che il suo mantenimento diviene un elemento di politica ambientale, urbanistica, ed economica.
Maurizio Cenni
(La foto su una delle manifestazioni per gli alloggi degli studenti universitari è una foto pubblica di Fb)