Ragioniamo su come, concretamente, poter contribuire ad un nuovo sviluppo possibile, durante e dopo la pandemia. In una situazione economica più che preoccupante per il nostro Paese, per il sistema aziende, per le ricadute occupazionali e sociali non bastano le misure, pur necessarie, a sostegno del credito con l’offerta della garanzia gratuita dello Stato (MCC e SACE) e le altre iniziative di “ristoro” del Governo e della UE.
La crisi pandemica offre spunti importanti, oltre che per la neuroeconomia anche per un vero e proprio ripensamento “strutturale” del modo di porci tutti rispetto al mercato: imprese e banche, datori di lavoro e lavoratori dipendenti, sistema politico e istituzionale.
In buona sostanza occorre rivedere, concretamente e non solo a parole, il modo di pensare e soprattutto di agire: si deve fare tutti insieme, sia i tecnici che tutti gli operatori, un’opera per costruire il nuovo edificio del paese Italia/Europa.
Occorre – ma era necessario, la verità, anche prima della “pandemia” – che si cambi atteggiamento prima e operatività concreta immediatamente dopo.
E’ necessaria “una nuova stagione del dovere” della responsabilità sociale e solidale. E’ giunta l’ora di smetterla di scaricare la responsabilità delle cose che non vanno al Governo, alla politica o più specificatamente ai sindacati, agli imprenditori, ai lavoratori imputandola agli uni e gli altri senza “costrutto”.
Oggi si impone che tutti i protagonisti della vita economica e sociale – e quindi tutti i cittadini – “lavorino di più e meglio” e che senza mettere da parte la stagione dei diritti – acquisiti o da acquisire – prevalga un senso profondo dei nostri doveri a tutti i livelli.
Un esempio illuminante è lo Smart working che è – come sappiamo – una necessità ma anche una “moda”. Conosciamo persone che lavorando da casa hanno aumentato di fatto le prestazioni orarie giornaliere da 8 (come da contratto) fino a 11-12 e soggetti che facevano lo stretto necessario prima e che ora fanno molto di più, ma altri che fanno molto meno di prima, anche rispetto ai normali obblighi contrattuali.
Ora questo deve finire! Certo ci saranno i soliti “furbetti ” ma una nuova società sana nei principi e nei comportamenti può risolvere questi problemi.
Se i valori veri e condivisi del lavoro e delle aziende, diventeranno le linee guida del contributo da dare al nostro Sistema paese – indipendentemente dal pensiero politico e sindacale a volte divenuti comodi alibi -, ci potremo riprendere dalla crisi e dall’alto debito dello Stato, altrimenti saranno, guai ancora più seri per il nostro futuro.
La produttività, l’attaccamento all’azienda ed alle istituzioni – anche quelle locali che sono le più vicine e concretamente misurabili – sono la cartina di tornasole per misurare l’impegno e la motivazione di ognuno.
Abbiamo conosciuto una sana stagione dov’era possibile e sicuramente giusto rivendicare i diritti (delle donne, dei giovani, degli studenti, degli operai): oggi la società deve riflettere da subito e bene sul suo nuovo essere di oggi e di domani per una nuova stagione della responsabilità condivisa.
Credo che sia necessario realizzare un cambiamento con “alti obiettivi” mobilitanti, in caso contrario il declino sarà inarrestabile e potrà, forse, qualcuno o qualche categoria salvarsi, ma solo nel breve termine perché a medio termine saremo tutti più poveri e sicuramente per colpa nostra e non per colpa degli altri.