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domenica, Ottobre 6, 2024

Che ti è morto il gatto?

“Che ti è morto il gatto?” Una volta si usava spesso questa espressione, in maniera piuttosto ironica, per indicare l’umore depresso di un interlocutore. Come se il decesso del proprio felino, fosse qualcosa su cui è accettabile scherzare.

Oggi, complici molti cambiamenti sociali che contraddistinguono la nostra epoca, l’animale domestico è diventato a tutti gli effetti un membro effettivo del nucleo familiare. Mettendo da parte alcune antropomorfizzazioni eccessive, il legame che si crea con il proprio animale da compagnia è un legame di attaccamento e di protezione: lui ci accetta incondizionatamente e dipende totalmente da noi. Ecco perché vederlo ammalarsi o avere un’incidente, oltre alla tristezza, può far scaturire anche grandi sensi di colpa.

Il dolore quando il nostro amato “cucciolo” ci lascia, o quando il veterinario ci comunica un’infausta sentenza circa le sue condizioni di salute, non è minore rispetto a quello che si avrebbe nel caso della perdita di una persona cara.
Quello che cambia invece è come veniamo percepiti dalla società: la sofferenza, la disperazione per la scomparsa o per la malattia di un caro è socialmente accettabile, le persone intorno a noi fanno quadrato, ci sostengono, ci consolano: ci capiscono.

Nel caso dell’animale invece c’è una sorta di pudore nel mostrare tutta la nostra afflizione. Il timore è quello di sentirsi dire: “Alla fine era solo un gatto”. Ma quel gatto, o cane, o coniglio che fosse, era qualcuno con cui abbiamo passato una fetta importante della nostra esistenza, qualcuno che riempiva la nostra quotidianità e ci regalava affetto incondizionato.
I sentimenti e le emozioni che proviamo nei suoi confronti, perciò, non sono meno reali.

Il vuoto che lascia dentro le nostre case è tangibile: i ritmi e rituali che scandivano la giornata vengono a mancare, stravolgendo il nostro mondo esterno oltre a quello interiore. Pensiamo a chi, per anni si è abituato ad uscire la mattina presto per andare a passeggiare al parco con Fido, o chi, appena tornato dal lavoro, si butta sul divano a guardare la tv con Micio sulle ginocchia: è come perdere una parte significativa di sé.
Se in casa poi ci sono bambini, può non essere semplice fronteggiare e comprendere anche le loro reazioni.
Un fatto è certo: dolore, rabbia e tristezza se repressi, possono alla lunga divenire fonte di grande stress e condizionare molti aspetti della nostra vita.

Il consiglio è quindi quello di non vergognarsi delle proprie emozioni, anzi, cercare di accoglierle e condividerle con qualcuno che possa comprenderle, senza giudicare e stigmatizzare ciò che state passando, fornendovi un adeguato sostegno per affrontare quello che a tutti gli effetti è un vero e proprio lutto.
Se la prostrazione dovesse essere particolarmente destabilizzante, il consiglio è di rivolgersi a un professionista esperto in Pet Loss che possa aiutarvi a esprimere il dolore e fornirvi il giusto supporto per la vostra perdita o, nel caso, come spiegarlo ai vostri bambini e supportarli nella perdita.

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2 COMMENTS

  1. Perché dite una volta Io lo uso ancora e lo usano tutti i miei familiari e conoscenti! Siete dei fascisti se pensate di imporre agli altri il linguaggio che vi pare. Il gatto non vale niente per noi e per noi quando uno c’ha il muso per niente si chiede ma cos’hai ti è morto il gatto?

  2. Se a una persona che ha l’espressione triste chiediamo se gli è morto il gatto vuol dire che siamo consapevoli che la morte del proprio amico felino possa provocare tristezza.non credo si offenderà e se la risposta fosse sì forse avrete fatto involontariamente una gaffe e vi sentirete in imbarazzo.come dovrebbe sentirsi in imbarazzo chi esprime rabbia ingiustificata e prepotenza proprio come i da lui inutilmente citati ‘fascisti’.

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