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martedì, Dicembre 10, 2024

La battaglia di Valdichiana, una gloria per le armi senesi

Nel 1362 Siena attraversava un momento politicamente difficile e instabile, e questo
contribuiva ad allentare il controllo sul suo stato. Nel frattempo era in corso una
guerra fra Firenze e Pisa, combattuta anche attraverso truppe mercenarie. Nell’agosto
di quell’anno, dopo la conquista di Peccioli, una parte dei mercenari al soldo dei
fiorentini, scontenti della paga, si misero in proprio, abbandonando quella guerra, e
formando una compagnia di ventura sotto il comando del condottiero Niccolò da
Montefeltro (1319-1367), conte di Urbino. Tale compagnia di ventura, che fu detta
del Cappello, era formata da una numerosa soldataglia, e da oltre mille cavalieri di
nazionalità mista, italiani, tedeschi, inglesi, borgognoni e soprattutto bretoni. Il
Montefeltro, coadiuvato nel comando da Ugolino Sabbatini di Bologna e Marcolfo
de’ Rossi da Rimini, cominciò, all’inizio del 1363, a scorrazzare nel territorio senese,
portando grandi danni e devastazioni.
Il governo dei Dodici, che era alle prese anche con un momento di ristrettezze
economiche, cercò di evitare uno scontro militare, e inviò Raimondo Tolomei e
Sozzo Tegliacci come ambasciatori per tentare un accordo. L’incontro avvenne ad
Abbadia a Isola ma, scrive Orlando Malavolti, l’intesa non fu trovata, e così la
compagnia del Cappello “arso il villaggio della Badia, s’inviò alla volta della
Maremma, bruciando e guastando per tutto il viaggio ville e casamenti e ogn’altra
cosa”.
Quindi il Montefeltro prese Campagnatico a viva forza, e ci instaurò la sua base di
comando, da lì partendo per dare il guasto ad altre zone del Senese.
Il governo di Siena fece un altro tentativo di risolvere il problema con le buone, ed
inviò altri ambasciatori per offrire una somma di denaro affinché i mercenari
abbandonassero il territorio. L’incontro ebbe luogo, ma gli ambasciatori
Bartolommeo Malavolti, Giovanni di Mino e Niccolò di Tura non ebbero successo,
perché Niccolò di Montefeltro, vista la scarsa reazione di Siena fino a quel momento,
non prese la cosa molto sul serio.
A questo punto i senesi si organizzarono per una risposta di tipo militare, per cui fu
riunito l’esercito, con le forze della città e del contado, e rinforzato prendendo a loro
volte alcuni mercenari, assoldando Ugo dell’Ala ed un certo Ormanno con 22
bandiere tedesche, ed affrontando tutte le spese che l’emergenza rendeva necessarie.
Il comando delle truppe della Repubblica di Siena, informa Vincenzo Buonsignori, fu
affidato a Francesco Orsini.
Frattanto la compagnia del Cappello, lasciato a Campagnatico un forte presidio, era
uscita per avvicinarsi a Siena, ed aveva raggiunto Buonconvento. All’approssimarsi
dell’esercito senese, la compagnia di ventura ripiegò in direzione della Valdichiana. Il
7 ottobre 1363, giunto presso Torrita, il comandante Niccolò da Montefeltro, che non
aveva preso molto sul serio la reale volontà di battersi da parte dei senesi, schierò i
suoi soldati a difesa, e qui, inaspettatamente, la battaglia campale ebbe inizio con le
avanguardie senesi che attaccarono immediatamente. Poco dopo irruppe con
decisione il grosso dell’esercito senese, con una impetuosa carica di centinaia di
cavalieri, e gli uomini della compagnia del Cappello, che subirono gravi perdite, si

mossero a precipitosa fuga, “fracassati e vinti” scrive il Malavolti, inseguiti dai
soldati con il vessillo della Balzana. I senesi, per vendicarsi dei gravi danni subìti dal
loro territorio, fecero una grande strage, e presero moltissimi prigionieri, oltre mille
fanti e circa 300 uomini d’arme, fra cui lo stesso capitano Niccolò da Montefeltro, i
quali tutti, in lunghe file e trascinando in terra le loro bandiere, furono mandati
temporaneamente in custodia dentro le mura di Asinalonga. Tenuti in carcere per
oltre sei mesi, i prigionieri furono poi liberati a condizione.
Tornato in Siena l’esercito vittorioso, “ne fu da quel populo fatta gran festa, e
celebrate solenni e devote processioni, rendendo gratie infinite alla Maestà Divina
d’essersi liberato da tanta afflitione e calamità. A’ soldati furon date paghe doppie, e
pagati loro i cavalli ch’erano fatti morti nel conflitto della battaglia, che passarono il
numero di trecento. Il general dell’esercito (Francesco Orsini, nda) fu fatto cavaliere
e fattogli ricchi presenti, come ancor fu fatto a Henrigo de gli Obizi, a M. Biagio di
M. Guccio Tolommei, a M. Luigi di M. Marsilio, a M. Guglielmo da Montepulciano
e ad altri capitani che in quella fattione havevan valorosamente combattuto”.
Contemporaneamente, però, il generale Francesco Orsini fu congedato dal comando
dell’esercito, e avvicendato dal marchese Upizzino Malaspina.
Restava ancora da sloggiare il presidio della compagnia del Cappello che era
insediato a Campagnatico, forte di alcune centinaia di uomini. I senesi vi mandarono
l’esercito, accompagnato dal conte Niccolò da Montefeltro prigioniero, e stavolta i
mercenari “renderono (senza aspettar assalto) la terra al Comune di Siena” e quindi,
ottenuta qualche ricompensa, il 25 di ottobre furono accompagnati fuori dai confini
dello stato senese.
In Siena, l’incarico di celebrare l’importante e vittorioso evento militare fu affidato al
pittore Lippo Vanni, il quale, nello stesso anno 1363, eseguì un bellissimo affresco
monocromo sulle pareti della sala del Mappamondo nel palazzo Pubblico. Si tratta di
un’autentica “fotografia” della battaglia, che descrive con precisione, da un lato, le
forze in campo e la successione degli scontri e dall’altro, sullo sfondo, una bella
immagine della Valdichiana senese, punteggiata da campi coltivati e castelli. Al
sicuro valore artistico dell’opera si aggiunge così il valore storico e documentario di
questo dipinto.

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